La prima edizione della European Conference on Digital Psychology (ECDP) si è chiusa di recente. Come lascia ben intendere il nome, il cuore del convegno è il legame fra la mente e i prodotti digitali, compresi i videogiochi. Gli interventi hanno toccato gli ambiti più variegati. Fra le altre cose, si è parlato di modulazione e comprensione delle proprie emozioni, oltre che di giochi come supporto a patologie e panoramiche sul loro uso nella professione medica.
L’autorità che critica altezzosa i giochi come una perdita di tempo è ancora presente nella coscienza collettiva. In alcuni casi l’immagine mentale è anche giustificata, probabilmente. Tuttavia, l’ambito accademico ha da tempo preso atto della rilevanza del medium, e il fatto che si portino avanti ricerche non è nulla di nuovo. Scienze cognitive, critica artistica, economia, e molti altri campi hanno abbracciato lo studio dei videogiochi. Da una parte, giocare è un’attività che coinvolge l’attenzione dell’utente come nessun altro tipo di intrattenimento. Dall’altra, la produzione videoludica occupa uno spazio nel mercato dello svago che è difficile da ignorare. Il gioco è una cosa seria, ora più che mai. Detto questo, gli interventi presentati all’ECDP sono generalmente positivi, in accordo con la letteratura scientifica degli ultimi anni.
Capire e capirsi
Un concetto che appare fra le ricerche è quello di autoregolazione emotiva, ovvero la capacità di riconoscere e controllare i propri stati emotivi. L’argomento, che in questo caso appare nella presentazione di Claudia Carissoli, è già oggetto di studi da molti anni. Giocare regolarmente e in giusta misura sembra favorire lo sviluppo di una maggiore coscienza dei propri stati emotivi. Questo avviene proprio in virtù delle caratteristiche intrinseche del prodotto che si fruisce. Di fatto, confrontarsi con un videogioco vuol dire fallire. Non parliamo certo di fallimenti irreparabili. Non si può negare, tuttavia, che nell’arco di una partita chi gioca sia costretto a confrontarsi (anche molte volte) con i propri errori.
Vedere i propri sforzi andare in fumo a seguito di uno sbaglio è certamente un sentimento difficile da gestire. Le tastiere e i controller dei meno pazienti fra noi ne sono testimoni ogni giorno. Ma il tempo e la pratica semplificano ogni cosa. I giochi, quindi, sembrano essere il miglior laboratorio per qualsiasi persona che abbia voglia di lavorare su di sé.
I benefici alla mente portati dai videogiochi arrivano dunque nella forma di un campo di prova, dove chiunque può vivere e rivivere brutte esperienze in prima persona. Se si sfoglia un romanzo si legge di qualcuno che fallisce, mentre se si guarda un film si vedono gli errori di altri. Giocando si sbaglia, anche se l’avatar fa da intermediario. Sbagliare è imparare a convivere con i propri errori, e i giochi permettono di farlo in tutta sicurezza.
Anche l’avatar, il prestavolto digitale, è oggetto di particolare attenzione. Il giocatore può sperimentare identità altre, vestendo panni altrui in tutta sicurezza. Da questo punto di vista è interessante notare come nell’intervento si sottolinei il ruolo attivo del giocatore. Altre ricerche mostrano invece come sia l’avatar a influenzare il suo comportamento. Che sia il giocatore a determinare l’avatar, o che sia l’avatar a trasformare il giocatore, il rapporto che esiste fra i due è molto, molto stretto.
Senza soffermarsi oltre sull’ECDP, in genere si ha una sensazione strana leggendo articoli dove si parla di videogiochi come regolatori dell’umore benefici per la mente. Leggere di uno studio fatto su dei giocatori di Starcraft II e sui loro livelli di stress durante il gioco può sorprendere tanto gli esperti quanto i curiosi. O meglio, per i primi può risultare interessante sapere che “la consapevolezza interocettiva risulta maggiormente collegata ai problemi affrontati, più che a questioni emotive vere e proprie“. Per chi invece si trova dalla parte del giocatore, non c’è molto da dire sul fatto che perdere una partita sia stressante. È ovvio, diamine.
In sostanza: se i videogiochi attirano attenzione è una cosa buona
Sapere che ci sono ricerche sull’uso dei videogiochi come mezzo di intrattenimento e di sfogo dello stress suona banale. Studi sul beneficio di sessioni stabili e di giusta durata, rispetto a giocate irregolari o troppo lunghe, sembrano più esercizi di buon senso che esplorazioni scientifiche. Chi gioca, lo sa. Questo genere di ricerca è però molto importante.
La nascita di ambiti accademici dedicati ai giochi, e la presa in considerazione dei videogiochi come oggetto di interesse e sperimentazione (che sia per critica artistica, studi sulla mente o quant’altro) non sono che il segno di una maggiore accettazione nei loro confronti.
Possiamo considerare più innovativi o utili alcuni ambiti di ricerca rispetto ad altri. Tuttavia, quel che ci deve colpire è il valore simbolico dell’interesse generale rivolto al medium. In sostanza: se i videogiochi attirano attenzione è una cosa buona. Che se ne evidenzino i benefici o che ci si concentri su alcuni aspetti negativi, ogni contributo ci rende un po’ più consapevoli di limiti e punti forti del prodotto che amiamo. Personalmente, sono felice che si faccia questo sforzo.
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