The Last of Us Part II è uno dei titoli più attesi dell’anno. Inevitabile, quando sei il sequel di uno dei titoli più amati di PlayStation 3. Uno studio come Naughty Dog, ormai punta di diamante dei PlayStation Studios. Una PlayStation 4 a fine ciclo di vita, che si traduce in una base installata al suo apice e in tanta consapevolezza dell’hardware della macchina. Tematiche scomode, chiacchiere che hanno accompagnato il gioco praticamente dalla sua presentazione. “The Last of Us Part II è troppo politico“, “è troppo gay friendly“, “troppo schierato“. Il primo The Last of Us aveva diviso, amore e odio, come tutti i titoli che diventano cosìnazionalpopolari. Il seguito non può che puntare al rialzo. Cosa aspettarsi quindi, da questo The Last of Us Part II?
L’uscita è fissata per il 19 giugno 2020. Questa però è solo la data di uscita finale, il punto di arrivo di una storia che ha del clamoroso. Originariamente previsto per il 21 febbraio scorso, la data era slittata già ad un mese dall’annuncio avanti di tre mesi. Ma la storia non finisce con la stagione dei rinvii, quella che ci ha fatto chiedere per quale motivo un gioco viene spostato. A causa del Coronavirus, considerando che soprattutto su console il mercato retail corrisponde alla metà delle vendite di un titolo, The Last of Us Part II viene rinviato ulteriormente. La finestra del 29 maggio diventa un laconico “le faremo sapere“, facendo presupporre una release a dopo l’estate.
Si arriva alla data di uscita finale a causa di un leak. Scoppiata la bomba e con diverse sezioni di gioco avanzato finite in rete, Sony non può fare altro che organizzare un lancio in fretta e furia. Ne fa le spese l’altra esclusiva estiva di PS4, Ghost of Tsushima, che viene posticipato di un mese per far spazio a Naughty Dog. Fisiologico, per quanto spoetizzante. The Last of Us Part II è il titolo dell’anno di PlayStation 4, e si candida ad essere il titolo migliore della generazione. Suo malgrado, perché questi sono i frutti seminati dal primo capitolo, che una generazione fa per molti è stato il canto del cigno di PS3.
La storia si ripete, ce lo dicono fin dall’infanzia sui banchi di scuola. Anche se poi non la studiamo. Il fatto che possa succedere anche in qualcosa di microscopico, nel grande ordine delle cose, è comunque una suggestione. Ecco spiegato perché l’ultimo Naughty Dog è così chiacchierato, da prima dei leak.
Di cosa parla The Last of Us Part II?
The Last of Us Part II racconta la storia di Ellie. Per il resto, non abbiamo informazioni certe. Quantomeno, non se si esclude quanto emerso dai leak – che su queste pagine non abbiamo assolutamente intenzione di riportare. Quello che sappiamo è che (appunto) giocheremo nei panni di Ellie, cinque anni dopo il finale del primo The Last of Us. Joel comparirà in ogni caso a schermo, non è chiaro con che minutaggio e con quale ruolo, ma qualche trailer lo ha già mostrato.
Se degli eventi narrati possiamo dire poco, il discorso cambia quando si guarda alle tematiche. Perché per esempio abbiamo assistito durante all’E3 a quello che è il primo bacio omosessuale in mondovisione per i videogiochi, per cui è lecito aspettarsi che si parli di sesso e genere. Anche di femminismo, in un certo senso, perché Ellie è una protagonista femminile dalla personalità forte in un mercato come quello dei videogiochi che di solito celebra la figura del maschio. Viste le voci che post-leak hanno descritto l’esperienza come “troppo di sinistra” (etichetta assegnata davvero con sufficienza, come vedremo), è una possibilità probabile.
Vanno in questa direzione anche le dichiarazioni di Troy Barker, la voce di Joel, che ha parlato già in tempi non sospetti di un gioco che dividerà i fan. L’attore ha accennato alla speranza che il pubblico lasci ad Ellie e a Joel il modo di raccontare la loro storia, “non quella che vorrebbero sentire“. Parlando anche della necessità di giocare The Last of Us Parte II con la mente aperta, stato d’animo fondamentale per capire sul serio il gioco. Se tre indizi fanno una prova, è facile supporre che la narrativa di Druckman e soci ci porti in territori moralmente scomodi, osando come di solito una produzione Tripla-A non fa. Quasi sfidando parte della sua utenza, perché assumersi un rischio del genere è a tutti gli effetti una sfida. Sia per chi il gioco lo produce, sia per chi sceglie di acquistarlo.
Il gameplay di The Last of Us Part II
La prima cosa da dire sul gameplay del gioco è che non è il caso di aspettarsi rivoluzioni. Già il primo The Last of Us nei fatti non si inventava nulla di nuovo, puntando su un’esperienza di gioco solida ma tutt’altro che originale e soprattutto sulla sua storia. È lecito aspettarsi lo stesso approccio, anche in virtù di quanto visto durante l’ultimo State of Play. Detto questo, qualche novità c’è.
I movimenti di Ellie sono stati resi più fluidi e naturali, specie durante i combattimenti. Si è fatto ampiamente mostra di questo nuovo sistema di schivate, che sembra comprendere diverse animazioni ad-hoc. Il livello raggiunto è tale che alla prima presentazione, all’E3 del 2018, si è iniziato a parlare ossessivamente di componenti scriptate piuttosto che in-game. Ellie è più agile dei suoi nemici e, sembrerebbe, più consapevole dell’ambiente che le sta intorno. Le meccaniche stealth non potevano mancare, ma c’è da stare in guardia: i cani presenti sulla mappa possono fiutare Ellie ed avvisare i rispettivi padroni, anche se lei è ben nascosta. Sarà interessante vedere come funzionerà questa meccanica pad alla mano, visto che si appella ad un senso che il videogioco non riesce a comunicare come l’olfatto. Basterà vedere la propria scia in modalità ascolto? Sarà visibile anche a difficoltà realismo?
La vera novità è la presenza di diverse fazioni in-game. Non ci si limita a zombie contro umani, che comunque in alcune zone possono essere aizzati gli uni contro gli altri. Anche tra gli umani esistono almeno due gruppi, con da una parte il Washington Liberation Front (Fronte di Liberazione di Washington) e dall’altra i fanatici Serafiti. Cambia l’armamentario, con il WLF che ricorda più una milizia – ed utilizza armi tipiche dell’esercito – e i Serafiti più tribali, armati di archi e frecce. Ellie all’apparenza è in grado di utilizzare entrambe le tipologie di armi, oltre alla possibilità di potenziarle.
Non poteva certo mancare una meccanica di crafting, che mette in scena i tipici banchi da lavoro già visti in diverse produzioni del genere. Da Dead Island fino a Diyng Light, è ormai un elemento tipico dei survival che scelgono di percorrere la via del crafting. I materiali non servono solo a potenziare le armi, ma anche a creare nuovi elementi come le mine di prossimità. In questo, The Last of Us Part II ricorda molto da vicino il suo predecessore, e più che è una rivoluzione vuole esserne un raffinamento.
Chi ha leakato il gioco, e perché?
Molto banalmente, il leak di The Last of Us Part II è stato causato da un attacco hacker. O più correttamente, da un attacco di cracker, perché l’etica hacker imporrebbe di non causare danni. Ma vista la spy story dietro la data d’uscita, vuoi che non ci sia della narrativa anche dietro questi leak?
Sulle prime, si è parlato dell’opera di un dipendente scontento. Plausibile, vista la situazione in Naughty Dog. La casa è stata sotto accusa negli scorsi mesi per via del crunch imposto ai dipendenti. Pochi giorni prima del rinvio a data da destinarsi, peraltro, alcuni impiegati hanno addirittura rischiato la vita, in quanto al lavoro in orario notturno durante una manutenzione degli uffici.
Alla luce di questa situazione, la pista dell’insider insoddisfatto poteva assolutamente avere un senso. Stiamo parlando di maestranze non sindacalizzate, a cui peraltro l’industria intera ha già diverso volte detto no ad un sindacato. Il fenomeno del crunch attraversa tutta la storia dei videogiochi e insomma, uno sviluppatore non ha in mano che poche carte per cercare di creare rumore attorno alla faccenda. La stampa di settore, con l’esclusione di Jason Schreier, non dedica le prime pagine a vicende di questo tipo.
Si è parlato in un secondo momento di un collaboratore esterno, qualcuno del team di localizzazione. Venendo meno la motivazione lavorativa, a questo punto si è entrati di prepotenza nella politica: perché qualcuno al lavoro sulla traduzione del gioco avrebbe dovuto leakarlo? È qui che sono iniziate a circolare le indiscrezioni di un gioco troppo politico, addirittura troppo liberale, troppo di sinistra. Quest’ultima etichetta è quella applicata dalla stampa nostrana, che ha frainteso le considerazioni della fonte (che alludevano, appunto, ad atteggiamenti pro liberali in-game), piuttosto che alla declinazione classica dell’etichetta “di sinistra”.
The Last of Us Part II insomma vuol parlare di sociale, non essere socialista. E forse è proprio per questo che è così odiato.
Perché The Last of Us Part II è odiato?
Arrivati a questo punto, un’idea dovreste esservela fatta. L’ultima fatica di Naughty Dog è odiata per tutto quanto detto fino ad ora, una somma di cause e concause che è confluita in una vera e propria militanza attiva contro il gioco, combattuta a colpi di spoiler.
La prima motivazione, banalmente, è quella storica. Il primo The Last of Us una generazione fa è stato una sorta di Big Bang, qualcosa di simile solo a quanto visto per Breath of the Wild in tempi recenti. Si è arrivati a parlare di miglior gioco della storia dei videogiochi, consacrando Naughty Dog al ruolo di studio interno di punta in Sony. Un successo clamoroso, ben esemplificato dall’aver superato Skyrim come titolo che ha vinto più GOTY.
Tutto questo amore non può che aver generato odio
È una regola non scritta. Quando qualcosa ottiene molto successo e diventa mainstream, viene respinto da una certa tipologia di pubblico. Che sia per hipsterismi di sorta o per motivazioni fondate, a The Last of Us è successo proprio questo. Chi non concordava con il plebiscito di critica ottenuto da Naughty Dog ha espresso le sue ragioni, anche in modo violento, parlando di un titolo sopravvalutato che ha raccolto più di quanto si meritava. A queste frange, vanno aggiunte quelle che con The Last of Us han giocato a La volpe e l’uva. Chi non poteva o non voleva recuperare il titolo, perché magari gioca(va) su Xbox o su PC, e che sul gioco non poteva mettere le mani per via della barriera tecnologica.
Ma l’eredità (in questo caso non perduta) di Naughty Dog non può da sola essere una giustificazione. È qua che di nuovo scende in campo la questione politica. Perché lo abbiamo detto, The Last of Us Part II si è schierato politicamente. Come d’altronde fanno tantissimi videogiochi, anche l’insospettabile Tetris. Ma prendere posizione inevitabilmente attira critiche, perché l’utenza che è abituata ai videogiochi è un’utenza che non è abituata a vederli affrontare certi argomenti. La prima reazione istintiva è quella al rifiuto, al dire che questi ragionamenti non dovrebbero essere parte di un videogioco, che è appunto prima di tutto un gioco. Anche chi bazzica l’ambiente da anni e lo conosce in modo approfondito, spesso, non pensa davvero che i videogiochi siano arte…
A questo punto bisogna inoltre considerare a quali tematiche politiche il gioco strizza l’occhio. Femminismo, genere, sessualità, LGBT… The Last of Us Part II è stato non a caso ritenuto un prodotto molto liberal. Gli estremi per creare qualcosa che il videogiocatore medio ama odiare ci sono tutti, specie alla luce della durezza delle parole di Druckman e soci. In un’industria che ci ha abituato all’autoindulgenza, è un grido. A cui per qualcuno è quasi naturale rispondere urlando.
Se ci si aggiunge tutte le polemiche legate all’eccessiva violenza, in particolar modo quella contro i cani presenti in gioco, non resta che l’imbarazzo della scelta. Si può odiare l’ultimo Naughty Dogper un sacco di motivi. Per capire perché amarlo, invece, non resta che aspettare il day one.
Il confronto con Days Gone
Days Gone per molti versi è un emule di The Last of Us Part II, il confronto è quasi obbligato. Come da tradizione Sony, si tratta di due esperienze fortemente story-driven, con delle ambientazioni in buona sostanza sovrapponibili e… Beh, gli zombie a far da cornice ad entrambi. L’eco di Naughty Dog nel lavoro di Sony Bend è ben percepibile, e per quanto Days Gone abbia provato a rappresentare un’alternativa, il risultato finale ha più che altro i connotati del metadone di The Last of Us Part II. Quasi un generico da farmacia, qualcosa che ci prova ma si ferma diversi passi prima.
A Days Gone manca soprattutto quello che ha resto The Last of Us un classico, una sceneggiatura solida. Perché in Days Gone non riusciamo davvero ad empatizzare con Deacon e la sua perdita, l’assenza di sua moglie ci viene fatta pesare da subito, senza che prima potessimo affezionarci a uno o all’altro. La scrittura non ingrana davvero mai, rendendo questo confronto assolutamente impari. E per quanto dal punto di vista ludico si debba riconoscere al lavoro di Sony Bend una solidità più quadrata ed una resa survival migliore, bisogna aggiungere che anche qui ci sono delle riserve. Il gameplay sostanzialmente sboccia dopo una decina di ore, giunti a ridosso del quarto di gioco. E spesso e volentieri il restare a secco con la moto è più un fastidio che un vero pericolo.
Il confronto con i Remake di Resident Evil
Ecco un intento di ricerca che non riesco davvero a spiegarmi: The Last of Us Part II vs Resident Evil Remake. È un paragone che non ha senso di esistere, le similitudini si limitano agli zombie. E per quanto c’è dato sapere, nell’universo di The Last of Usnon c’è nessuna Umbrella Corporation, nessuna macchinazione governativa o intervento dell’uomo. E non c’è paragone nemmeno a livello di intenti, perché laddove The Last of Us vuole essere un Road Movie pad alla mano, Resident Evil ha da sempre ben chiara la sua missione di essere anche videogioco, quindi punta maggiormente sull’impianto ludico. È paradossalmente molto più facile fare dei parallelismi tra la serie di Capcom con Uncharted, che quantomeno condividono la presenza di enigmi in-game.
Questo è quello che sappiamo di The Last of Us Part II
La carne al fuoco è tantissima, e il fatto che in un certo senso la storia si ripeta non fa che alzare il termometro dell’hype per questa ultima grande avventura per PlayStation 4. Ce n’è abbastanza per discutere fino all’uscita e oltre, e la speranza è proprio questa: a prescindere da cosa si possa pensare e dall’interesse per il gioco, questa è stata una generazione con grossi problemi di memoria. Non dal punto di vista hardware, no, gli 8 GB di RAM delle due console hanno retto bene i 7 anni passati al fronte. Per i giocatori e per la Game Critic. Troppo spesso abbiamo visto giochi a lungo attesi e chiacchierati spegnersi a una manciata di giorni dall’uscita, sparire dairadar per poi non riaffacciarcisi mai più. È forse anche per questo, che l’industria s’è inventata i Game as a Service.
È un grido d’aiuto mascherato con l’abito della domenica, che forse abbiamo voluto fraintendere o forse ammanta davvero una punta di avidità. Ma che ad ogni modo è e rimane perfettamente udibile, per chi sa ascoltarlo. Nel nostro piccolo, cercheremo di raccontare The Last of Us Part II anche dopo l’uscita, non vivendo la recensione come un traguardo da raggiungere ma come una tappa di un percorso di approfondimenti che speriamo vorrete condividere con noi.
Perché al di là di tutto noi amiamo i videogiochi.
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