Tre anni fa successe qualcosa di impensabile. Durante la conferenza Sony dell’E3 2015 un brave trailer e un timido Yu Suzuki annunciavano, fra il fragore esplosivo di un pubblico in delirio, lo sviluppo di Shenmue 3 e relativa campagna Kickstarter.

 

Per molti un evento come tanti. Per altri l’annunciazione del messia. Un po’ come se finalmente Valve dicesse “preparatevi che tra poco potrete giocare a Half Life 3”.

 

Ma dietro Shenmue, dietro questo nome che ai più non accende l’alcunché minima emozione, cosa si nasconde? Perché tanto rumore per il seguito di un gioco di ormai 17 anni fa?

 

Ma cos’è veramente Shenmue?
Prima di passare alla portata principale, è giusto spendere due parole sul creatore di Shenmue. Se Miyamoto è riconosciuto universalmente come il game designer per eccellenza, negli anni ’80 c’era un altro nome a scuotere gli animi dell’allora ragazzini: Yu Suzuki.
Per anni il designer giapponese, insieme al padre di Sonic Yuji Naka, è stato il volto di una Sega che sembrava inarrestabile. A lui si devono alcune pietre miliari come Out Run, Space Harrier o Virtua Fighter. Una mente visionaria che da sempre ha traghettato l’industria videoludica verso la modernità.

Un vulcano di idee pronto ad eruttare proprio con Shenmue.

Per Suzuki, Shenmue è stato un pensiero fisso. Un progetto frenato prepotentemente da una tecnologia ancora acerba che non gli permetteva di rendere reali le proprie ambizioni. Ed è solo quando quest’ultima compì i primi passi in avanti, con il Saturn prima e il Dreamcast poi, che Project Berkley (il nome in codice di Shenmue) iniziò a prendere forma.

 

Parola d’ordine: libertà
Per stessa ammissione di Suzuki, prima di Shenmue non c’era nulla di equiparabile. Non esisteva un genere che potesse racchiudere l’essenza di un gioco così sfaccettato, tanto che lui stesso coniò un termine apposito: F.R.E.E.

Questo acronimo stava per Full Reactive Eyes Entertainment. Anche solo leggendolo trasmetteva al giocatore la totale libertà di immergersi in un mondo completamente nuovo e vivere un’esperienza unica, slegata dai preconcetti e dalle regole dei videogiochi del tempo. E nel 1999 – per arrivare da noi solamente l’anno dopo – non c’era proprio nulla di associabile a Shenmue.

Shenmue è un'avventura 3D, ma anche un gioco di ruolo. Un picchiaduro. E pure un openworld. E tanto altro ancora.

Anticipando sui tempi molte di quelle che sono oggi le basi del videogioco, il titolo Sega introdusse una moltitudine di cambiamenti che qualche modo segnarono l’inizio di una nuova fase del videogioco moderno.

 

Shenmue seguiva le vicende di Ryo Hazuki, un giovane intenzionato a vendicare la morte del padre. Un banale incipit che viaggia su temi piuttosto classici, che serve semplicemente per dare il “la” ad un’avventura che sotto il profilo narrativo risulta ben più complessa ed articolata. L’idea di Suzuki era di creare qualcosa di fortemente immersivo, e per farlo serviva una narrativa che avesse un taglio cinematografico e stimolasse il giocatore a scoprire tutti i misteri che pendevano sulla vita di Ryo. L’impatto iniziale era qualcosa di unico ai tempi e la sensazione di sentirsi all’interno di una pellicola interattiva una costante.

Lo stretto rapporto fra gioco e cinema lo ritroviamo anche nello sviluppo della storia. Shenmue era stato inizialmente pensato come avventura episodica – anticipando nuovamente sui tempi quella che oggi è una tendenza comune – e non a caso in Giappone il primo capitolo della serie venne bollato come “chapter 1”, per poi scomparire in fase di adattamento occidentale. Come potete ben immaginare quindi, la storia di vendetta di Ryo non trovava un epilogo al raggiungimento del quarto GD-Rom che completava questa prima parte, ma lasciava il giocatore in balia di un cliffhanger emotivo che sarebbe continuato solamente due anni dopo.

La tecnica del dettaglio
Shenmue radunava sotto lo stesso tetto molteplici idee di gameplay. Era possibile esplorare la cittadina giapponese di Yokosuka, qua riprodotta fedelmente. L’interazione con suoi abitanti era fondamentale per ottenere nuove informazioni che ci permettessero di progredire con la nostra indagine ed arrivare all’assassino di nostro padre. Shenmue pure in questo era unico nel suo genere. L’esplorazione libera permetteva di visitare la maggior parte delle abitazioni ed interagire con esse, mentre i suoi abitanti vivevano la propria quotidianità, ognuno con specifiche routine, scandite dalle varie fasi della giornata. Era possibile fermarsi ed osservare ogni personaggio secondario comportarsi normalmente, interagire fra loro, uscire di casa per andare al lavoro o semplicemente fare una passeggiata, magari passando a bere qualcosa prima di rincasare.

La cura per il dettaglio di Suzuki è qualcosa di fuori parametro nel panorama videoludico dell’epoca. Ogni vicolo di Yokosuka era ricostruito in maniera quasi maniacale, da sfiorare il fotorealismo, così come gli interni di case, negozi e locali, in un orgia di particolari senza pari. Anche la realizzazione dei personaggi, proprio grazie alle possibilità offerte dalla potenza di calcolo del Dreamcast, proponeva volti estremamente realistici, completamente in 3D e animati in grado di replicare le giuste espressioni dettate dalle circostanze attoriali.

Questo piccolo paradiso openworld era assoggettato allo scorrere del tempo. Suzuki optò per inserire il ciclo giorno/notte, non lasciando nulla al caso ma creando una connessione con la realtà, in modo da rendere tutto fin troppo verosimile. Ryo era quindi vincolato allo scorrere del del tempo. Alcuni eventi erano attivabili solamente in determinati orari, mentre per le strade i volti delle persone cambiavano a seconda del periodo della giornata. Il fattore temporale va quindi a diluire l’avventura e a frenare il giocatore desideroso di vendetta, che deve sottostare alle regole imposte. Fortunatamente però Yokosuka, nonostante le sue dimensioni “ridotte” offriva numerosi svaghi, a partire dalle sale giochi dove giocare alcuni classici della software house giapponese, o alle numerose quest secondarie che ci consentivano di investire il nostro tempo libero e conoscere un po’ di più il mondo intorno a noi.

Il fluire del tempo non era solo limitato quindi all’arco della giornata, ma esteso “orizzontalmente”, implicando cambi stagionali che impattavano notevolmente sull’aspetto della cittadina. Il gioco obbligava a rispettare certi orari e situazioni, come il dover interrompere la nostra indagine per andare a letto, rimandando il tutto al giorno successivo, o presentarsi sul posto di lavoro, passando la giornata a svolgere le mansioni richieste.

La maniacalità di Suzuki si riflette su questa smania di attinenza con il reale, andando a pescare i dati metereologici della Yokosuka degli anni ’80 da alcuni archivi storici, e se nel determinato giorno “X” pioveva, allora pure in-game dovevate prepararvi a tirare fuori l’ombrello.

Gameplay a prova di riflessi
Continuando a sviscerare il gameplay di Shenmue troviamo un’altra introduzione che è diventata ormai una consuetudine nell’attuale panorama moderno: i QTE.

Suzuki introdusse i Quick Time Event proprio come evoluzione di un gameplay legato alla spettacolarità cinematografica. Che fosse una rissa fra balordi, un inseguimento fra i vicoli della città o una semplice partita di pallone con dei ragazzini, i QTE permettevano di spettacolarizzare un gameplay che aveva il bisogno di stupire i suoi giocatori in ogni istante.

 

C’era quindi un’inversione di ruolo del giocatore, che da spettatore passivo diventava “autore” delle azioni del protagonista, semplicemente premendo con il giusto tempismo le icone che apparivano a schermo. Il fatto poi che Ryo conoscesse le arti marziali aveva permesso di “costruire” scenografiche sequenze di lotta al pari di un “gongfu movie” ne aumentavano qualitativamente l’efficacia. Ai QTE si affiancava però anche un sistema di combattimento libero e sicuramente più gratificante, che prendeva in prestito da Virtua Fighter gran parte dell’ossatura del battle system. Questo “omaggio” era il “rimasuglio” del progetto iniziale di Shenmue, che partito su Saturn vedeva come protagonisti i personaggi del picchiaduro Sega, in quello che doveva essere un’avventura a loro dedicata. Curiosità a parte, Ryo poteva sfoggiare le sue doti di karateka, con tanto di combo da realizzare e nuove mosse da imparare nel corso dell’avventura.

Poi loro, i minigiochi, che arricchivano ulteriormente un gameplay fin troppo poliedrico e desideroso di “ubriacare” il giocatore con mille possibilità ed esperienze diverse. Era possibile spendere i propri yen provando i vari cabinati nelle già citate sale giochi, o dedicarci a collezionare i diversi gashapon presenti nelle strade di Yokosuka. O ancora visitare i bassifondi per scommettere d’azzardo o avventurarsi nelle iconiche gare con i muletti, giù al porto, e guadagnarsi una nomea fra i propri “colleghi” di lavoro.

 

Come avrete capito l’unicità di un gioco come Shenmue nasceva dal perfetto incastro dei suoi elementi. Una macchina ben oleata dove una spettacolare trama cinematografica si asserviva ad un gameplay ricco di sfumature. E viceversa. È giusto quindi parlare in ambito videoludico di un’era pre-Shenmue e post-Shenmue.

 

Come altri titoli “game changing” che hanno rivoluzionato la storia del videogioco, come ad esempio Ocarina of Time e l’introduzione del lock-on, o Super Mario 64 con lo studio e l’esplorazione dell’ambiente 3D, anche a Shenmue ha fatto la sua parte, dando la possibilità a game designer e sviluppatori di pescare a piene mani dalle idee tracciate da Suzuki.

 

Basti pensare al taglio cinematografico e all’introduzione dei QTE, diventati il cavallo di battaglia di numerose avventure, come le opere di Cage o ancora lo sviluppo di un openworld verosimile, che con le sue ruoutine e i suoi personaggi “vivi”, ha dato vita a titoli quali GTA 3 o lo stesso Yakuza, che per molti è il diretto erede dell’opera di Suzuki.


Per approfondire:
Yakuza Kiwami
Tripla A con il botto
Con Shenmue 2, Suzuki ampliò le possibilità offerte dal suo gameplay, espandendo ed esplorando letteralmente nuove strade. Se il primo capitolo raccontava una storia intima e personale, la cui intimità si respirava in ogni singolo bit virtuale, con il sequel cambiarono i toni e i ritmi. Ryo si trovava quindi ad abbandonare i suoi luoghi d’infanzia per continuare il suo viaggio guidato dalla vendetta, per trovare Lan Di, l’assassino di suo padre.

Il viaggio verso Honk Kong, l’arrivo in un posto a lui estraneo, l’impossibilità di comunicare, sono tutti ostacoli necessari per lo sviluppo del personaggio di Ryo e della sua storia. Storia che purtroppo venne troncata prematuramente a causa degli alti budget legati allo sviluppo e al marketing dei gioco. Infatti a Shenmue va attribuito un altro record. Quello di essere stato uno dei titoli più costosi della storia, toccando l’incredibile cifra – per il periodo – di 70 milioni di dollari per la creazione dei due capitoli usciti. E nonostante il successo di critica ottenuto, in particolar modo in occidente, non venne ben accolto dal pubblico, e l’opera di Suzuki fu il chiodo finale sulla bara di Sega.

Arrivati a questo punto del nostro speciale è ormai chiaro quanto impatto abbia avuto in campo videoludico.

Il “flop” di Shenmue non segnò solo la fine della saga, ma anche quella di uno dei capitoli più importanti della casa giapponese, che vide il Dreamcast come la loro ultima console prodotta. Fu proprio a causa dei vari errori di percorso fatti con Shenmue che Sega decise di rivedere la divisione episodica dei capitoli del sequel, che furono fusi in un unico “macro” episodio, lasciando però il giocatore sul più bello, orfano di un finale tanto voluto e desiderato.

Perché quindi è importante questo ritorno sulle scene di Shenmue?
Con il terzo capitolo finalmente sarà possibile conoscere il destino di Ryo e degli altri protagonisti della serie, con un epilogo atteso da fin troppo tempo. Sarà interessante vedere, e capire, anche quanto l’idea visionaria di Suzuki si sposi con l’attuale mercato. Quello che un giorno era la novità, il futuro, oggi è diventato una normalità standardizzata, mentre il genere degli openworld sta vivendo proprio in questo periodo un ciclo di saturazione che necessiterebbe di essere rivisto. Suzuki deciderà di puntare sulla classicità, con un’avventura “concettualmente” datata ma in linea con i due capitoli precedenti, o tenterà di “scuotere” nuovamente svecchiando un genere che lui stesso ha contribuito a creare?

 

Incuriosisce anche la strada intrapresa da Suzuki e il suo team, quella di affidarsi alla piattaforma di crowfounding Kickstarter, come Koji “Iga” Igarashi, Kenji Inafune o Tim Schafer prima di lui, e realizzare un seguito con una cifra si importante, oltre 6 milioni di dollari, ma dannatamente lontana dai budget sperperati nell’era Dreamcast

Oltre al terzo capitolo, dal 21 Agosto sarà invece possibile mettere mano alle versioni rimasterizzate di Shenmue 1 & 2 su PlayStation 4, Xbox One e PC, un’operazione nostalgia che permetterà non solo ai fan di rigiocare uno dei loro giochi preferiti, ma farsi conoscere dalle nuove leve, o da chi, per un motivo o per l’altro – sia anagrafico, che economico – non è mai riuscito a mettere mano su uno dei pezzi di storia del videogioco più importanti di sempre.

 

Nonostante la bontà del gameplay, delle innovazioni apportate e della storia raccontata, bisognerà capire se e come Shenmue ha superato la prova del tempo, che come ben sapete non perdona nessuno. Le velleità tecnologiche degli anni 2000 oggi potrebbero non essere così affascinanti e lo stesso potrebbe valere per il gameplay, che già al lancio soffriva di una certa legnosità nei controlli, che utilizzavano un sistema misto fra analogico e croce direzionale per la gestione di movimenti e telecamera data l’assenza di un secondo stick direzionale.

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