L’esperienza del tatto. Sentire con le dita quello che ad oggi hai potuto solo immaginare.
Sony ci spiazza con questa novità del DualSense di PS5. Una mazzata sul collo che ci risveglia da torpore di queste giornate reclusi in casa. E ci da una mazzata con un gamepad elegante, ergonomico e innovativo. Perché quel bicolore del DualSense è decisamente elegante. Potresti metterlo vicino ad un Mac e non sfigurerebbe per niente. Ma chi cappero ce l’ha il Mac direte voi? Io no di sicuro, ma sono indubbiamente eleganti, e per me, quello sopra, è un gran complimento. Tralasciamo, però, il gioco a cinque dita sul gamepad – il bianco si sporca subito– e parliamo un po’ delle novità e di cosa ispirano in un giocatore medio come me.
Dreams – cast o Dreamcast?
Partiamo da due argomenti che, se non trattati con i guanti, rischiano di sfociare in speculazioni talmente esagerate, che si rischia poi di diventare 50enne di botto e si finisce a commentare indignati sotto le pagine che parlano di giochini. O forse non serve essere 50enne per fare stronzate come giudicare senza provare? Chissà. Comunque, il DualSense è palesemente il figlio illegittimo tra Dualshock 4 e il Gamepad di Xbox. Una mossa da una parte provocatoria, da un’altra oculata e da un’altra ancora rischiosa.
Sin da PlayStation 2 abbiamo avuto controller puro nero, se si escludono quelli taroccati che compravi dal cugino americano. Qui abbiamo un bianco fortissimo che potrebbe mettere a rischio l’identità del brand nell’immaginario collettivo. Lo so che a voi sembra assurda come cosa, ma anche un minimo cambio di colore può fare la differenza. Che abbiano rischiato solo per attrarre l’attenzione? Probabile, ma non è la cosa più importante.
Sarà comodo questo gamepad? Secondo voi, ad oggi, possiamo esprimere un giudizio sulla comodità o meno del DualSense? Ovvio che no, e non credete a chi vi dice il contrario. Al massimo possiamo tirare fuori qualche ipotesi prendendo alcuni elementi e paragonandoli alle esperienze passate. Se seguite la scia lasciata da questa frase con me, arriviamo insieme al controller di Dreamcast. Un controller, quello del Dreamcast, apparentemente molto distante da DualSense. Un Buzz Lightyear scolorito e accartocciato paragonato a un controller futuristico. Eppure, se lo guardate bene, la forma squadrata, i grip e la distanza tra le frecce direzionali e i tasti sono molto simili. Il controller di Dreamcast era tanto comodo quanto brutto, che questa cosa sia un punto a favore per DualSense? Lo scopriremo, ma neanche questa è la cosa più importante. Anche se è palese che rientri tutto nel discorso “esperienza del tocco di DualSense”.
La novità di DualSense che davvero mi ha colpito, e che finalmente posso dirvi dopo avervi tenuto sulle spine, è la trasformazione del tasto Share nel tasto Create. Cosa? Come? Una roba così banale? Che ha di diverso? Boh, non lo sappiamo, ed è questo il punto. Loro non vi stanno vendendo le funzionalità, ma l’idea. Assurdo che io debba spiegare questa cosa nella società delle immagini, ma siete davvero convinti che le aziende vi vendano il prodotto? Perché se la risposta è sì, io farei un attimo mente locale fossi in voi. Ma quando prendete in mano il telefono e guardate una foto qualsiasi di un influencer o di un brand, voi, cosa avete tra le mani? Nulla. Le immagini sono il simbolo dell’intangibilità. Eteree come la rete.
Se quindi basta solo un’immagine a vendere un prodotto, secondo voi, le funzionalità e i numerini da smanettoni servono a qualcosa? Assolutamente no. E ancora una volta viene a farci lezione il cadavere di Steve Jobs. Il primo spot pubblicitario del primo Machintosh è oro e vi insegna come un’idea venda più dei fatti. Lui non dava importanza all’hardware, ma al software. E come te lo ha venduto? Con un parallelismo ideologico con 1984 di Orwell. Un futuro distopico non più distopico perché arriva un qualcosa che ci fa aprire gli occhi e porta la luce. Cosa ha fatto Sony con il DualSense? Ti ha cambiato il tasto Share nel tasto Create. Ti sta dicendo: non sono solo i programmatori a scegliere come vivrà il videogioco, ma sei tu stesso il demiurgo di quella materia informe e piena di possibilità.
Ecco che ritorna il “For the Players”, ecco che ti si apre un universo di possibilità e di “sogni”. La citazione a quel capolavoro di Dreams non è a caso. L’ideale è quello: molto è in mano ai videogiocatori e, di conseguenza, gli sviluppatori potranno sperimentare ancora di più. La libertà racchiusa in una parola sola. Venitemi a dire che non è la cosa più importante.
Create. La libertà racchiusa in una parola sola.
Dare colore all’esperienza del tocco
Ok, abbiamo parlato di tante cosine, ma questa “esperienza del tocco” che continuo a buttarvi un po’ qui e là ancora non l’ho affrontata per bene. Finalmente è arrivato il momento di parlarne. Tra le novità di DualSense troviamo i trigger aptici. E che vuol dire? Sostanzialmente che i grilletti reagiranno a seconda delle situazioni in gioco alla nostra pressione. Per fare un esempio: se stiamo tendendo un arco, sarà più difficile per noi premere il pulsante. Caratteristica già annunciata e che continua a farci sbavare. Io non vedo l’ora di provare in prima persona queste sensazioni. Inoltre, DualSense nella versione presentata non ha i colori sui tasti. È tutto trasparente.
Questa cosa mi ha fatto pensare: come farà un novizio a memorizzare i tasti? No, non sto dicendo che chi inizia a giocare ora è un incapace, semplicemente che io stesso ho memorizzato i tasti di PlayStation grazie al colore oltre che alla forma. Pensate che è talmente importante il colore, che il motivo per il quale noi confermiamo con la X è perché essendo il cerchio rosso visivamente noi lo ricolleghiamo alla negazione o al rifiuto. Al contrario, in Giappone il tasto per la conferma è il cerchio, perché il simbolo X per loro è rifiuto. Quindi, è importante il colore dei tasti. Che non sia così fondamentale per le esperienze immersive che vuole proporre PlayStation 5?
Se ora prendiamo queste due cose e le uniamo al fatto che Sony, come già abbiamo detto più volte, punta all’esperienza singleplayer totalmente immersiva, arriviamo a capire anche il signoficato di “esperienza del tatto”. Visivamente i videogiochi sono già eccezionali. Hanno raggiunto livelli inimmaginabili, addirittura con la realtà virtuale. Ma la vita non è fatta di sola vista, di sensi ne abbiamo cinque. Il sonoro, ne abbiamo già parlato, sarà una componente determinante per la next gen, sopratutto per quanto riguarda PS5 ,e quindi un altro senso lo abbiamo fatto. Olfatto e gusto sono sintetizzabili con le immagini, o meglio: approssimabili.
Se ci fate caso, quando guardate un film o giocate ad un videogioco, vi capita di sentire odori o sapori senza che questi siano presenti in sala o in camera. Questo perché nel nostro cervello si attivano i neuroni specchio che di riflesso ci fanno percepire le sensazioni che il film o il videogioco vuole comunicare. Durante questa fase attingiamo al nostro bagaglio di ricordi, e approssimiamo quella sensazione. Ovviamente se non c’è mai capitata una situazione simile, o non la percepiamo, o la approssimiamo a qualcosa che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. Quindi, questi due sensi più o meno li abbiamo risolti. Ne manca uno, uno fondamentale: il tatto.
Costantemente abbiamo le dita o l’intera mano su una periferica quando videogiochiamo. Questo strumento ancora ci distanzia dalla realtà altra del videogioco. Avere le mani su qualcosa di sicuramente responsivo, ma non ben approssimato, ti fa continuamente rimbalzare fuori e dentro la realtà virtuale. Situazione che il videogioco vuole risolvere. Videogiocare è in primis agire, e per compiere un azione abbiamo bisogno di trovare il nostro equilibrio, che sia dell’intero corpo o solo delle dita. Ed ecco che Sony tira fuori dei controller in grado di approssimare, almeno sulla carta, davvero bene la realtà.
Addirittura anche i tasti R1 e L1 cambiano faccia: sono più alti e questo può significare la presenza del feedback aptico anche su dei tasti normalmente non pensati per questa funzione. “Esperienza del tatto”, quindi. Un qualcosa che vuole proiettarti nel futuro dei videogiochi, facendo un passino avanti verso l’immersività totale e quella evasione che tanto decanta chi parla dei giochini.
L’unica novità di DualSense che non mi ha detto niente è il microfono integrato. Utile, ma sicuramente ci saranno degli Handset fatti ad hoc da Sony.
Videogiocare è in primis agire
Ovvio, siamo nella speculazione più totale, quindi prendiamo tutti con le pinze queste cose. Siamo partiti dalle novità di DualSense e abbiamo viaggiato per mondi fantastici. Ma alla fine di un gamepad stiamo parlando. Uno strumento che può, come spero di avervi mostrato anche se velocemente, essere un mezzo per comunicare la propria identità al di là delle funzionalità, ma rimane sempre uno strumento. Per queste cose bisogna aspettare la prova ufficiale e la prova personale. La soggettività dominerà sempre sul prodotto. Può essere la cosa più bella del mondo, ma se ti ci trovi male, non puoi farci nulla.
Così si chiude questo lunghissimo flusso di coscienza sulle novità di DualSense e vi lascio ricordandovi che:
giocare significa soprattutto sperimentare ciò che ancora non conosciamo
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