In parallelo agli
Ilvg Awards, che eleggeranno il gioco dell’anno dell’utenza, i redattori di I Love Videogames hanno deciso di preparare degli articoli più personali a proposito del loro 2016 videoludico stilando la loro personale classifica sui giochi dello scorso anno.
Anno nuovo, giochi nuovi. E se quello che abbiamo sentito negli scorsi mesi si concretizzerà anche solo in parte, ci aspetta un 2017 videoludico col botto. Tuttavia, prima di addentrarci nelle novità, tra
l’arrivo di Switch, i nuovi
Mass Effect,
Prey,
Resident Evil, e (personalmente uno dei più attesi)
South Park, è bene anche fare un po’ il punto della situazione di quello che abbiamo vissuto quest’anno.
Personalmente parlando, se il 2015 è stato l’anno dei remake, il 2016 mi ha fatto riscoprire una vena PCista. Che sia perchè c’è stata molta mediocrità (salvo rare eccezioni come
Uncharted 4), o semplicemente non ci sia stato un singolo titolo esclusivo che mi abbia fatto gridare al capolavoro, quest’anno il settore console è passato in secondo piano, almeno per me. L’ultimo chiodo sulla bara l’hanno piantato delusioni come
Mighty N°9,
No Man’s Sky e
Final Fantasy XV, tutti vittime dell’hype.
Niente fanatismi stile “master race” alla base di questa TOP 5 completamente dedicata a titoli PC, ma che da un lato avrei sperato fosse decisamente diversa.
Vi dirò la verità: dietro questa scelta, al di là dell’indubbia qualità del titolo di Eidos Montreal, c’è un po’ del me stesso
ragazzino degli anni ’90 che si perdeva su Jhonny Mnemonic, Nirvana e Blade Runner. Tutto il meglio di quell’atmosfera cyberpunk cupa e pessimista di fine millennio, che in
Mankind Divided si mescola alla perfezione con le paure e i dubbi etici del 21esimo secolo. A questo si unisce la forte dose di libertà d’approccio alle varie situazioni, dando veramente la sensazione di essere partecipi di quel mondo che sta oltre lo schermo, anzichè semplici spettatori passivi inchiodati su dei binari. Un po’ le stesse motivazioni che mi portarono ad amare l’originale di Ion Software, insomma. Un vero peccato, purtroppo, non poterlo mettere su uno scalino più alto: al di là di certe meccaniche mal sfruttate (crafting per primo), niente ci riporta alla brusca realtà quanto
un’IA che definire ridicola è un complimento, e che nonostante la voglia di sperimentare, porterà invariabilmente a sfruttare a manetta i potenziamenti stealth. Con tanti cari saluti del me stesso anni ’90…
Con un anno di ritardo rispetto al resto del mondo, ma
anche noi ce l’abbiamo fatta, finalmente…
Chiariamo un punto:
se non avete mai visto LEGO Movie, siete delle brutte persone. Il motivo è chiaro a chiunque abbia mai preso in mano un mattoncino LEGO, fondere assieme fantasia e realtà in infinite possibilità. Un fascino che prende tutti, grandi e piccini, unito ad un senso dell’umorismo adatto ad ogni fascia d’età.
Lo stesso fascino che TTGames porta da oltre dieci anni in ogni sua rivisitazione a mattoncini dei brand più popolari, e che,
in LEGO Dimensions si trasforma nel miglior esempio del settore Toy To Life (videogame con miniature collezionabili, per farla semplice). Introducendo delle meccaniche di “noleggio”, che diminuiscono la frustrazione e la necessità di sborsare altri soldi per comprare minikit e minifigure; aumentando il livello di interazione tra figure reali e controparti virtuali, rendendo il portale molto più utile che in titoli simili; dedicando addirittura una particolare attenzione l background di ogni singolo personaggio e ambientazione, anzichè limitarsi ad una semplice generalizzazione di modelli e set…
Tanti piccoli dettagli che,
avendo a disposizione abbastanza tempo e soldi, renderebbero l’opera omnia di TTGames come il gioco perfetto per chiudere il cerchio iniziato quando avevo cinque anni…
Peccato solo che questo significherebbe portar via tempo prezioso a molti altri titoli, e che anche volendo a tutti i costi andare oltre i difetti, LEGO Dimensions soffre degli stessi identici problemi che hanno piagato i titoli TT Games da un decennio a questa parte, e che a questo punto non sono più scusabili…
Terzo posto: Inside
Avete mai avuto la sensazione che il titolo che state giocando lo avete già visto da qualche parte? Ecco, con Inside questo è più che un semplice dejà vu, quello che abbiamo davanti
è letteralmente il fratello maggiore di Limbo. Sia perchè entrambi figli dei danesi Playdead, sia perchè le strutture utilizzate, sia come narrazione, sia come meccaniche, sono le stesse. Per chi come il sottoscritto è sopravvissuto all’incubo Trial & Error che era
I Wanna Be The Guy, il “bastone” delle ripetute morti non è un grosso problema, così come non lo era nel titolo del 2011, e
la “carota” di una storia appena accennata e aperta alle più disparate interpretazioni è tanto intrigante quanto lo era, lo scorso anno, il concetto base di
Her Story.
Tuttavia, definire Inside semplicemente un attacco nostalgico per qualcosa che già in passato mi era piaciuto è riduttivo. Oltre alle
atmosfere a metà strada tra Silent Hill e Black Mirror, Inside è una di quelle rare gemme che
riesce a far parlare di sé per parecchio tempo anche dopo la sua fine, i cui strascichi durano molto più che le semplici cinque ore richieste per completarlo.
Se Mankind Divided offre libertà d’azione e una storia che reagisce e si adatta allo stile del giocatore in un contesto cyberpunk,
Dishonored 2 è la faccia steampunk della medaglia. Le stesse possibilità di imporre il proprio ritmo e la stessa profondità strategica sono condivise da entrambi i titoli, solo che
l’universo di Arkhane e Bethesda lo fa meglio, limando quasi tutti quegli spigoli che frenano il gioco di Eidos Montreal. L’IA delle guardie di Dunwall e Carnaca, specie in combattimento, è a dir poco brutale, ed è in grado di tenere tranquillamente testa ad un giocatore esperto anche in piccoli gruppetti, e nonostante i poteri dichiaratamente esagerati di Emily e Corvo. Il sistema di crafting è
molto più elaborato e decisamente più utile, anche se richiede sforzi maggiori per ottenere le materie prime necessarie per qualsiasi cosa.
Certo, ci sono anche lati negativi, a cominciare dal fatto che si tratta sostanzialmente di
riproporre la stessa minestra narrativa del primo Dishonored, anche se l’aggiunta di un doppiaggio d’eccellenza (preso, in parte, dal cast del Daredevil di Netflix) rende tutto più sopportabile. Anche voler giocare su più punti di vista aiuta: così, oltre alla prospettiva di un Corvo Attano indurito e memore delle cospirazioni passate,
Emily offre una piacevole alternativa, mostrando dall’interno la crescita e la maturazione del personaggio e del mondo che la circonda.
Se solo questo fosse stato fatto con una
maggior cura e meno fretta, per quanto mi riguarda, ci sarebbero state poche remore ad assegnargli il podio.
Per il secondo anno di fila, invece, la mia personale lista dei “buoni” del 2016, vede in cima quelli che non fatico a definire come
veri e propri artisti nella narrazione interattiva. Con la saga di Sorcery!, presa dalle mani di Steve Jackson e trasformata in qualcosa di nuovo, Inkle ha dimostrato non solo di avere tutto il diritto di maneggiare classici narrativi, ma anche di
potersi permettere di evolverli, offrendo al giocatore qualcosa che difficilmente rimane sgradito.
Con il terzo capitolo, poi, recensito lo scorso anno,
il team aveva inventato il primo librogame open world della storia, creando aspettative così alte per il gran finale che matematicamente c’erano ben poche possibilità di rispettarle. E invece, il loop temporale introdotto in The Crown of Kings, assieme alla capacità di trarre le fila di tutte le trame e sottotrame messe in campo durante questi quattro anni, avvolto in quella sensazione da gioco da tavolo che ha accompagnato la saga,
riesce nel piccolo miracolo che è fornire una conclusione col botto.
Ammetto che in questa
recensione ben poco imparziale, ci sia molto del mio passato da giocatore di ruolo e amante di giochi da tavolo e librigame, e quindi non è proprio immediato condividere questo entusiasmo. Tuttavia,
Sorcery! è un esercizio di narrativa e sperimentazione in un’industria che, sempre più spesso tende alla ripetitività e ad affrontare le sfide di mercato a passi troppo piccoli, e solo per questo, secondo la mia modesta opinione,
merita un riflettore molto, molto ampio. Che poi si tratti davvero di un prodotto di qualità, che va ben oltre il suo costo, sia in termini di giocabilità che di longevità, è solo la ciliegina sulla torta.
#LiveTheRebellion