Diventati ormai delle vere e proprie rockstar, i Game Director delle più famose case di sviluppo influiscono con il loro stile innovativo (a volte anche folle) l’intero panorama videoludico. Creatori di veri e propri sottogeneri, hanno ottenuto una libertà creativa senza precedenti, potendo riproporre il loro peculiare stile in tutti i videogiochi che sviluppano. Cosa davvero non da poco data la sempre più invadente presenza dei publisher, e quindi del marketing, nello sviluppo di un titolo. Tutto questo è diventato possibile grazie alle sempre più crescenti fanbase che ogni grande autore ha visto crearsi attorno a se.
Essa ripone nel proprio idolo una fede quasi religiosa, la quale mai viene messa in discussione anche dopo qualche flop. Vediamo dunque quali sono i dieci Game Director che al momento sono i più influenti a livello globale. Cercheremo di capire le innovazioni che hanno introdotto nel mondo dei videogiochi e lo stile che li caratterizza.
Negli anni hanno ottenuto una libertà creativa senza precedenti
Se non avete mai sentito parlare di Hidetaka Miyazaki, molto probabilmente avete sbagliato pagina. Creatore di un vero e proprio sottogenere dei GDR, il cosiddetto soulslike, Miyazaki ha dal 2009 sfornato, assieme al team di From Software, una serie di titoli che hanno influenzato il gameplay dell’intero mondo videoludico. Autore di opere come Deamon’s Souls, Dark Souls, Dark Souls III, Bloodborne, Déraciné e del recente Sekiro: Shadow Die Twice. Miyazaki si è dimostrato un autore eclettico, in grado di creare storie e ambientazioni sempre differenti ma curati nei minimi particolari.
La narrazione adottata per raccontare l’immensa lore che caratterizza ogni suo titolo, è quanto più di singolare si sia mai visto. Nessun narratore esterno, nessun NPC logorroico. La storia viene narrata attraverso l’ambientazione, attraverso gli oggetti ritrovati, sporadici dialoghi che fanno porre ulteriori domande. Le atmosfere che si incontrano in ogni suo titolo trasudano di un fascino quasi surreale, le quali spingono il giocatore a voler scoprire sempre di più di quel mondo tanto enigmatico quanto sublime. Ma i soulslike non sarebbero ciò che sono senza il punitivo sistema di gameplay. A loro si deve il ritorno generale ad un maggiore livello di difficoltà. Il giocatore è chiamato ad allenarsi tecnicamente oltre che ad aumentare il livello del proprio personaggio.
Ora, dopo Sekiro, From Software si accinge a pubblicare quello che per molti sarà un nuovo capolavoro: Elden Ring, presentato con un enigmatico teaser all’E3 2019. Vi immaginate quante morti virtuali possono causare Martin e Miyazaki insieme?
Probabilmente l’autore del miglior reboot della storia videoludica. Cory Barlog è stato Lead Animator e Game Director di una delle saghe più importanti dei videogiochi, ovvero God of War. Un titolo che negli anni ha definito e ridefinito i canoni dell’action-adventure. Imbevuto di una sceneggiatura e di uno storytelling incalzante, God of War fa ampio uso di una delle più vaste mitologie al mondo, ovvero quella ellenica. In tutto questo inoltre, ha contribuito a creare un’icona immortale del videogioco la quale, nonostante il caratteraccio, è amata da milioni e milioni di fan in tutto il mondo. Ovviamente stiamo parlando di Kratos.
Ma è proprio con il reboot del 2018 che Cory ha conquistato l’olimpo dei grandi del videogame (senza però uccidere a destra e a manca come il suo pupillo virtuale). Il Game Director di Santa Monica è riuscito dove in molti hanno fallito miseramente: dare nuova vita ad un grande brand del passato.
Nel documentario da poco pubblicato nel canale ufficiale Sony, si vede come Barlog sia stato capace, attraverso la propria crescita personale, di catapultare Kratos in un mondo e in un gameplay più attraenti al pubblico di oggi. Cory è riuscito a donare a Kratos maggior profondità, senza però snaturarlo. Vincitore del The Game Award 2018 come miglior gioco dell’anno, God of War è già uno dei migliori giochi di sempre e non vediamo l’ora che arrivi il secondo capitolo della Seconda Era.
A giugno 2018, Pokémon è diventato il franchise più redditizzio di sempre, surclassando il sempre verde Star Wars. Della notizia nessun videogiocatore si stupì più di tanto. Ogni Pokémon in uscita diventa automaticamente il titolo più venduto del mese, per non parlare del merchandising. Parte di questo colossale successo senza precedenti lo dobbiamo attribuire a Shigeru Ohmori, che dal 2002 con Pokémon Rubino e Zaffiro, è stato Game Designer e Game Director di ogni titolo Pokémon di Game Freak.
L’opera di Ohmori è stata quella di evolvere lentamente, a piccoli passi felpati, un design molto amato dal pubblico, apportando migliorie e novità senza distaccarsi mai dalla primigenia idea di Satoshi Tajiri. Un compito assolutamente non semplice. Perché se da un lato il pubblico vuole rivedere quelle stesse meccaniche di base che hanno reso il gioco così famoso (mappa divisa in città collegate da aree selvagge, combattimento a turni, avanzamento a livelli…), dall’altro non vuole ritrovarsi tra le mani la copia del titolo precedente con all’interno solamente una nuova generazione (in realtà non è del tutto vero, vedi: Smeraldo, Platino, Nero 2 e Bianco 2 e Ultrasole e Ultraluna).
Ora, come fu per Pokemon X e Y, Shigeru si ritrova a dover dirigere un nuovo salto generazionale con Spada e Scudo. Vedremo se, anche su Switch, Pokémon riuscirà ad essere il brand trainante per Nintento che è sempre stato.
La sua scalata ai vertici di CD Project RED, iniziata nel febbraio 2004, è stata lunga ma inesorabile. Iniziando come Junior Tester per il primo capitolo di The Witcher, Konrad Tomaszkiewicz è riuscito ad arrivare all’ambita posizione di Game Director in The Witcher 3: Wild Hunt. Dopo due capitoli un po’ acerbi, ma dall’altissimo potenziale (sia come game design che come lore), Konrad e il suo team fanno letteralmente il botto a livello globale sfornando un titolo di altissima qualità e innovazione.
La cura per i dettagli in The Witcher 3: Wild Hunt è a tratti maniacale. Il mondo che circonda il nostro Geralt di Rivia si adatta alle decisioni prese dal giocatore come mai in un videogioco. Inoltre Konrad è riuscito a rendere accessibile l’intricata trama di The Witcher, che sul groppone portava ormai due capitoli fittissimi (per non parlare dei libri di Andrzej Sapkowski) ai neofiti della serie, spargendo qua e là rimandi e citazioni per accontentare i fan di vecchia data.
Ora per Konrad si affaccia una nuova sfida. Dopo l’abbandono di Sebastian Stępień, è stato nominato Vice President of Game Development e Design Director dell’attesissimo Cyberpunk 2077. Profondamente differente rispetto a The Witcher, Cyberpunk 2077 viene ad oggi decantato dalla stessa CD Project RED come una pietra miliare del mondo videoludico. Vedremo se il talentuoso Game Director di The Witcher 3: Wild Hunt, che ricordiamo è stato gioco dell’anno ai The Game Award 2015, riuscirà a partorire un figlio non suo e a farlo diventare ciò che è nato per essere.
Se esistesse unapoetica videoludica, Fumito Ueda ne sarebbe il Sommo Poeta, con tanto di corona d’alloro. Al netto dei difetti tecnici, il Game Director giapponese, assieme a Sony, ha dipinto (questo è il termine più appropiato) tre titoli unici, sia per la trama, sia per l’ambientazione che per il gameplay. Ico, Shadow of the Colossus e The Last Guardian a fatica rientrano in una delle classiche categorie videoludiche e la storia che li caratterizza è tanto evanescente quanto affascinante.
Di primo acchito i titoli di Ueda potrebbero sembrare spogli, grandi ambientazioni deserte popolate da pochissimi personaggi, che il più delle volte sono sfuggenti volatili. Le storie nelle quali vengono immersi i protagonisti potrebbero risultare banali ai più, a tratti addirittura incomprensibili. Ma se si riesce per un secondo ad accantonare queste sensazioni superficiali, è possibile comprendere quale poetica veicola il videogioco che abbiamo tra le mani.
Ueda spoglia il titolo di tutto ciò che è superfluo, per farci immergere totalmente nell’esperienza. È attraverso l’assenza che ci comunica le emozioni, non ci racconta quale sentimento dobbiamo provare, ce lo trasmette e basta. Fumito Ueda è forse il designer più più anticonformista del panorama videoludico, non crea videogiochi ma esperienze sensoriali interattive. Purtroppo lo sviluppo travagliato di The Last Guardian lo ha portato ad una rottura definitiva con Sony e al momento sta sviluppando un titolo indipendente assieme al suo team.
Avete mai sentito parlare di Uncharted 4: Fine di un ladro e The Last of Us? Bene, perchè dietro a questi due mastodontici capolavori targati Naughty Dog c’è proprio lui, Neil Drunckmann, assieme all’inseparabile Bruce Stranley. Assunto nel 2004 come stagista programmatore, Neil Drunkmann proprio non ne voleva sapere del grigio codice. Imperterrito ha continuato a chiedere al co-presidente di Naughty Dog di spostarlo nel reparto di game design, all’inizio senza successo. Dopo numerose insistenze, le scatole di Evam Wells si ruppero del tutto e, per nostra immensa fortuna, Neil approdò finalmente nel reparto tanto desiderato.
Mai la regia e la narrazione hanno raggiunto livelli così elevati all’interno di un’opera videoludica. E’ evidente come Neil abbia voluto adattare il game design al racconto e non viceversa. Questa scelta ha attirato numerose critiche, le quali, a torto, sostengono che i suoi videogiochi siano sostanzialmente dei film interattivi, con un gameplay povero. Ma questo la critica specializzata non lo sa e, con Uncharted 4 e The Last of Us, Neil ha vinto quasi tutti i premi assegnabili, ottendendo punteggi rasenti alla perfezione in tutte le testate. Alla base del suo successo c’è un singolo paradigma: semplice storia, personaggi complessi. Druckmann non ama i videogiochi con una narrazione complicata, ma si focalizza sulle complesse relazioni tra i protagonisti. Possiede una mentalità minimalista e mette in scena il minimo indispensabile per veicolare l’emozione che vuole trasmettere.
Non è stata ancora annunciata una data di rilascio, ma sappiamo che Naughty Dog e Neil Druckmann, in qualità di Game Director e sceneggiatore, stanno lavorando duramente nello sviluppo dell’attesissimo The Last of Us Parte II. Le aspettative sono alle stelle e superare il predecessore sarà davvero un arduo compito.
Genialità e follia sono due facce della stessa medaglia e Yoko Taro ne è la prova tangibile. Indossare una maschera grottesca, tratta da un suo videogioco durante gli eventi pubblici, è solo una delle particolarità del Game Director giapponese. Yoko nella sua lunga produzione videoludica, si veda su tutti la saga di Drakengard e Nier, ci ha abituati a titoli completamente fuori dagli schemi tradizionali.
Uno degli aspetti principali che caratterizza i suoi lavori è l’esplorazione del lato oscuro delle persone, delle motivazioni che le portano ad uccidersi a vicenda. Yoko non comprende la gioia che un videogiocatore prova ad uccidere una persona, anche se virtuale. Per questo ha reso folle il protagonista del suo primo videogioco. Inoltre utilizza una strana tecnica di scrittura, da lui denominata sceneggiatura all’indietro. Essa consiste nel delineare fin da subito il finale della storia, ricostruendo la narraizione a ritroso fino all’inizio. E attraverso una seconda tecnica chiamata photo thinking crea picchi emotivi durante la trama principale aggiungendo dettagli, per disperderli poi lungo la narrazione in modo che il giocatore possa costruire una connessione emotiva adeguata.
E stato per molto tempo un genio incompreso, le sue fatiche con Drakengard e Nier non sono mai state accolte con calore dalla critica internazionale. Ma finalmente con Nier: Automata, Yoko ha potuto prendersi la sua rivincita perché nessuno, nemmeno il più accanito detrattore, ha potuto svalutare quest’opera magna. Con il suo ultimo titolo uscito nel 2017, è stato capace di creare un’armonia unica tra il gamplay frenetico e una trama peculiare ed emozionante. Ogni elemento a schermo, anche quello apparentemente più insignificante, rappresenta un tassello fondamentale di un più ampio schema, magistralmente orchestrato dalla sua folle genialità.
Molti di voi sicuramente non riconosceranno questo paffuto e roseo volto, incorniciato da quel baffo e pizzetto brizzolato. Ma non appena vi sarà chiara la sua identità ed il suo lavoro molto probabilmente smetterete di leggere questo articolo. Purtroppo è un fatto fisiologico e senza tutti i torti. Ma è altrettanto un fatto che Fortnite sia un fenomeno sociale senza precedenti, andato ben oltre il media videoludico.
E’ incredibile come Darren Sugg, Game Director del titolo incriminato, e il team di Epic Games siano riusciti a creare un videogioco così popolare senza alcuna direzione artistica particolare, senza alcuna lore, con un gameplay solo in parte innovativo. Visto con gli stessi occhi con cui si giudica un qualsiasi altro titolo, che sia AAA o indie, Fortnite non arriva a superare nemmeno i numerosissimi giochini che negli anni ’90 si trovavano nei cereali. E allora perché ha avuto tutto questo successo, tanto da riuscire da solo a mettere in ginocchio case dalla lunga e decennale ludografia?
Perchè Fortnitenon è un videogioco ma un servizio cross-mediale. Non avendo adottato alcuna particolare direzione artistica e di gameplay, Fortnite è completamente mutabile nel breve tempo. Skin, ambientazioni e modalità di gioco possono, senza risultare forzati, adattarsi alla moda del momento, dando così l’impressione al giocatore di essere parte integrante della quitidianità in cui vive. Inoltre, è uno dei giochi più accessibili esistenti, gratuito e presente in tutte le piattaforme disponibili nel mercato. Infine, cosa da non sottovalutare, si presta più di ogni altro titolo, all’intrattenimento streaming. Fortnite deve gran parte del suo successo a Twitch e agli streamer (Ninja su tutti) ma attenzione a credere che sia stato un caso fotuito. Il titolo di Darren Sugg è stato plasmato nel tempo per essere il più, passatemi il termine, “streammabile” possibile, e grazie a questo molti streamer sono riusciti ad intrattenere migliaia e migliaia di persone.
Che piaccia o meno, Fortnite sta segnando pesantemente questa era videoludica e ci sarà un prima e un dopo Fortnite. In quest’ottica, possiamo solo ammirare il lavoro fatto da Darren Sugg e da Epic Games perchè, se non per la storia o per il gameplay, Fortnitesta cambiando radicalmente il concetto di videogioco.
David de Gruttola, per gli amici David Cage, è il fondatore di Quantic Dream, casa di sviluppo francese che ha sviluppato giochi come Omikron: The Nomad Soul, Fahrenheit e i più recenti Heavy Rain, Beyond: Two Souls e Detroit: Become Human. Assieme al suo team, Cage ha sempre creduto su un game desgin più narrativo ed introspettivo, andando a fondare un vera e propria tipologia di gioco: Interactive Drama.
Cage pensa che gran parte dell’industria videoludica sia troppo monotona sui temi trattati: il potere, lo scontro, il migliorarsi per superare il prossimo… Egli afferma che ci sono tante altre storie da raccontare, tante emozioni da provare. I videogiochi non devono necessariamente essere incentrati sull’uccidere altre persone, possono portare alla luce temi complessi ed emozioni sottili, avere diversi impatti su persone diverse.Quantic Dream non concepisce i giocatori come spettatori, ma come attori. Attraverso le storie interattive che creano, sono i giocatori a scrivere la storia attraverso le scelte che fanno. Ed è per questo che in molti dei suoi titoli, Cage mette in scena esperienze di vita quotidiana. Esse permettono al giocatore di immedesimarsi totalmente e di prendere delle decisioni come farebbe nella vita reale, senza pensare alle ricompense di un normale videogioco.
Il mantra cardine di Cage, e di tutta Quantic Dream, è creare videogiochi sempre nuovi e diversi. Per questo non hanno mai creato seguiti o DLC: ogni gioco creato è un libro che si chiude. Ora, usciti dopo dodici anni dall’abbraccio di Sony, per la casa francese si prospetta una nuova avventura indipendente e, con cotanta liberta creativa, possiamo solo immaginare quali sogni quantici Cage abbia in serbo per noi.
E finalmente arriviamo a lui, la vera rock star dei videogiochi, il Game Director che tutti conoscono, videogiocatori e non. Hideo Kojima, padre dell’intera saga di Metal Gear, fin dai suoi primi albori sulla mitica MSX2, è forse ad oggi il più influente esponente del mondo videoludico. Nonostante la sua ludografia non si sia mai discostata molto dalla famosa saga, Kojima è riuscito negli anni a creare e introdurre delle vere e proprie rivoluzioni del media. A partire dal primo mitico Metal Gear, il quale fu il padre di tutti i giochi che noi ora etichettiamo come stealth.
Le sue opere sono state negli anni fortemente influenzate dalla sua grande passione per il cinema, che fu sin da bambino alimentata dai genitori. Contrariamente all’educazione standard, essi non gli permettevano di andare a letto prima della fine del film. Ma, a differenza di molti designer più inclini a creare storie che interazioni, Kojima non ha mai sacrificato il gameplay e il game design per la storia, riuscendo sempre ad innovare le sue meccaniche ad ogni nuovo gioco. Una su tutti la leggendaria boss fight contro Psyco Mantis. Solo un puro genio poteva pensare di sfondare la quarta dimensione durante il gioco, dando la capacità all’avversario di leggere la memory card per sbeffeggiare gli altri videogame a cui il giocatore reale giocava. Avendo poteri telepatici e anticipando tutte le mosse, l’unico modo per sconfiggere Psyco Mantis era spostare il joystick dalla prima alla seconda presa della console.
Nonostante già dalla fine di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, Hideo volesse distaccarsi dalla saga per concentrarsi su altri titoli, continuò comunque a lavorare assiduamente su tutti i seguiti del primo leggendario Metal Gear Solid, riuscendo a sfornare un capolavoro dopo l’altro. E’ qui che nasce il marchio “A Hideo Kojima Game“. Nessun altro game designer al mondo, per quanto importante, firma a caratteri cubitali i propri giochi, poiché quest’ultimi sono da sempre considerati un’opera collettiva. Ma nelle produzioni dirette da Kojima, la sua influenza sull’intero processo produttivo è molto più incisiva. Hideo partecipa alla creazione del concept, alla scrittura della storia, al disegno della mappa, alla selezione del casting, alla produzione, alla promozione e molto altro ancora.
Dopo un sodalizio durato quasi trent’anni, Kojima nel 2015, dopo l’uscita di The Phantom Pain, lascia la Konami in favore di Sony. Con quest’ultima sigla un accordo per la creazione di un gioco con il suo team Kojima Productions. Con l’uscita del criptico trailer di Death Stranding, viene affermata una volta di più la sua grandissima influenza a livello globale. Nonostante le odierne regole del marketing impongano video promozionali chiari e dimostrativi, molto poco viene rivelato negli 8 minuti mostrati. E nonostante ciò, ha scatenato in rete e non solo, una serie di dibattiti che hanno permesso a Sony di essere la terza azienda più chiaccherata durante il periodo E3, nonostante non ne abbia nemmeno fatto parte.
Hideo Kojima ha da sempre rivoluzionato un’industria che, anche grazie a lui, negli anni ha visto espandere sempre più la propria influenza nella cultura pop contemporanea. Nel bene e nel male, Death Stranding rappresenterà sicuramente un nuovo tassello di questa sua rivoluzione.
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