Pietro Iacullo

Speciale Come si sviluppa un videogioco?

Come si sviluppa un videogioco?” è un percorso in collaborazione con Troglobytes Games. L’idea nasce da una serie di diari audio registrati con lo sviluppatore, che sono poi confluiti anche in parola scritta.

Ho sempre creduto che il modo migliore di raccontare qualcosa fosse tramite l’esperienza. Sono quelli che nell’ambito della ricerca si chiamano Case Study, esempi pratici che mostrano l’applicazione – o comunque, una possibile applicazione – di quelle nozioni imparate dai libri. Quello che segue è, appunto, un caso di studio. È l’esperienza di un team di sviluppo indie italiano raccontata attraverso il loro primo gioco pubblicato, HyperParasite, ma anche guardando alla Troglobytes Games che verrà, a Blind Fate: Edo No Yami. Non esattamente una sbobinatura dei diari audio registrati con Saverio e Luciano, piuttosto una reinterpretazione il più possibile fedele, ma pensata per la lettura.

Come si sviluppa un videogioco? Chiedilo ad uno sviluppatore

Il marketing

Il marketing è quell’elemento spesso sottovalutato quando si sviluppa un videogioco. In apparenza non c’entra nulla con lo sviluppo vero e proprio. E magari tu, aspirante sviluppatore, vorresti per prima cosa dedicarti al coding, al design o a qualche altro aspetto del prodotto. No. Semplicemente, no. Il marketing non è il punto di arrivo di quella lunga, folle maratona dietro lo sviluppo di un videogioco. È l’origine degli assi, fondamentale per capire cosa vuoi fare e se la tua idea può arrivare da qualche parte.

Steam
Discoverability È uno dei più grossi problemi dietro lo sviluppo di un videogioco. Bisogna farsi scoprire. Steam (ma anche le altre piattaforme) in questo aiutano veramente poco.
Una prima buona pratica prima di lanciarti davanti allo console di sviluppo potrebbe essere questo. Steam ormai è una delle piattaforme di riferimento per quanto riguarda la distribuzione dei videogiochi. Di certo, è tra le più competitive. Può essere una cartina tornasole per capire cosa vuole essere il tuo videogioco. Studiando le varie categorie si può capire quali sono le più inflazionate e quelle dove invece c’è meno concorrenza, quelle dove c’è maggior interesse del pubblico e quelle più di nicchia. Studia la concorrenza, studia l’ambiente. Un’etichetta più pop sicuramente vuol dire più giocatori potenzialmente interessati – banalmente, un platform avrà sicuramente più audience di un simulatore di treni – ma anche molti più titoli simili al tuo con cui competere.

Il marketing è uno strumento potenzialmente utile anche per riuscire a sviluppare effettivamente il tuo gioco. Con Edo No Yami per esempio in Troglobytes si è capito che quanto raccolto con Hyperparasite poteva bastare per vivere, ma non di certo per sostenere lo sviluppo di un altro gioco. Le strade sono essenzialmente due: la via del crowdfunding e la ricerca di un publisher. In entrambi casi l’idea da sola, di nuovo, non basta. Una campagna crowdfunding va comunicata attraverso social e siti di settore, e necessita che alle spalle del team ci sia una community di utenti fedeli e disposti a cacciare i soldi.

È una community che si può andare a creare anche durante la campagna stessa, chiaramente, ma partire senza un seguito è un handicap. Specie perché la bolla di Kickstarter è scoppiata in tempi non sospetti, tra progetti (anche grossi) spariti nel nulla o altri che invece sono usciti ma hanno deluso le aspettative. E non sto necessariamente parlando di Mighty No. 9, ma anche si. Un buon consiglio per iniziare a costruire la community, ad ogni modo, è sfruttare Discord.

Trovare un publisher non è per nulla immediato

Aeon Must Die Lascia che la Storia, anche quella degli altri, ti sia maestra. Sei tu l’unica cosa che separa te da quello che è successo a Limestone Games.
Bisogna stare molto attenti, coi publisher. Non tutti sono disposti a pagare per lo sviluppo e, tra quelli che lo sono, non tutti sono necessariamente interessati al tuo videogioco. Anche quelli che lo segnalano sui loro siti potrebbero non necessariamente aver detto esattamente il vero. Potrebbero esserci delle condizioni, i fondi disponibili potrebbero avere una soglia massima magari più bassa di quella che serve a te. Bisogna poi ricordare che con un publisher si va a stipulare un vero e proprio contratto, con clausole e penali in caso di inadempienza. È successo a diversi sviluppatori, di vedersi strappare la propria idea – la propria IP – per non aver letto bene cosa avevano firmato.

Quale publisher andare a cercare dipende chiaramente dal videogioco che stai facendo o che speri di sviluppare. Se ti sei lanciato su un MMO, per esempio, la faccenda è un po’ più complicata. Servono server, tecnici che li gestiscano e una serie di competenze non semplici da trovare. Soprattutto è cruciale dimostrarsi affidabili dal punto di vista tecnico, perché per un publisher il mercato degli MMO ha tutti i costi che ci sono dietro l’infrastruttura. Se siete in due, al primo progetto e con solo l’idea in mano, come speri che ti prendano in considerazione?

Lasciar perdere Non ho mai imparato a lasciar pedere, perché non ho le palle che hanno Luciano e Saverio. Me ne sono accorto giocando ad Hades, anche se sembra ridicolo.
Ecco, un buon consiglio potrebbe essere quello di costruirsi un portfolio. Il modo più semplice è probabilmente quello di partire da qualche Game Jam, utile anche come sorta di beta-testing dello sviluppo vero e proprio. Dietro un team di sviluppo ci sono delle persone e sì, so che non è una notizia sconvolgente. Quello che magari lo è che non sempre si è in grado di lavorare con tutti, perché il concetto di lavoro di squadra è molto soggettivo e ogni team è un mondo e una storia a sè. Dopo aver partecipato a qualche Jam ha senso provare ad auto-pubblicare un gioco. È un buon biglietto da visita, dimostra ad un eventuale investitore (sia un utente o un publisher) che sai portare un progetto in porto.

Non c’è vergogna nel partire da qualcosa di più piccolo. Troglobytes prima di riuscire con HyperParasite ha fallito con Tenebrae – Twilight of the Gods. È un’idea di cui Luciano e Saverio sono ancora oggi pazzamente innamorati, e basta ascoltarli per capirlo. Ci han tenuto su Skype una sera a farcelo vedere, parlandoci della genesi e di cosa era andato male. E nonostante tutto l’hanno lasciato andare. È una lezione durissima ma importantissima: bisogna saper perdere, bisogna saper lasciar perdere. Vale anche fuori dallo sviluppo dei videogiochi. Vale anche giocandoli, qualche volta. Bisogna anche saper aspettare. Aspettare di essere pronti per essere all’altezza di un’idea, o che l’idea sia pronta per il mercato. Lanciare un gioco di carte oggi, a fine 2020, potrebbe avere un suo senso. Domani chi lo sa.

Tenebrae – Twilight of the Gods è un non-gioco da cui puoi imparare tanto. Tipo a saper lasciar perdere.
Non sei tu a dettar legge. La tua idea di qualche anno fa magari è ancora buona, magari invece è invecchiata di colpo. Stai sviluppando un gioco Open World e poi ti esce un The Witcher 3 che cambia completamente la faccia del genere. Il mercato è estremamente competitivo e sono i grossi player a comandare. Non solo a livello di mode e tendenze nei generi, ma anche banalmente per quanto riguarda la finestra di uscita. Non vuoi uscire a cavallo di una calamita per l’hype come un The Last of Us Parte II o un Cyberpunk 2077. Ti accontenti di quello che resta libero, o di quello che ti propone il publisher se ne hai trovato uno. La data di uscita è delicata, e dipende molto anche da che lingua parla il tuo videogioco.

Che lingua dovrebbe parlare il tuo videogioco?

Che parli anche italiano, se stai leggendo queste righe, è chiaro. È probabilmente la tua lingua madre, o comunque la parli abbastanza bene. La brutta notizia è che è una lingua che non ha tantissimo valore nei videogiochi. Siamo il quarto mercato in Europa, ok, ma lontanissimi dal terzo e con l’aggravante che siamo l’unica nazione dove si parla italiano.

Il francese ti permette di coprire Africa e Canada, il portoghese abbraccia anche il Brasile – che è un mercato emergente. Cina e India sono due bacini di utenza pazzeschi, che muovono miliardi di persone e di dollari. Spesso ci si lamenta che in Italia non c’è industria del videogioco, ed è vero. Ma il vero nodo è che manca proprio la cultura del videogioco. E le differenze a livello mondiale non si fermano alle lingue. In Giappone giocano giochi molto diversi da noi e hanno abitudini agli antipodi. Va tantissimo il gaming in mobilità, ed è l’unica nazione al mondo dove PS Vita è riuscita a vendere. Le Visual Novel in Oriente sono mainstream, qua sono assolutamente di nicchia. Esistono delle visual novel italiane, sia chiaro. Ma sono una minoranza. Qualcosa da vendere solo ai nippofili più incalliti.

Nel 2020 sono triplicati i video su Youtube per Garena Free Fire. L’India da sola vale più del 25% del totale
Cambia anche la sensibilità e la possibilità di espressione. In Cina gli scheletri vengono censurati, e personaggi con quattro dita sono tabù. In Nord America la violenza è praticamente acqua, ma invece i contenuti più spinti dal punto di vista sessuale sono estremamente controversi.

La macchina è ovviamente ancora in moto. Di diario in diario, di puntata in puntata, il percorso verrà aggiornato fino ad avere un quadro completo su come si sviluppa un videogioco.

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