Poco più di due anni fa trovandoci a recensire DmC Devil May Cry lo candidammo per la corona di reboot più controverso della settima generazione: già in quell’occasione infatti Ninja Theory aveva dimostrato di non aver paura di assumersi il rischio di “sfidare” per certi versi quello che è il canone della serie inventata da Hideki Kamiya. Immaginiamo quindi che alla proposta di Capcom di realizzare questa Definitive Edition non solo il team inglese abbia risposto immediatamente “pronti”, ma abbia anche colto la palla al balzo per togliersi qualche sassolino dalla scarpa rispondendo (come vedremo) ad alcune critiche piovute sulla prima iterazione del titolo, in barba alle potenziali critiche dovute alla natura di (ennesima) riproposizione HD su PS4 e One di un titolo tutto sommato recente. Al netto di queste considerazioni, come se la cavano Dante e Vergil nelle loro nuove case?
Versione testata: PS4
Avendo già analizzato nel dettaglio in occasione della recensione originale pregi e difetti della componente narrativa di DmC in questa sede ci limiteremo ad un veloce riassunto: rispetto al solito siamo davanti ad un Dante meno “esuberante” di quello impersonato negli altri quattro capitoli della serie, complici anche dei dialoghi complessivamente meno brillanti di quello che ci si aspetterebbe. Non mancano infatti alcune frecciate e battutine da parte del protagonista, ma in generale più che cercare di giustificare da sole il prezzo del biglietto rappresentano solo alcuni momenti del prodotto, che ridistribuisce i pesi e cerca di nobilitare anche la narrazione, a costo di risultare meno “Dante-centrico”. L’idea in se non è sbagliata (anche e soprattutto perché mescola un po’ le carte in tavola), ma riesce a metà a causa delle boss-fight decisamente sotto la media della serie: tolte un paio di eccezioni si tratta di livelli nel complesso meno riusciti di quelli “normali” e privi dei classici approfondimenti (anche abbozzati) di solito dedicati agli antagonisti del figlio di Sparda.
Dal punto di vista dell’offerta contenutistica Ninja Theory si allinea a quanto fatto dagli altri “colleghi” e non propone nessun contenuto inedito (ad eccezione di qualche piccolo extra), limitandosi a raccogliere in un’unica edizione tutti i DLC rilasciati per il titolo. Presenti quindi nel gioco i tre skin-pack dedicati alle armi pensati in origine come bonus preordine (Gold, Bone e Samurai), il rilevatore per i collezionabili (attivabile e disattivabile dal menu di inizio missione) e alcune skin alternative per i personaggi, incluse quelle riprese da Devil May Cry 3. Si è parlato non a caso di personaggi al plurale, vista la presenza (a questo punto immancabile) dell’espansione “La Caduta di Vergil”, ambientata cronologicamente dopo il finale del titolo e capace di permettere al giocatore di vestire i panni del fratello di Dante. Caduta di Vergil che tra l’altro è l’unica eccezione a quanto detto fino ad ora, includendo una modalità “Palazzo di Sangue” anche per questo secondo personaggio giocabile (sbloccata una volta completato il fu DLC).
L’assenza (o quasi) di contenuti inediti però non si traduce in un’assenza di novità sul piano ludico: sul battle system collaudato dell’edizione originale (anche in questo caso non ci dilunghiamo troppo avendolo già sviscerato la volta scorsa) si innestano una serie di novità che, come accennato in apertura, sembrano studiate ad-hoc per rispondere per le rime ai detrattori. Primi tra tutti i 60 frame al secondo, che nonostante qualche sporadico calo accompagnano il giocatore dall’inizio alla fine e allineano l’offerta a quanto si poteva già fruire nella versione Steam del titolo. Ma se l’adeguamento dal punto di vista framerate era quasi un atto dovuto vista la potenza di calcolo di PS4 e One meno scontato era l’inserimento del lock-on manuale sui nemici, che colma quello che a nostro avviso era il difetto principale dell’esperienza. Altra aggiunta di sostanza è quella della Hardcore Mode, che a prescindere dal livello di difficoltà scelto per “sfidare” il gioco schiererà sul campo nemici più aggressivi, resistenti e capaci di fare più danni, ed assieme alla modalità Must Style (dove gli avversari di turno iniziano a ricevere danno solo quando l’indicatore dello stile arriva ad S) alza ulteriormente il livello di sfida della produzione. Come ciliegina sulla torta troviamo poi la Modalità Turbo, che aumenta del 20% la velocità complessiva del titolo e rende il tutto ancora più frenetico, senza far venire praticamente mai meno la fluidità generale. Infine, Ninja Theory non ha mancato l’occasione per correggere alcuni errori di rifinitura, riducendo il numero di glitch presenti (vittima illustre in questo senso quello che permetteva di saltare all’infinito, semplificando la parte esplorativa) e portando sugli scaffali un prodotto che tirando le somme si riconferma assolutamente solido e divertente sotto questo versante.
Chiudiamo come d’abitudine spendendo qualche parola sull’aspetto audiovisivo del titolo, che dal punto di vista artistico (grazie anche alla scelta di due anni fa di “abbandonare” MT Framework e sfruttare Unreal Engine 3) risulta come l’originale ispirato e convincente, pur non risultando eclatante se analizzato pezzo per pezzo. Si riconferma anche la colonna sonora (anche grazie alle “guest star” Noisia e Combichrist) capace di alternare tracce dal gusto più house o dubstep a brani invece più vicini alla tradizione della serie, con il pregio di “collaborare” con l’indicatore di stile diventando via via più ricca mentre questo sale verso il punteggio massimo SSS.
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