Stadia non c’entra. Alle soglie della prossima generazione di videogiochi, è inevitabile rivolgere lo sguardo al futuro:
ma ci piace quello che vedremo?

Pensare al futuro è inevitabile, per cui non è una sorpresa che i videogiochi lo facciano. D’altronde sono un prodotto dell’umanità, per cui è naturale che in questi si riflettano tutti gli aspetti e le paure delle nostre vite. Il futuro non fa eccezione, e sentire parlare del futuro dei videogiochi chi al momento ne rappresenta un protagonista è un’occasione d’oro. Una delle tante cose che i podcast, cambiandoci la vita, hanno reso possibile. Succede quindi che l’Amministratore Delegato di Insomniac Games Ted Price possa intervistare Phil Spencer, vice presidente esecutivo della divisione Gaming di Microsoft, nel podcast Game Maker’s Notebook. Il tema? Lo avrete capito dalla headline di questo articolo: il futuro dei videogiochi, in relazione con i fenomeni dello streaming e degli abbonamenti alla Game Pass.

Spencer nel futuro vede parecchi dispositivi “dummy, senza particolari capacità di calcolo ma capaci di portare i videogiochi sulle nostre tv in streaming. Nessun lettore ottico, nessun sistema di memorizzazione: delle “scatole” da attaccare al televisore per ricevere il segnale, magari addirittura integrate direttamente nella TV. È fondamentalmente quello che provando a fare Google con Stadia, che sfrutta un’edizione ad-hoc di Chromecast per portare il suo catalogo sul televisore. E in futuro, in teoria, dovrebbe permettere di sfruttare anche i Chromecast tradizionali, oltre a sdoganare definitivamente l’app dedicata, magari portandola direttamente sulle Smart TV delle marche più grandi.

Ma non è tutto, per Spencer…

Mi guardo in giro e cerco di applicare quello che vedo. Se penso a video e musica… I servizi di streaming hanno sdoganato questo tipo di formati portandoli su tutti i dispositivi attorno a me. Non ho mai avuto così tanti dispositivi per guardare la TV. L’avvento di Disney e Netflix e degli altri servizi del genere non ha diminuito il numero di dispositivi, che invece è aumentato. Stesso discorso per la musica. Ho Spotify nelle orecchie, nella mia tasca, a casa… Posso collegarmi ai miei servizi di musica da diversi dispositivi con diversi livelli di fedeltà del suono […] a volte ascolto la musica con un solo auricolare.

Phil Spencer, Game Maker’s Notebook podcast
Parole in cui ci possiamo tranquillamente ritrovare. Lo streaming ci ha davvero cambiato la vita, al punto da stravolgere anche il senso delle console stesse. Ormai una console non è solo una piattaforma da gioco, ma un hub multimediale che distribuisce il nostro intrattenimento in salotto. La piattaforma di riferimento per Netflix, non a caso, è PlayStation 4… E anche PornHub ha fatto dichiarazioni simili, in merito. A riprova che i videogiochi riflettono davvero tutti gli aspetti delle nostre vite.

phil spencer sul futuro dei videogiochi
Streaming, abbonamenti, Netflix e Spotify: Phil Spencer sul futuro dei videogiochi.
Ecco che però Spencer cala il carico:

Penso che i videogiochi stiano andando in una direzione simile.

Phil Spencer, Game Maker’s Notebook podcast
È un discorso che passa ovviamente per streaming e abbonamenti. Se in futuro i videogiochi sposeranno queste formule (come Microsoft d’altra parte sta già facendo), la possibilità di poter accedere alla propria libreria da qualunque schermo delle nostre vite e non solo dalla TV cui è collegata la console principale diventerebbe tangibile. Inevitabilmente il pensiero, oltre che tornare a Stadia (che per il momento non è un grosso player), passa anche per Realtà Virtuale e Realtà Aumentata.

Microsoft per la prima al momento non ha una soluzione proprietaria. Ma vista la convergenza verso il mondo PC del suo ecosistema, non è da escludere che possa decidere di “sposare” Oculus Rift, HTC Vive e gli altri visori del segmento. D’altronde la divisione Xbox è storicamente nata per mettere i bastoni tra le ruote a Sony. È difficile immaginare un futuro dove Microsoft lasci a PlayStation VR il monopolio della Realtà Virtuale su console.

hololens futuro dei videogiochi
E Hololens? Rientra nei piani per il futuro dei videogiochi di Microsoft, o la Mixed Reality rimarrà al palo rispetto a VR e AR?
Per la Realtà Aumentata invece il discorso è diverso. Al netto della faccenda Hololens (che tecnicamente rientra nella Mixed Reality), l’accenno di Spencer a “tutti i nostri schermi” e ad “esperienze diverse a seconda dello schermo” apre la porta alla possibilità di utilizzare lo smartphone. Se davvero gli smart device diventeranno gli schermi del futuro per i videogiochi, perché limitarsi allo schermo? Sfruttare l’hardware in modo creativo, a tutto tondo, non è un discorso da scartare a priori.

Quello che però non è stato discusso in podcast sono le conseguenze per l’industria dei videogiochi, di questo futuro.

Spencer ha citato spesso Spotify, che paga gli autori dei brani per ascolto. Non molto dissimile dal modello adottato da Google per YouTube o da Amazon per Kindle Unlimited, dove l’autore viene pagato per ogni pagina letta tramite l’abbonamento. Ipotizzando di applicare questa formula ai videogiochi, si va inevitabilmente a condizionare il tipo di videogiochi prodotti nel futuro: diventa più profittevole dedicarsi a videogiochi che garantiscono più ore di gioco, i famigerati GaaS oppure le esperienze dalla longevità estrema.

Approcci che sono entrati in crisi recentemente, se si guarda per esempio al caso di Ubisoft- Non è un caso che infatti Guillemot qualche mese fa avesse un’idea diversa, quella di Open World “inclusivo” dove è il giocatore a decidere quanto e come giocare al titolo.

L’alternativa potrebbe essere pagare lo sviluppatore per download. Sulla carta, sicuramente più democratico. Di contro, è una strategia che va ad incentivare il numero di rilasci di videogiochi all’anno per studio, e che quindi potrebbe portare ad una sorta di involuzione. Invece di avere centinaia di persone a lavoro su un grande progetto per anni, si potrebbe passare ad avere team più piccoli, a lavoro su progetti completabili nel giro di mesi. O comunque la frammentazione di uno stesso prodotto in più uscite, una versione deviata del formato episodico a cui comunque le grandi case stanno già guardando (vedi Final Fantasy VII).

Quello del pagamento per download è un modello che insomma, sta facendo bene all’ambiente mobile (chi entra in Apple Arcade può affrancarsi dalle logiche del modello freemium, per esempio), ma che applicato alla grande distribuzione potrebbe non essere ottimale. Anche se va detto che non è nemmeno ipotizzabile che si continui così, con i grandi player dell’industria (Microsoft per il suo pass, ma anche Epic per quanto riguarda le esclusive temporali di Game Store) disposti a mettere soldi direttamente al portafogli per “indennizzare” gli studi che scelgono di distribuire così i loro titoli.

Di contro, tirando in mezzo lo streaming diventa impossibile pagare lo sviluppatore per download, venendo meno il concetto stesso di download. Si potrebbe eventualmente formulare un tariffario per sessione di gioco, che però finisce per ricondursi al modello ad ore. O, in extremis, pagare solo per ogni primo avvio del gioco.

Quello che è certo è che siamo alle soglie di una nuova epoca, e non possiamo non chiederci come sarà il futuro dei videogiochi. Anche se Stadia per il momento è entrata dalla porta di servizio, e il modello in streaming non sta riscuotendo un successo clamoroso. Ma il caso di Microsoft è diverso: Google al momento non ha degli studi di sviluppo di videogiochi suoi (né ha investito per l’aquisto di esclusive) e non ha un ariete del calibro di Game Pass. Se Stadia vuole essere il futuro, deve prepararsi e non può permettersi di rimanere semplicemente a guardare.

Come chiunque altro nella storia abbia vissuto una rivoluzione…

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