5: Kerbal Space Program
Il fatto che la
NASA stessa abbia collaborato alla creazione di alcuni pacchetti di scenari extra per questa piccola gemma indie dovrebbe già dirla lunga…
Un vero e proprio
simulatore di missilistica spaziale ed esplorazione orbitale, più che un gioco,
Kerbal Space Program ha visto ufficialmente la luce proprio nel 2015, sebbene svariate versioni beta costellassero Steam da un paio d’anni a questa parte. Dall’attenzione ai dettagli di aerodinamica, ad una rappresentazione piuttosto efficace (e decisamente complessa) della gestione di un centro aerospaziale e delle manovre di liftoff, allunaggio e fionde planetarie, Kerbal Space Program è un gioco che mi ha portato via svariate ore e fatta rimpiangere nessuna.
Molte delle quali passate a creare navicelle deformi in grado di sollevarsi maestosamente per qualche decina di metri, per poi schiantarsi come piccioni abbattuti a pochi metri di distanza.
D’altronde, anche questa è una delle anime di un gioco che, non senza ragione, è stato definito anche come “
il Lego coi razzi interplanetari” dalla sua stessa, massiccia, community.
“Non fatelo a casa, bimbi… tanto non avreste comunque un razzo!”
Oltre ad un videogiocatore accanito, chi vi scrive è anche un feroce appassionato di giochi da tavolo, gdr, card game e miniature varie, uscito da neanche troppo tempo dal “tunnel” che è stato
Magic: The Gathering.
Immaginate la mia reazione al vedere le due cose fuse assieme in un t
itolo che associa meccaniche RPG, roguelike (probabilmente uno dei miei generi più odiati)
e deck building tipico dei giochi di carte collezionabili. Più o meno un orgasmo misto ansia e disperazione.
Tuttavia, nel giro di una decina di minuti e con il boss tutorial già rispedito al creatore a suon di mannaia, Hand of fate ha iniziato a rivelarsi per la sua natura: un solidissimo esempio di come
la ludicità “classica” dei giochi da tavolo possa trovare una sua naturale dimensione anche nel mondo digitale. La costruzione del mazzo (da cui poi prende vita il nostro dungeon) è affidata al giocatore, ma l’ordine delle carte è randomico, lasciando tanto la tensione nell’esplorazione che l’adrenalina degli scontri, passando per momenti da sudore alla fronte nel seguire i movimenti di una carta che può decidere letteralmente la vita o la morte del nostro alter-ego.
Altro grande ritorno, decisamente gradito, è quello della serie
Homeworld. Presa dalle mani di Relic e affidata a
Gearbox, la
Remastered Collection offre ai giocatori (tanto della vecchia guardia che della nuova generazione) tutta quella
carica di epicità da space opera che si portavano dietro gli originali di inizio millennio.
Ben pochi giochi riescono ad essere così
intriganti e “freschi” anche con quindici anni sulle spalle, e il già solidissimo sistema di gioco, visionario per l’epoca, ha facilitato non poco le cose nel remake. In maniera persino migliore di quanto fatto da
Schafer con
Grim Fandango, i ragazzi di
Gearbox hanno saputo mantenersi fedeli all’originale, limitandosi quasi esclusivamente a svecchiare il comparto grafico.
Non c’è che dire:
lo spazio e gli sconfinati paesaggi alieni si vedono da dio in 4K!
Ricordo bene che giocai il primo capitolo della saga di
CD Projekt Red su un portatile assolutamente non all’altezza. E nonostante la scattosità di certe sezioni fu fomento istantaneo, di quelli pesanti, del genere che il giocatore di ruolo fantasy venuto su a pane e
Dungeon & Dragons che è in me stava già sparando i botti come a capodanno.
Nel 2012 ricevetti la mia copia per Xbox 360 del secondo capitolo, e ancora più del predecessore, Assassins of Kings fece salire in me una scimmia paurosa per l’universo partorito dalla penna di
Andrzej Sapkowski, e finii per incappare nell’
unico adattamento cinematografico mai realizzato sinora,
Wiedzmin. Diciamo solo che fu un’esperienza… strana… ma non così distante dalle atmosfere del gioco. Una cosa che, tuttavia, mi lasciò con la fame chimica di saperne di più su Ciri. E indovinate un po’ chi è che compare in
The Wild Hunt?
Ovviamente, oltre a questo piccolo “regalino” da parte di
Cd Projekt al momento più opportuno,
The Witcher 3 è anche un titolo che raccoglie tutto il buono dei due capitoli precedenti e lo fonde assieme in un’esperienza che definire cinematografica è restrittivo. Godibile sia dai fan sfegatati che da chi si avvicina per la prima volta alla serie (videoludica, per il resto è un continuo richiamo ai libri),
Wild Hunt è senza dubbio il miglior rpg, se non IL gioco dell’anno.
…quasi. Perchè tra il capolavoro di
Cd Projekt e il mio personale primo posto c’è di mezzo…
…
Inkle e il suo terzo capitolo nell’adattamento videoludico della serie cartacea creata da
Steve Jackson (l’inglese, non l’autore di
Munchkin).
Che dire… da fan dei librogames sin da quando scoprii per caso (in prima media, ora ho quasi trent’anni, vedete voi) i libri di
Lupo Solitario,
l’archetipo del “choose your own adventure” è rimasto radicato in me come emblema del divertimento narrativo. E dopo due capitoli uno migliore dell’altro, e sicuramente uno MENO lineare dell’altro,
Inkle sforna il terzo pargolo.
Onestamente mi aspettavo qualcosa sulla stessa qualità del già superbo
Cityport of Traps, ma la personale visione del team di sviluppo ha dato vita a qualcosa di ancora oltre le mie fantasie:
The Seven Serpents si lascia alle spalle le “catene” imposte dal materiale originale, e arriva a a fonderci senza sbavature il primo e per ora
unico, magistrale, esempio di open world – IN UN LIBROGAME!
Senza voler nulla togliere agli altri titoli presenti in questa lista, ma l’esperienza di gioco che ne risulta è così coinvolgente, soddisfacente (e potenzialmente lunga) che merita di essere giocata più che di sentirne parlare.
#LiveTheRebellion