Un quesito che mi arrovella ogni volta che mi accingo a giocare un titolo dall’ambientazione imponente e spettacolare riguarda l’architettura degli edifici. E’ il caso dei luoghi di Resident Evil Village, come della serie tutta, e un recente articolo apparso sul web mi ha fatto capire come non sia il solo ad avere la mente deviata.

Osservando quei palazzi imponenti, quelle case fatiscenti, quei cunicoli oscuri, mi sono sempre chiesto se nella realtà esistessero architetture così angoscianti, gotiche e misteriose. Quale fosse la fonte d’ispirazione reale di Resident Evil, e se ce ne fosse una. Ora chiudete gli occhi e, al ritmo delle migliori safe room themes seguitemi in questo viaggio nelle più oscure architetture che hanno fatto da pulce nell’orecchio agli sviluppatori della storica saga. Un viaggio nell’ambientazione di Resident Evil.

Un rendering mentale

Dai, ammettiamolo, tantissimi di noi si soffermano sui dettagli in un videogioco, anche i più insignificanti. Un’architrave, una colonna, una cupola. Che sia banalmente una grande scalinata o un edificio massiccio e imponente. E’ come scomporre mentalmente l’oggetto in tre dimensioni per carpirne i segreti. Soprattutto in un titolo dalla caratura e dovizia di dettagli come Village.

Come avrebbe detto il buon Nanni Moretti, le parole sono importanti. E quale parola se non maestosa può meglio definire l’ambientazione dell’ottavo capitolo della serie? Un’abbondanza di elementi, di decori, di guarnizioni che spingono i recessi della coscienza a chiedersi “ma esiste il Castello della Dimitrescu”?

Non può essere tutto il parto di una mente malsana, me lo domando spesso. L’architettura mastodontica del Castello Dimitrescu di Resident Evil Village ha sicuramente un fondamento strutturale, statico, così come le angoscianti aberrazioni urbanistiche di Bloodborne.

Ma quindi, come le colonne, l’ispirazione per Resident Evil sarà portante? Sarà riscontrabile nella vita reale? In un sottoinsieme di Eulero-Venn dove il gioco si fonde con la realtà?

Non può essere tutto il parto di una mente malsana. L'architettura mastodontica come le angoscianti aberrazioni urbanistiche

Winchester Mystery House

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Come ci insegna il succitato quanto antico Maniac Mansion, sono spesso le case a nascondere segreti. Non soltanto fisici, quanto parti integranti dello stesso edificio e di come è stato costruito. E le varie location di Resident Evil rappresentano in pieno questo dualismo, questo concetto dilazionato che a piccole gocce ci impregna del suo significato e del suo obiettivo.

Stare attenti a svoltare l’angolo dovrebbe essere sempre la parola d’ordine, lo abbiamo imparato bene in Resident Evil 7, meno in Village, ma il concetto non cambia. Le case infestate da alcunchè fanno paura. E’ il caso della Winchester Mystery House in California dove, ad avere paura dei fantasmi era la stessa padrona. La cosa più inquietante è che questi fantasmi sarebbero state le anime delle vittime dei fucili Winchester, fabbrica del marito. A riflettere l’opprimente paura è stata la casa, piena di porte sul nulla, vicoli ciechi e trabocchetti. Tutto, per ingannare gli spiriti. Solo io ci vedo tanto di ispirazione per il titolo Capcom?

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Lo stile vittoriano detto Stick Style è quello che prettamente caratterizza la Baker House del settimo capitolo, e secondo me non è un caso che l’arredamento tipico di quel periodo e che fa tanta scenografia all’interno della villa della squinternata famiglia venga definito proprio Shaker, che con Baker fa rima. Colonne e architravi in legno dalle quali ombre proiettate sul terreno proiettano anche in noi quel senso di inquietudine ad ogni piè pari.

Le porte lugubri e arcane, corridoi angusti, facciate e aggetti sul nulla, nonchè finestre che danno su altre finestre. Tutto ricorda il ritmo architettonico e il respiro della Winchester Mystery House. Unità “abitativa” dal ricco impatto cinematografico, che evoca thriller psicologico anche nel gioco mediante l’utilizzo di una tavolozza di colori dalla forti tinte seppia e verdognole. Il colore della suspance. E nei luoghi di Resident Evil ve ne è tanta.

Quinta da Regaleira

Non è un caso che i tormenti personali come le ideologie, le turbe, rispecchino così tanto anche il lato strutturale degli edifici. Come le città utopiche disegnate dagli architetti del primo ‘900, spesso sono il riflesso di un ideale. L’edificio noto come Quinta da Regaleira in Portogallo richiama tantissimo le profondità del Circo di Heisenberg che si deve affrontare in Resident Evil Village. Simboli massonici ovunque, scale a chiocciola a perdita d’occhio e un tuffo nel vuoto in un pozzo senza fondo.

Epitaffi sulle zone note come Corte delle Chimere, Soglia degli Dei, Pozzo delle Anime. Targhe che anche solo di nome sono d’ispirazione per Resident Evil.

Un pozzo delle anime tristi direi, in una discesa dantesca nell’oscurità che aumenta ad ogni passo. Quell’angoscia palpabile e pressante data dalla forma elicoidale della scalinata, un barotrauma atlantideo come i cerchi concentrici descritti nel Crizia di Platone. Non a caso un trauma, perchè è proprio quello che l’edificio vuole comunicare con la sua struttura: la pungente differenza tra il mondo di superficie e quello sotterraneo.

Il tutto pregno, come si diceva, di simboli. Richiami. Rilievi. Alla religiosità alternativa e blasfema del culto di Madre Miranda e i suoi figli, cavalieri dell’apocalisse in un mondo ribaltato in cui Ethan è stato catapultato.

Bolsover Castle

Più che in altezza, il Bolsover Castle in Inghilterra ricorda molto il Castello di Alcina Dimitrescu in estensione. Per non parlare degli opulenti quanto misteriosi interni. Una piccola fortezza ereditata dal Sir William Cavendish che richiama l’aspetto artistico della serie Capcom. Infatti una delle peculiarità di questa magione è sicuramente la presenza di versioni modificate dei quadri de I Temperamenti di Maerten de Vos. Modificati con i volti dei coniugi padroni di casa.

A mancare è però la raffigurazione di uno dei temperamenti, l’essere sanguigno, che a quanto pare dovrebbe incarnare proprio la virtù della famiglia. Ma gli enigmi non finiscono qui. Un labirintico susseguirsi di saloni in cui, alla fine, devi scegliere tra Heaven ed Elysium (i Campi Elisi, l’aldilà per gli antichi romani). L’ispirazione da questo edificio misterioso e inquietante della vita reale è evidente quindi in Village, dove ogni elemento d’arredo è lì per fare il suo dovere. Farti paura ed ammaliarti.

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E’ come rivedere il castello della Tall Lady estrapolato da un reale ordinario-non ordinario. Le sue stanze, piene di colori accesi seppur flebili in un filtro rosso sangue ci richiamano alla mente emozioni come paura, claustrofobia, tachicardia.

Immenso, poderoso e maestoso e allo stesso tempo capace di farti sentire rinchiuso e piccolo, in trappola. Il Castello, un paradosso edificato per confondere e farti tornare sempre allo stesso punto, come una scala infinita di Penrose sulla quale ti sembra di salire, ma in realtà sei lì, senza avanzare e per giunta braccato.

Una distorsione prospettica legata a doppio filo con la trama e l’ambientazione del gioco. I luoghi di Resident Evil come le mappe, si sà, sono del resto paradossali. Come le scale di Harry Potter a cui piace cambiare, e farti soltanto credere di stare avanzando. Anch’esse, sicuramente fonte d’ispirazione per Resident Evil.

Intercapedini dell’orrore

Cambio di prospettiva A differenza dei fondali pre-renderizzati dei primi capitoli, ora vivi l’ambientazione dal di dentro, sulla pelle. Un cambio di prospettiva, di emozioni e dimensione.
Nei primi Resident Evil siamo stati abituati a un concetto di chiuso. Cullati, dalla consapevolezza che l’orrore potesse soltanto provenire dalle intercapedini delle quattro mura attorno a noi e non dall’esterno. Nel primo capitolo abbiamo camminato nei saloni della Spencer’s Manor, nel secondo fatto peripezie nella stazione di polizia di Raccoon City e nel terzo per la prima volta aperti alla porzione della città.

E’ qui che l’andazzo inizia a cambiare, lentamente, ampliando la dimensione col contagocce. Nella quarta iterazione ecco che ci ritroviamo in un intero villaggio spagnolo, nella quinta in uno africano e nella sesta a vedere persino un’ambientazione cinese. Questo concetto di spazio viene manipolato come, nell’intento degli sviluppatori, a manipolarle vogliono essere anche le emozioni.

Emozioni spiazzanti, che di rigetto ti rifiondano, come nel 7, a provare sensazioni simili al primo episodio, solo per prepararti subdolamente ai luoghi che solcherai in Village. Forse i luoghi più suggestivi visti fin ora in un’ambientazione di Resident Evil.

Questo concetto di spazio viene manipolato come, nell'intento degli sviluppatori, a manipolarle vogliono essere anche le emozioni

Possiamo parlare di subdolo fattore immersività. Perchè sì, a gran parte di noi videogiocatori piace spulciare, ma sono dettagli che vedi solo se ci fai attenzione. Come il bicchiere sporco di rossetto di Alcina messo lì, in un’ambientazione ricchissima di dettagli che vuole essere trovato. Un mosaico di elementi e simboli aggettanti e aleggianti nella maestosità di un riflesso sulla mattonella, impreziosito dal ray tracing.

Un’introspezione in macroaree e micromondi in cui la parte architettonica è quella preponderante, in un richiamo alla realtà o alla realtà verosimile che attinge da un immaginario calamitante per gli occhi. L’ispirazione reale per Resident Evil.

Tutto questo in un universo in cui devi essere tu ad apprezzare quei dettagli, quel misto labirintico di sensazioni visive che incanalerà in te la paura del male residente. Quando “scorre lento il tuo tempo, che scivola sul velo della tua pelle, in un’agonia senza fine che ti ha dato e che forse sei e sarai qui“.

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