10: Her Story
Dall’uomo che ci ha dato il visionario Silent Hill: Shattered Memories, arriva Google Search versione videogioco.
Detta così, è forse il modo peggiore per rendere giustizia ad un titolo che “narra di narrativa”, e di come la percezione del singolo diventi la base di tutta una serie di meccanismi in grado di ricostruire la realtà partendo dal niente. Un enorme atto di “masturbazione mentale”, se vogliamo, che tuttavia svela molto più su come lavori il nostro cervello rispetto a quanto possano farlo titoli ben più elaborati.
Her Story è un “gioco” atipico, di cui parlare per settimane confrontandosi con altri giocatori e con le loro esperienze (complice anche il fatto di non avere volutamente un “finale” chiaro), ma che paradossalmente non offre grandi spunti di rigiocabilità: una volta seguita una linea di ricerca, la “magia” della prima impressione sarà già morta e sepolta, e qualsiasi altra ipotesi verrà inevitabilmente condizionata dalla prima run.

9: Anna’s Quest
Di Daedalic e delle sue superbe avventure grafiche, abbiamo già parlato in più di un’occasione: personalmente li scoprii quasi per caso un paio d’anni fa, trovando il primo capitolo della trilogia di Deponia in uno scaffale seminascosto, e da allora è stato amore a prima vista.
Anche con Anna’s Quest è scattata la scintilla: forse in questo caso più che l’effetto nostalgia della defunta LucasArts si è trattato dell’interessante premessa sul fondere folklore mitteleuropeo con tematiche scientifiche e di spiegazioni meno magiche e più terra-terra dietro le azioni di streghe cattive, diavoli e demoni.
Anna’s Quest non è un titolo tripla A, non è un’avventura eccessivamente complessa come King’s Quest, né tantomeno particolarmente ramificata come Life is Strange, ma ha quel fascino leggero che invoglia a scoprire i suoi retroscena, e mano a mano che scendiamo a fondo nella vicenda a tratti comica a tratti drammatica, rivela una profondità che spesso e volentieri manca anche in titoli più pretenziosi.

8: Fallout 4
Lo ammetto: io stesso speravo in una posizione più alta a fine anno, per il titolo che non fatico a definire come il mio personale “più atteso” del 2015.
Fallout 4 è vasto. Questo è innegabile, persino più dei predecessori: in ogni angolo della Boston nuclearizzata, dalla periferia di Sanctuary Hills al deserto radioattivo del Mare Scintillante, c’è una sorpresa ad attenderci, piccoli stralci di storia umana (e non) che nel complesso formano un arazzo decisamente invitante. In un mondo intriso di quest, sottotrame, eventi anche fuori dal controllo del giocatore stesso, sembra quasi che Bethesda sfidi sé stessa a superarsi ogni volta
Fallout 4 è innovativo, con un sistema di crafting decisamente più complesso e solido dei predecessori, associato all’introduzione del sistema di creazione di strutture che appaga il piccolo arredatore che è in me.
Sfortunatamente, a due mesi di distanza dall’uscita, Fallout 4 è anche un titolo ancora zeppo di bug e imprecisioni nella gestione delle strutture, delle quest e delle interazioni nei dialoghi, e la sua community modder è decisamente meno prolifera dei predecessori.
E ovviamente, il fastidiosissimo Preston…

7: Grim Fandango Remastered
Double Fine è riuscita nell’impresa di riportarmi con la mente al mio vecchio Pentium II, dove per la prima volta scoprii la bellezza di un titolo dalle tinte noir e dall’umorismo peculiare, che fondeva alla perfezione avventura e tematiche da film anni ’30. Un titolo tetro…grim…al ritmo di canzoni mariachi che, a quindici anni di distanza ancora regge a meraviglia la prova del tempo, scrollandosi di dosso giusto un po’ di polvere laddove serve (sistema di controlli e texture).
Tornare sulle orme di Manny, Glottis e Meche nel riscoprire quello che per me è il canto del cigno dell’era d’oro nelle avventure grafiche, è stato emozionante, al pari della prima volta, e forse addirittura di più in quanto l’aggiunta dei commenti del team di sviluppo è stata in grado di farmi sentire parte di una community, di un progetto che ho amato a suo tempo e a tuttora.
E’ curioso come proprio un titolo che parli di morte (e morti) sia divenuto col tempo un classico immortale…

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“E’ il rigor mortis o sei contento di vedermi?”

6: Life is strange
La mia prima impressione a caldo prendendo in mano il titolo di SquareEnix: “…oddio questo è ‘Il giorno della marmotta’ in versione hipster!”. E non in senso buono.
Il paragone con il film storico di Bill Murray, fortunatamente, si è poi fermato solo alle apparenze: le meccaniche di rewind temporale sono applicate in maniera splendida e tale da soddisfare sia quella parte di me che adora le storie con gli intrecci temporali, sia quella che odia dover tenere migliaia di salvataggi ad ogni bivio possibile per poter esplorare ogni singolo dettaglio in tranquillità.
Il taglio hipster rimane, in effetti, ma è ben strutturato, e delinea uno spaccato della generazione millennial americana in tutto il suo represso disagio. Narrativamente, poi, si tratta di una vicenda decisamente ben raccontata, come onestamente mi sarei aspettato più da gente come Quantic Dream (*coffcoff* Heavy Rain *coffcoff*), ma che mi ha lasciato piacevolmente sorpreso anche per la facilità d’immersione nelle vicende dei suoi personaggi. Forse leggermente ripetitivo e a tratti su binari, ma di quelli che non dispiace seguire fino alla fine.

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“…stand by me… ♫ “

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