Quali sono le “conseguenze ludiche” dell’aver prestato le matite di Akira Toriyama al mondo dei videogiochi?

Che vi vada a genio o meno, il comparto grafico è la prima cosa che salta all’occhio quando si avvia un videogioco. Badate bene: con “comparto grafico” non intendiamo solamente i modelli poligonali dei personaggi e le texture di sfondo, ma anche (e soprattutto) lo stile con il quale sono rappresentati luoghi e personaggi che andremo a incontrare nel corso della nostra avventura digitale. Se nel primo caso il lavoro spetta all’Environment Artist, la progettazione grafica e psicologica dei nostri avatar digitali (con relativi coprotagonisti, antagonisti e vari NPC) è nelle mani di una figura professionale che risponde al nome di Concept Artist.

Che sia realizzato da una sola persona o da un intero team, il character design (termine che riunisce l’aspetto estetico e non di tutti i personaggi che incontreremo nel gioco) è uno degli elementi principali di tutta la produzione.

Ed è il motivo per il quale ricordiamo figure storiche dei videogames come Super Mario, Solid Snake e tanti altri.

In questo articolo accantoneremo però la parte psicologica, per trattare solamente quella estetica, ovvero lo stile con il quale vengono modellati i nostri eroi digitali. Come se non bastasse a restringere il discorso, parleremo di un particolare character design, quello di Akira Toriyama, papà (tra tante cose) di Dr. Slump, Dragon Ball e di Dragon Quest.

Siete pronti per partire in questo viaggio a bordo della nostra Nuvola d'Oro?

akira toriyama toribot
Robotoriyama è un abitante del Villaggio Pinguino, ma allo stesso tempo è l’avatar di Akira all’interno dei suoi fumetti!
L’arte di Akira Toriyama
Akira Toriyama è uno dei pochi autori di fumetti che possiamo considerare necessari per l’evoluzione del medium
Akira Toriyama, classe 1955, è uno dei pochi autori di fumetti che possiamo considerare fondamentali per l’evoluzione di questo particolare linguaggio. Dopo aver messo in gioco la sua intera vita lavorativa lasciando il proprio lavoro da progettista per entrare nel mercato del manga, Toriyama nel 1978 propone una storia dal titolo di “Wonder Island” in occasione di un concorso per la rivista Weekly Shonen Jump, vincendo il primo posto e la conseguente pubblicazione all’interno della rivista a fumetti. Basteranno due anni per far guadagnare fama e gloria all’autore, grazie all’arrivo nel mercato giapponese di Dr. Slump, ma è solamente nel 1984 che il primo volume di Dragon Ball raggiunge gli scaffali del Sol Levante. Inutile dire che fu un successo spaventoso che, al giorno d’oggi, permette alle avventure di Goku di risultare al secondo posto (dopo One Piece) tra le serie più vendute in Giappone. Nonostante il desiderio di Akira di interrompere la serializzazione del manga raggiunti determinati sviluppi di trama, la casa editrice si rifiutò di lasciar andare la propria gallina dalle uova d’oro, facendo raggiungere l’esasperazione al mangaka sino a fargli odiare il disegnare i combattimenti tanto amati dal pubblico. Una volta terminato Dragon Ball, Toriyama si prese un lungo periodo di pausa e, al massimo, tornò a lavorare solamente su storie brevi e su prodotti legati ai suoi personaggi, ma appartenenti ad altri media quali film e videogiochi. Solo di recente, grazie alla collaborazione grafica del suo assitente Toyotaro, è tornato a raccontare le vicende di Goku & Company nel manga Dragon Ball Super, edito a seguito dei due nuovi film dedicati all’universo dei Saiyan. Lo stile di Akira, nonostante in quel periodo andassero di moda i personaggi “realistici” come Kenshiro, si fece notare sin da subito per i suoi design più rotondi e dall’evidente tratto umoristico. Tratto che, nonostante un cambio di rotta con il proseguire della serie (e l’avvento di Dragon Ball Z), seppe conquistare fan in tutto il mondo rendendo il character design di Toriyama il suo vero cavallo di battaglia. E non solo nel mondo dei fumetti.

Dragon Quest o Dragon Master?
Dragon Quest segna l’arrivo di Toriyama nell’ industria dei videogames
Vista l’importanza mediatica conquistata da Akira Toriyama, il mangaka venne contattato poco più di un anno dopo l’uscita di Dragon Ball per lavorare sul design di un videogame, ben noto ai videogiocatori moderni, che risponde al nome di Dragon Quest. Il titolo, sviluppato da Chunsoft e distribuito da Enix, era un Jrpg che, in poco tempo, riuscì a ottenere un discreto successo, cosa che gli permise di avere dei sequel a distanza di pochi anni. Interessante e curioso il fatto che, quando il titolo raggiunse l’America, venne rinominato “Dragon Master” e venne tolto qualsiasi lavoro realizzato da parte di Akira Toriyama, in quanto ritenuto troppo lontano da gusti occidentali. Sarà solo l’arrivo di Dragon Quest VIII: L’Odissea del re maledetto a rendere giustizia al creatore di Dragon Ball e a permettergli di farsi conoscere anche per il suo contributo videoludico in tutto il mondo (che, tra gli altri giochi, può vantare la realizzazione del character design di piccole perle come Chrono Trigger e Blue Dragon). Anche per uno sguardo poco attento è impossibile non notare evidenti somiglianze tra i personaggi delle avventure di Goku, quelli di Dr. Slump e quelli dei videogames appena citati, ma la potenza espressiva del tratto di Akira riuscì a superare anche questo ostacolo e a guadagnare consensi proprio grazie al suo stile unico, permettendo così alle software house di vendere un numero maggiore di copie esclusivamente in seguito al suo coinvolgimento nei vari progetti.

Ma quindi può un character design far la differenza sui dati di vendita?
un pubblico sempre più indirizzato verso la mitizzazione dei design del passato
La risposta è “assolutamente si” e la prova tangibile non viene solamente dall’esperienza appena tratta di Akira Toriyama. Pensate al mai tanto chiacchierato DmC di Ninja Theory: è bastato togliere i capelli bianchi a Dante per far scatenare le orde di fan e far perdere notevolmente interesse in un prodotto che, rispetto alle precedenti incarnazioni, sicuramente presentava una maggior cura per il comparto narrativo, ludico e tecnico. Questo è ancora più evidente al giorno d’oggi, con un pubblico sempre più indirizzato verso la mitizzazione dei design del passato e sempre più restio ad accettare le novità (non è vero, Devilman: Crybaby?!). Akira Toriyama, dal canto suo, ha continuato per la sua strada, legando indissolubilmente il suo nome al suo stile e continuando a macinare prodotti con determinati stilemi che, grazie a una sintesi a dir poco sublime, sono capaci di conquistare sia i vecchi fan (mai stanchi del suo stile grafico) che le nuove leve (attirate dal design esclusivo del mangaka). Per avere una rapida prova di quanto affermato fate una semplice azione: pensate al vostro prodotto videoludico preferito e immaginate due possibili seguiti dall’identico gameplay, uno caratterizzato dal character design del titolo in questione e l’altro che, nonostante un’evidente cura, risulta essere completamente diverso da quanto avete giocato e amato. A quale dei due videogames dareste i vostri soldi? La risposta la conosciamo già tutti.

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