Perché, come ogni cosa ultimamente, se non finisce in insulti e minacce i videogiocatori non sono contenti. Un’opinione non può mai essere diversa, perché internet è casa nostra.
L’ultima storia con protagonista il nuovo gioco di CD Projekt Red, Cyberpunk 2077, è quella della giornalista Kallie Plagge, di Gamespot. Un 7/10 è quello che è bastato per dare un movente per insulti e minacce. Internet aveva bisogno di un altro capro espiatorio, e chi meglio di una persona fuori dal branco – che ha un’opinione diversa dalla maggioranza – per questo ruolo? Soprattutto se la persona in questione è un ragazza? Non importa chi è davvero o se le sue opinioni siano sensate o realistiche. Non importa se quello è il suo mestiere da anni e di cyberpunk ne sa forse più di noi.
Si prendono in mano i forconi e le torce. In mano, il guinzaglio dei cani, da tagliare all’occasione, per cacciare Frankenstein. Cominciano a scrivere commenti indignati su Twitter, proteste su Facebook, insulti su Instagram. Non si riesce ad accettare che qualcuno abbia un’opinione non omologata. Che non vuole seguire quella scia generale lasciata dagli altri. L’hype che si sono creati da soli a forza di aspettare il gioco. E poi siamo noi a lamentarci che i voti sono sempre gli stessi. Sono sempre esagerati, fuori dal mondo. Che i tripla A prendano sempre 10. Perché, di nuovo, poco importa.
Che la Caccia Selvaggia abbia inizio.
Siamo sicuri di sapere cosa vogliamo?
Non è la prima volta che vedo questo pattern. Probabilmente neanche l’ultima. Si aspettano che la stampa cambi, così, di punto in bianco. Che cominci a fare quello che ritengono giusto perché in fondo è quello che vogliono. Ma in verità fanno sempre lo stesso. Guardano il voto per confrontarlo con le nostre aspettative, e, puntualmente, sulla base dei loro pregiudizi, ne vengono delusi. Il voto, nella nostra società, è diventata definizione e metro di paragone. Si sono forse dimenticati che quel voto non è lì per scena, ma è perché alla fine è l’unica cosa che importa.
È l’unica cosa che importa perché è l’unica cosa che ci importa. È l’unica cosa che vediamo. Perché quando arrivarono i leak di The Last of Us II, l’unica cosa che volevamo era confermare i nostri bias. Dire che, sì, avevamo ragione ad odiare quelle ragazze omosessuali, alla fine è solo propaganda. Una conferma che avevamo ragione. Ma alla fine ci stiamo solo dando la pacca sulle spalle da soli. È una caccia all’untore, ma non abbiamo capito che a trasmettere la peste siamo noi.
Questa peste è la peste di chi non capisce perché non vuole capire. La ragione per cui quella recensione è stata presa di mira è perché la si è voluta mutare. L’abbiamo passata di mano in mano con solo uno screen del voto e dei pro e contro, come se fosse l’unica cosa importante. Magari con un gioco mediocre e un voto più alto affianco, solo per far credere che abbiamo ragione, che siamo noi quelli dalla parte del giusto.
Tutto questo fatto senza citare nessuno. Senza fare nomi. Togliendo identità a una persona che una voce la ha. E bella potente. Ma è solo una ragazza, no?
Non abbiamo ancora imparato nulla
Mi rende un po’ triste vedere ripetersi questa storia senza fine. Perché è come se fosse una sorta di deja vù. Un sogno che volevo dimenticare. Un incubo che è calato nel mondo reale. Non è bastato il Gamergate per farcelo capire. Non è bastata Isadora Basile, cacciata da un mondo dei videogiochi che continua a sbattere i piedi perché non la vuole. O le proteste contro una ragazza che è stata semplicemente per fare il suo lavoro, come Alanah. Ci importa davvero di cambiare? Ci importa davvero di smettere di pensare per preconcetti, meme e singole idee? Io sto venendo deluso ad ogni news di questo tipo.
Mi delude perché quella recensione io l’ho letta tutta. Mi sono sforzato e l’ho letta. Era abbastanza noiosa, lo ammetto. Eppure, chi l’ha scritta sapeva il fatto suo. Sapeva il fatto suo, perché conosce il cyberpunk. Non cade neanche nel tranello dei cartelloni pubblicitari. Ma anche se non fosse così, non ci sarebbero scuse. Non è minacciando di morte che risolviamo i nostri problemi. Le nostre insicurezze. Perché internet non è più casa nostra. È la pubblica piazza, e quelle azioni sono ormai dei crimini. Adattatevi ai tempi.
Perché è tempo che anche noi cresciamo. Che anche noi, come videogiocatori, capiamo che il cyberpunk non è solo un giocattolo, o il ricordo di tempi passati fermi in una fotografia di quello che ci piace. Il cyberpunk è una critica sociale. In primo luogo verso di noi. Verso noi tutti, come videogiocatori. Il 2077 è davanti a noi. Eppure, noi siamo ancora fermi. Ci sono ancora tante evoluzioni che dobbiamo subire, come umanità. Ma forse, prima di tutto, dovremmo pensare a come smettere di sbattere i piedi come dei neonati.
Non aspettandoci che qualcun altro ci dia valore con un voto su internet. Non cambiando Aloy perché non è la donna che vogliamo. Non riducendoci a degli atomi di un organismo collettivo. Per una volta, siamo noi stessi. Fatti sentire.
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