Dino Cioce

Speciale Il confine inviolabile tra reale e virtuale

Esiste un confine inviolabile che separa il mondo reale da quello virtuale? È già da un po’ che mi pongo questa domanda, a metà tra la filosofia, la passione per la tecnologia e l’amore verso il mondo dei videogiochi. Ormai l’evoluzione tecnologica si sta dirigendo verso la ricerca di diverse forme di realtà come quella aumentata piuttosto che virtuale. Caschi e visori diventeranno progressivamente degli accessori a uso e consumo di tutti. Sebbene ancora questo mondo è esclusivo e dedicato principalmente al popolo dei gamer si sta velocemente aprendo verso scenari alternativi. La medicina, per esempio, sta compiendo dei passi importanti grazie a questo approccio.

Il potersi allenare su situazioni imprevedibili, sfruttando il fattore immersivo delle tecnologie virtuali, può salvare delle potenziali vite. Ma esistono degli ambiti applicativi che sono molto pericolosi perché vanno a toccare una parte del nostro io che sinora era sacro e inviolabile. Pericolose applicazioni che tentano di assotigliare il confine tra il mondo reale e quello virtuale.

Può un visore VR riportare in vita qualcuno?

Ma lei resta comunque morta

Prendo in prestito questa frase dal sito n.1 nel campo della comunicazione videoludica italiana. Giuro che al termine dell’articolo ve la restituisco. Multiplayer ha pubblicato il 9 febbraio un articolo intitolato Mamma incontra figlia morta grazie alla realtà virtuale”. Questo, a sua volta, si è ispirato, citando opportunamente la fonte, a un articolo scritto da Repubblica Una mamma “incontra” la figlia morta grazie alla realtà virtuale. L’esperienza in un documentario”.

Dato che madre natura mi ha dotato di un cervello in grado di capire e (ogni tanto) comprendere, ho provato a cercare su Google qualcosina di genuino e veritiero. Inserendo come stringa di ricerca “dead son vr” il primo risultato è un articolo pubblicato sul portale Roadtovr che parla appunto della vicenda riportata dalle due testate precedentemente citate. Essendo stato pubblicato ben due giorni prima, noi lo riteniamo la fonte ufficiale e da questa infatti siamo partiti per scrivere il nostro articolo.

Chiusa questa parentesi iniziale, l’argomento trattato parla di come la tecnologia virtuale sia riuscita a riportare in vita la piccola Nayeon, deceduta all’età di 7 anni a causa di linfocitosi emofagocitaria. Attraverso l’uso della fotogrammetria, del motion capture e della realtà virtuale, l’emittente televisiva sudcoreana MBC, ha ricreato una versione computerizzata della piccola Nayeon. Il tutto per concedere alla madre un ultimo addio. Ci fermiamo qui. Per correttezza nei vostri confronti ci preme dirvi che i prossimi 9 minuti del video di seguito postato sono piuttosto toccanti per cui se non volete proseguire oltre vi capiamo. Io stesso ho fatto fatica a trovare la forza per scrivere questo articolo dopo averlo visto. Ancora oggi ci penso e ci ripenso.

Il miracolo tecnologico messo in atto da questo esperimento è forse primo nel suo genere. Non ci riferiamo solo ai mezzi tecnologici utilizzati ma al contesto in cui è stato operato. Mai prima d’ora si era arrivati a scavalcare un confine quasi inviolabile, quello della vita e della morte, andando a sovrapporre il mondo reale con quello virtuale. La cosa che più mi ha impressionato nel video è il comportamento della madre della piccola Nayeon. Durante le fasi iniziali dell’esperienza lei era visibilmente commossa e incredula di fronte alla sua visione. Stava riabbracciando sua figlia, la toccava, la accarezzava, le parlava e la piccola rispondeva agli stimoli. Il tempo sembrava essersi riavvolto, prima di quella maledetta malattia.

Superata questa fase iniziale succede qualcosa di strano e di inaspettato. La madre non piange più e non appare nemmeno commossa. Gioca con la figlia, si siede al tavolo con lei e festeggiano il compleanno della piccola. Sembra quasi che quella realtà precostruita apposta per rivivere un ultimo saluto non sia più virtuale. E mentre tutti gli spettatori, compreso me, vedono una donna che si muove, quasi senza senso, in uno scenario “green screen”, lei, invece, vive il suo nuovo mondo, quello in cui sua figlia non è mai morta.

Questa cosa mi fa paura.

Mai prima d’ora si era arrivati a scavalcare un confine quasi inviolabile, quello della vita e della morte, andando a sovrapporre il mondo reale con quello virtuale.

Reale o virtuale: cosa scegliete?

Mentre i fotogrammi del video scorrevano inesorabili davanti ai miei occhi mi sono chiesto: “E io cosa avrei fatto in quella situazione? Se mi fosse data la possibilità di riabbracciare, almeno per un’ultima volta mio nonno, o il mio cane, entrambi trapassati, come mi sarei comportato?”. Ed è lì che ho provato un senso di paura, con un vuoto nello stomaco e il cervello che girava a manetta. Perché non riesco a rispondere a una domanda così facile e banale? Semplice, perché non lo è. Potremmo fare il solito discorso di dipendenza tecnologica e di come ormai la nostra vita sia assoggettata al Dio “Tech”.

Ma no, niente di tutto ciò.

Se vi fosse data una seconda occasione voi cosa fareste? Se un visore VR potesse ricreare una perfetta seconda chance voi la cogliereste? La differenza tra il reale e il virtuale è proprio questa. La vita vera è fatta di molti eventi ripetibili ma anche altrettanti univoci e non replicabili. Ognuno di questi ci lascia e ci ha lasciato qualcosa che ha influenzato la nostra vita, facendoci crescere sino ad arrivare a quello che siamo adesso. Noi ci costruiamo sulla base di questo gameplay, che alterna unico e ripetibile.

Il mondo della realtà virtuale si basa sui checkpoint e sui resume. Potete iterare quanto volete un determinato momento o un evento particolare. Avete la facoltà di ricreare una specifica situazione e descriverla e dettagliarla come volete. Potete anche ricostruire un evento particolarmente negativo, vissuto nella vita reale, e volgerlo a favore vostro in una realtà virtuale. Siete dei single incalliti e non riuscite a trovare la vostra anima gemella? Mettete un visore e diventate dei latin lover. Il tutto con il savegame a portata di mano.

Vi rifaccio la domanda con cui abbiamo iniziato: esiste un confine inviolabile che separa il mondo reale da quello virtuale? Se esistesse, voi lo oltrepassereste?

Se vi fosse data una seconda occasione voi cosa fareste? Se un visore VR potesse ricreare una perfetta seconda chance voi la cogliereste?

Toccare con mano l’invisibile

Ci ho dormito sopra e sentivo dentro di me che ancora mancava qualcosa a questo articolo, ma non sapevo cosa. Il video mi aveva sconvolto ma al tempo stesso ha scatenato qualcosa in me di indecifrabile. Poi ho avuto un’illuminazione e ho capito cos’era. Ho capito che sono i videogiochi, coniando una personalissima definizione del medium che amo più di tutti:

Un videogioco è un elaborato software dove fredde righe di codice di programmazione incontrano il calore della grafica, del colore e dei suoni. La costruzione dei livelli, del meta e del gameplay risponde al preciso intento degli sviluppatori e rappresenta l’idea alla base del progetto. L’idea, con lo sviluppo, prende forma e diventa, giorno dopo giorno, sempre più precisa. L’invisibile, tutto d’un tratto, diventa reale e si può toccare con mano.

Dino Cioce, SEO Editor per I LoveVideogames
Questa definizione è perfetta per uno sviluppatore di videogiochi, ma noi siamo gamer e siamo solo in grado di tenere un pad in mano e decretare, più velocemente di Metacritic, il voto di un prodotto videoludico. No, non è vero. Siamo in realtà molto di più. Noi siamo in grado di entrare in un mondo virtuale, coglierne tutti gli aspetti, analizzarli minuziosamente e farli nostri. Questo è quello che facciamo. Questo è quello che siamo.

Attingiamo a tutte le nostre competenze per allinearci al meta e succede la magia. Anche noi riusciamo a toccare con mano l’invisibile. Quasi come se fosse un sogno ad occhi aperti. Ma se quel videogioco fosse una vera esperienza di vita, della mia vita? Se il meta del gioco prevedesse di ripercorrere, quasi come se fosse un eterno giorno della marmotta, un evento particolare della nostra vita, cosa potrebbe accadere?

Qui possiamo attingere lo stesso dalle nostre esperienze di gamer ma entra in gioco un firewall difficile da penetrare: il cuore. Si innescano emozioni, ricordi, arrivando nelle profondità dell’io. Ci mettiamo in gioco, cominciamo a dubitare sul perché ci comportiamo sempre in maniera diversa, sul perché non ci abbiamo pensato prima e sul perché quella volta non ci siamo comportati così. Vere iterazioni della vita. Il fattore immersione amplifica il tutto a la tecnologia VR lo eleva a potenza.

Il videogioco è una forma d’arte e come tale porta con se una buona dose di rischio. La Commedia di Dante è stata scritta prendendosi un sacco di rischi (dal fatto che fosse in italiano ai contenuti che erano molto di denuncia) ed il risultato è stato quello di creare una coscienza. Oppure pensate a quello che ha fatto Marx col manifesto. L’arte veicola idee, sensazioni e sentimenti ed è tutta roba che vi tocca, e quindi può fare male.

Pietro Iacullo, in sede di revisione dell’articolo
Toccare con mano l’invisibile è pericoloso. Ci sono mondi e realtà, come quella del reale e del virtuale, che devono avere un confine e un limite ben definito. Bisogna sempre riconoscere dove inizia uno e finisce l’altro, avere dei punti di riferimento ben saldi, come i totem di Inception che rivelavano se si è ancora nel sogno o si è tornati nella realtà.

Ognuno di noi ha bisogno di un totem e per quanto possa essere bellissima l’idea di avere una seconda opportunità,

è meglio rievocare un ricordo che viverlo.

#LiveTheRebellion