Recensione Resident Evil Village, una recensione da paura

25 anni sono passati, e ieri come oggi, scrivendo questa recensione di Resident Evil Village, mi accorgo che, anche se il tempo passa, certe cose non cambiano mai. Nel 1996 avevo una PS1 grigia sbiadita e oggi, invece, mi ritrovo con una PS5 candida come la neve. Migliaia di teraflops le separano, ma alla fine l’anima non guarda i numeri. Ci ho (ri)visto un’po del vecchio stile di Shinji Mikami in questo ottavo capitolo. Credo che Capcom, in questa occasione, un piccolo tributo al creatore del survival horror lo ha fatto. In tutta onestà, però, questo somiglia dannatamente a un saluto. Grazie per i suoi servizi, ma adesso cambiamo pagina.

Resident Evil Village è denso di messaggi, più o meno subliminali. Segni che si possono cogliere o meno lungo le 10 ore di gioco che ci separano dal gran finale. Al climax ci si arriva preparati, muniti di dubbi e certezze. La voglia di spoilerare è altissima e prometto di mordermi la lingua. Se arrivate dalla precedente esperienza con Resident Evil 7 Biohazard, moltissime cose vi torneranno familiari. La gestione dell’inventario è rimasta pressoché invariata, così come il gameplay generale. Cambiano le dimensioni di gioco, visto che da una catapecchia del Bayou si è passati ad un villaggio con 4 residenze da esplorare.

RESIDENT EVIL VILLAGE recensione ps5
Questi cambiamenti, però, non sono indolore. Qualche effetto indesiderato lo hanno causato. Forse la colpa è mia, visto che mi definisco un purista della saga. Già con i remake di Resident Evil 2 e Resident Evil 3, qualcosina non mi è proprio andata giù. Se mi togli gli enigmi “bastardi” godo solo a metà. Le avventure del settimo capitolo mi hanno dato il colpo di grazia, passando dalla terza alla prima persona. Onestamente stava cominciando ad essere troppo per me.

Eppure mi sono detto “Svegliati e gioca”, mettendo da parte i pregiudizi. Il risultato è che mi sono divertito, come quella prima volta nel 1996. In fin dei conti Resident Evil 7 Biohazard era una prima volta, una forma inedita della saga. Village è un sequel spirituale e narrativo degli eventi avvenuti in Louisiana. Ritroviamo i coniugi Ethan e Mia Winters, diventati genitori della piccola Rose. Il buon vecchio Chris non mancherà nemmeno questa volta, in una versione estremamente dark. E poi basta, che altrimenti vi ammorbo l’anima. Senza cincischiare, vi lascio a questa mia recensione di Resident Evil Village, titolo giocato sulla nuova console PS5.

La paura di accettare il cambiamento

Ci vogliono le palle per mettere in discussione 25 anni di storia e successi. Capcom lo fa con il suo Resident Evil Village, creando un vero e proprio gioco di rottura. FPP ed FPS si alternano, e a volte fanno a cazzotti. Chris, in alcuni momenti, sembra il Cpt. Price e noi non sappiamo se essere Ethan o Soap. Le prime 3 ore di gioco sono da infarto. Ritmi incessanti con il castello di Lady Dimitrescu che annulla tutto quello che, di bello, avevamo visto in materia di level design. Capolavoro. Mettici poi il ray tracing, i 4K e i 60fps e il fattore immersione si autoinvita a casa nostra.

E quindi, dopo aver affrontato – e sgretolato – le 3 figlie di Alcina e sconfitto la prosperosa Signora di casa in un’epica battaglia tra le guglie del castello, ero pronto per i titoli di coda. Non sto scherzando. Ero convinto di aver finito il gioco. Resto di stucco – e non è un barbatrucco – nel vedere che questo era solo l’inizio. Altri 3 figli di madre Miranda da spedire all’altro mondo. E mi sono detto, “se iniziamo così, qui c’è da star male”. Le aspettative, con il tempo, sono divenute disillusioni, e quei momenti iniziali, sono solo rimasti un ricordo.

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Ma la colpa di questo mio comportamento a chi è da affibbiare? Me stesso, in primis, visto che, evidentemente, non sono ancora riuscito del tutto a scrollarmi di dosso il velo del pregiudizio. Non è, però, solo tutta colpa mia. Il puzzle narrativo è sbilanciato più verso l’action che il survival horror. Per carità, lo avevano detto che ci sarebbero stati cambiamenti, ma non mi aspettavo qualcosa di così drastico.

Vi parlavamo prima, nella nostra premessa iniziale, di come il gioco sia denso di messaggi più o meno celati. Le prime 3 ore di gioco rappresentano la sintesi di 25 anni di storia del gioco. Come per dire “bene ragazzi, salutate quello che è stato e accogliete quello che verrà”. Letto in questi termini, tutto assume dei contorni più chiari e delineati. Il villaggio come hub e l’introduzione di 4 mini-boss già bastano a far capire che il nuovo corso è appena iniziato. E tutto sommato piace e funziona pure questa logica. Ma resta sempre e comunque un problema di sbilanciamento importante dei “momenti” di gioco.

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Un saluto alla quarta parete

Non posso che non parlare, in questa recensione PS5 di Resident Evil Village, del concetto di prospettiva, un fattore determinante in un videogioco. Pensate a titoli come Call of Duty, che sulla prima persona ci ha costruito un successo interplanetario. Negli ultimi anni, però, si è accostato al classico genere FPS, uno nuovo chiamato FPP. L’acronimo sta First Person Perspective, e si capisce, già solo dal nome, qual è l’aspetto che conta. Il termine prospettiva, però, contiene in sé molti significati, che variano a seconda del contesto in cui si trovano. Nel caso di specie, in Resident Evil Village, ci troviamo in un survival horror.

Capite bene che il concetto di sopravvivenza in un ambiente ostile e denso violenza e paura, se provato in prima persona, assume dei toni decisamente diversi. La saga ci ha sempre proposto la terza persona, una prospettiva che ci assegnava il ruolo di registi e protagonisti. Gli eventi si subivano, questo è indubbio, ma si aveva sempre una sorta di controllo su quello che succedeva. La prima persona, invece, ci toglie un ruolo, quello del regista, lasciandoci solo quello di protagonista. Abbiamo una visione limitata di quello che succede intorno a noi, al pari del mondo reale.

RESIDENT EVIL VILLAGE recensione ps5
Ed ecco che tutti gli stati d’animo, con la paura che regna incontrastata, assumono dei contorni veri e non artefatti. Prima di entrare in una stanza buio pesto ci penso su due volte, visto che non vedo nulla davanti a miei occhi. I miei o quelli di Ethan? Cosa cambia in fin dei conti, visto che tra me e lui le differenze si assottigliano al punto tale da annullarsi. E quella quarta parete, eretta dal muro della prospettiva, in un attimo si sgretola davanti a miei occhi senza nemmeno accorgermene.

Capcom ha inseguito questo obiettivo per 25 anni e alla fine la strada intrapresa da Shinji Mikami, ha trovato il suo punto di arrivo. Ovviamente, non è tutto oro quello che luccica. Non bisogna confondere FPP con FPS, e Resident Evil Village lo fa spesso e volentieri. Non posso essere il minuto prima Ethan e poi, in quello successivo, Soap. Non puoi abattermi la quarta parete e poi, subito dopo, me la ritiri su come se fosse una saracinesca. Il concetto di prospettiva, non riguarda solo la visuale in prima persona, ma soprattutto il contesto che ci circonda e il come lo si vive.

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Cosa mi resta dopo 10 ore?

Ok tutte bellissime parole dette in questa recensione PS5 di Resident Evil Village. Ma alla fine, dopo 10 ore di gioco, cosa mi resta di questa ultima esperienza di gioco? Dopo aver sconfitto Alcina Dimitrescu, Donna Beneviento, Salvatore Moreau, Karl Heisenberg, Madre Miranda, cosa mi ha lasciato dentro l’ultima follia di Capcom? Bella domanda questa, a cui però arriverete anche voi (solo dopo essere rimasti dopo i titoli di coda). Li succede qualcosa di molto interessante, che di fatto chiude il cerchio. E non parlo solo della connessione tra il settimo e l’ottavo capitolo della saga, parlo di tutti i 25 anni precedenti.

È ovvio che ci sarà un Resident Evil 9 o come lo vorranno chiamare. Lo sapevamo gia anche prima di iniziare, ma il punto non è questo. Dobbiamo solo fare i conti con la realtà e vedere se siamo disposti ad accettare il cambiamento, quello che Capcom ci ha dimostrato in queste 10 ore di gioco. Idealmente il gioco è diviso in due metà non perfettamente uguali. La prima ci propone una sintesi di 25 di storia. Un survival horror puro, i cui ci sono tutti gli elementi a cui la saga ci ha abituati in questi anni. Il castello di Lady Dimitrescu, poi, con quegli enigmi “classici”, è un vero e proprio tuffo nei ricordi. La claustrofobia c’è, così come quella costante sensazione di disorientamento, tipica dei labirintici level design made in Capcom.

RESIDENT EVIL VILLAGE recensione ps5
Con la morte della padrona di casa si entra nel vivo del gioco, o meglio, nel nuovo corso che gli sviluppatori vorrebbero intraprendere. Momenti FPS puri, dove l’azione regna sovrana. Questa volontà di cambiare l’abbiamo avvertita anche con i remake di Resident Evil 2 e Resident Evil 3. In quelle occasioni abbiamo assistito al cambio di ritmo del metronomo di gioco, storcendo il naso verso la scelta di tagliare la parte complicata del gioco. Ripeto, non voglio fare la figura del “purista retrograda”, ma un survival horror contiene al suo interno una molteplicità di elementi che funzionano se tutti interconnessi. Se ne togli uno, ahimè, il genere comincia a implodere.

E quindi mi – e vi – domando: ha ancora senso di parlare di survival horror? Ok che fa figo, e le etichette, si sa, vendono il titolo già prima di giocarlo. Bisogna, però, essere onesti con sé stessi e guardarsi allo specchio. Ve lo dico in tutta onestà: non so se sono disposto ad accettare un Resident Evil 9 in versione FPS. Probabilmente la colpa è sempre di quel solito senso di paura del cambiamento, o perché, in fin dei conti, con Resident Evil Village ho trovato il mio requiem della saga. Ai posteri l’ardua sentenza.

RESIDENT EVIL VILLAGE recensione ps5

Addio Shinji

Voglio concludere questa recensione PS5 di Resident Evil Village con un po’ di sano amarcord. Non so se il merito di questa mia ultima riflessione è la risultante di 10 ore o di 25 anni di esperienza. Resta il fatto che è una cosa che voglio e devo dire. Village mi ha fatto capire che i tempi sono cambiati. I giochi, come le persone, crescono. Invecchiano. Cambiano. La parola “cambiamento”, associata a qualcosa a cui si tiene, incute timore. Quando sei abituato a qualcosa, che fai sempre nello stesso modo da più di vent’anni, e davanti ti accorgi che le cose stanno assumendo forme e contorni diversi, entri in autoprotezione.

È quello che mi è successo dopo aver sconfitto Alcina Dimetrescu. Vi ho raccontato, infatti, di come ero convinto di aver finito il gioco. Ma infatti è così. In quel momento finisce la saga di Resident Evil per come l’ho sempre vissuta io. Li finisce il survival horror ideato da Shinji Mikami nel 1996. Si deve capire questo, e soprattutto si deve accettare. Se non lo si fa si perde tutto il bello che Capcom ha progettato per noi. Non ho, però, quella certezza assoluta nel dirvi se “bello” coincide con “giusto”. Un Resident Evil totally action FPS mi terrorizza. Sicuramente introdurranno elementi survival horror, ma appunto, resteranno sempre e solo “elementi”.

Mi sto mordendo la lingua in questo momento. L’ultima cosa che voglio rivelarvi è questa. Fate molta attenzione ai messaggi subliminali, soprattutto al contesto che vi circonda. I vari personaggi presenti nascondono una storia, che merita di essere conosciuta. La figura di Heisenberg, in particolare, è molto ambigua e merita la nostra attenzione…soprattutto quando si rivolge a noi. E con questo spoilerone vi saluto, con la speranza che questo sia un arrivederci e non un addio.

Voto e Prezzo
9 / 10
70€ /80€
Commento
Siamo arrivati al bivio. 25 anni sono bastati a Capcom per fargli prendere una decisione sul futuro della saga. Parlare di scelta giusta o sbagliata, al momento, ha poco senso. L'unica certezza è che il concetto del survival horror made in Capcom, per come lo conoscevamo noi, non ci sarà più. Chiusa una porta si dovrebbe aprire un portone. Il resto è un capolavoro.
Pro e Contro
Tornano gli enigmi "bastardi"
Level design perfetto
Livello di dettaglio da 10

x Fattore immersione altalenante
x Troppo FPS e poco FPP

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