Una svolta storica quella che i videogiochi si trovano ad affrontare, che vede loot box e microtransazioni al pari del gioco d’azzardo. La notizia arriva dal Regno Unito, generando un eco di risonanza mondiale. Secondo quanto riportato dal Guardian, il Dipartimento del Digitale, Cultura, Media e Sport (DCMS) ha concluso il suo lavoro di studio su videogiochi e loot box. Il lavoro affidato a una commissione, iniziato lo scorso anno, ha visto coinvolgere numerosi addetti ai lavori dell’industria videoludica. L’obiettivo era quello di capire il funzionamento e i meccanismi di loot box e microtransazioni e capire se e come potessero essere considerate delle forme di gioco d’azzardo.
Tralasciando qualche “bislacca” similitudine, come le loot box al pari degli ovetti kinder, tanto per rinfrescare la memoria, la commissione ha proseguito il suo studio, intensificatosi nel momento della pandemia da COVID-19. Il lock-down ha costretto tutti a rimanere nelle proprie abitazioni, rivolgendo maggiori attenzioni a forme di intrattenimento digitale. La crescita dell’utilizzo dei videogiochi è stata esponenziale, in questo infausto periodo, per cui è naturale che i “sensi di ragno” del DMCS abbiano cominciato a vibrare.
Una nuova pagina del libro della grande storia dei videogiochi è pronta per essere scritta. L’ipotesi che loot box e microtransazioni, nel Regno Unito, vengano considerate come il gioco d’azzardo, comincia a diventare sempre più reale.
Non sarebbe, però, il primo caso al mondo. In Belgio e in Olanda, per esempio, alcune software house come Blizzard, Electronic Arts e 2K Game hanno dovuto rimuovere dai loro store le valute in-game acquistabili con soldi veri. Il DMCS prenderà una decisione entro la fine dell’anno, magari con l’arrivo della next-gen. Pura e semplice coincidenza?
Il diavolo si nasconde nel gameplay
Sebbene sul banco degli imputati siano saliti loot box e microtransazioni, non ci sentiamo di esimere gameplay e meccaniche di gioco. Quando si gioca si entra all’interno di un intricato algoritmo decisionale, reso invisibile dall’interfaccia grafica e visuale. Vittorie e sconfitte, avanzamenti e respawn, ore di gioco e frequenza di abbandono sono dei parametri che questo algoritmo elabora per decidere come veicolare la vostra esperienza di gioco.
Per fare un esempio di scuola: quanti di voi hanno sentito parlare del leggendario momentum di FIFA? Un attimo fuggente di insana follia dove il gameplay dichiarava la sua resa incondizionata in favore di azioni scriptate e predeterminate. Inermi si assisteva a movimenti rallentati e tiri “a porta vuota” che sistematicamente finivano fuori o su pali e traverse.
In questo preciso momentum il dubbio sulle nostre capacità di videogiocatore iniziava a farsi strada. Ma perché non riesco a vincere più? Perché gli altri sono sempre più forti di me? Ecco che siamo finiti dove quel famoso algoritmo voleva sin dall’inizio, mettendoci davanti a un punto di non ritorno: compra e migliora, o resta nella tua mediocrità?
Per quanto le software house possano smentirla, la presenza di “cose” in grado di punire e peggiorare l’esperienza di gioco è risaputa, documentata e discussa. Bisogna saperlo riconoscere, senza andarsi a rifugiare in spirali di dubbi e incertezze. Entrare in questi loop porta inevitabilmente al ricorso a metodi alternativi per ritrovare il successo e lo smalto perduto.
Ed ecco che quindi dimostrato come il gameplay mi porta a guardare di buon occhio loot box e microtransazioni. Ecco come le meccaniche e le dinamiche di gioco mi invitano ad aprire il portafogli per ritrovare la via del successo. Ed ecco come, senza nemmeno accorgermene, sto giocando d’azzardo sputtanando i miei risparmi.
Ecco come le meccaniche e le dinamiche di gioco mi invitano ad aprire il portafogli per ritrovare la via del successo
loot box : gaming competitivo = microtransazioni : internet
Se fate un piccolo sforzo di memoria, prima, andando all’epoca del cavo e delle competizioni “spalla a spalla”, il concetto di competitività non era globalizzato. Fenomeni esports embrionali vedevano stanze interconnesse, in LAN Party, con un numero di player certo e limitato. Vi era rispetto, parità, riconoscenza e consapevolezza dei propri mezzi. L’avvento di internet ha, nel tempo, cambiato la dimensione degli “spazi di gioco”, estendendola sempre di più. Le nostre camerette, in un attimo, sono finite all’interno di community con milioni di giocatori connessi.
Quelle partite “spalla a spalla” adesso si sono trasformate in eventi esports organizzati in stadi e arene con spettatori paganti. Il tutto in onda su Twitch, Mixer, Caffeine e Youtube. In questa dimensione globale del gioco, tutti ambiscono a fare i soldi con i videogiochi. Cavolo, SE SEI BRAVO a giocare con il tuo gioco preferito, può diventare un vero e proprio lavoro.
Ma come si dimostra di essere più bravi degli altri? Sfoderando armi e skin all’ultimo grido o dimostrando sul campo che non hai bisogno di aiuti per essere il migliore? Come si dimostra di avere la squadra più forte? Sfoggiando una rosa del valore ultra milionario oppure dimostrando di saper giocare?
Convenite con me che la proporzione indicata nel titolo comincia ad assumere dei contorni chiari e piuttosto veritieri. Lo sviluppo di internet ha viaggiato di pari passo con quella dei mezzi e le forme di pagamento. Spendere senza avere una reale misura di quello che si sta consumando è molto facile, figuriamoci se tutto avviene per mano di un ragazzino.
Si pensa a diventare forti, imitando gli influencer più in voga, dimenticando che il prezzo da pagare è molto alto. A pagarne le conseguenze (e le spese), ci penseranno, poi, papà e mamma. Ignari, e al tempo stesso, indifesi rispetto a questo problema.
Spendere senza avere una reale misura di quello che si sta consumando è molto facile, figuriamoci se tutto avviene per mano di un ragazzino.
No Loot box? Si game pass
In uno scenario che sembra assomigliare, sempre di più, a una concreta realtà, loot box e microtransazioni potrebbero essere bandite perché simili al gioco d’azzardo. Correndo ai ripari, le big del gaming hanno cominciato a ideare strategie alternative per fare cassa. La strada più percorribile è quella dell’introduzione del Game Pass, sulla falsa riga del Fortnite Pass Battaglia. In pratica, se vuoi giocare, oltre all’abbonamento classico Sony e/o Microsoft, ce ne vuole un altro per accedere al gioco preferito. Si va incontro, quindi, a un aumento dei costi dedicati al gaming.
Un videogioco potrebbe cominciare a essere pesante da sostenere per le nostre tasche, costringendo i giocatori a fare delle scelte. Oltre alla spesa iniziale dell’acquisto del titolo, che si aggira mediamente intorno ai 70 euro, va aggiunta quella per il pass del gioco. Già per Fortnite, ad esempio, si parlava di abbonamento annuale da acquistare al costo di 7.500 v-bucks (circa 60 euro di monete virtuali). Epic fece subito cadere l’indiscrezione, svelando che tale ipotesi era stata presa in considerazione ma poi accantonata.
Fortnite, però, è un free-to-play, per cui la spesa del pass è legittimata dalla mancanza di un costo di acquisto. Già per FIFA questo discorso non vale, dato che ogni anno, quando arriva settembre, mano al portafoglio lasciamo 70 euro per giocarci. Se dovessimo aggiungere, anche, altri 60 euro di pass diventa una bella rottura di scatole.
Ed ecco che allora si potrebbero aprire due ipotetici scenari, che vedono coinvolgere maggiormente tutti quei titoli concepiti come GAAS. Il primo potrebbe essere quello di una proliferazione dei free-to-play, clonando, quindi, l’esperienza di Fortnite. Il modello, in fin dei conti, funziona ed economicamente è sostenibile. Un’altra strada potrebbe, invece, essere quella di una combo gioco+pass, simile a quella dei season pass contenuti nelle versioni premium di un videogioco. Una soluzione quasi elitaria, sostenuta da contenuti esclusivi e dedicati, e non dal solo accesso al gioco.
I modelli Fortnite e Overwatch, in fin dei conti, funzionano ed economicamente sono sostenibili.
Vi piace vincere facile?!
Fino adesso abbiamo parlato molto di chi il gioco lo vende e non di chi se lo gioca. Parliamo di noi e di voi, che al modo di dire “l’importante non è vincere ma partecipare” ci crediamo poco, se non nulla. Non ce lo nascondiamo: competizione e sfida fanno parte del nostro DNA. Siamo giocatori, player di un universo interconnesso dove ognuno vuole scalare una classifica per dimostrare a se stesso e agli altri di essere il più forte. Questa cosa è sempre esistita, sin dai tempi dell’arcade. All’epoca bastava inserire solo 3 lettere per farci andare al settimo cielo e diventare l’idolo del momento.
Allora, però, non c’erano scorciatoie e alternative per diventare forti. Sudore e sacrificio (e tante monetine) erano le uniche strade per diventare sempre più bravi. Tutto questo è durato sino all’epoca del single player. Nel momento in cui il gaming competitivo ha assunto la forma del “multigiocatore online”, sono nate forme di crescita alternativa, lasciando spazio alle famose “pay to win”. Più spendi e più vinci, e maggiori saranno le tue chance di competere a livelli importanti e sedere al tavolo dei vincitori. E se poi, stranamente, qualcosa non gira più come prima, il ricorso alla strada comoda è la soluzione migliore.
Ed ecco che in nostro soccorso arrivano loot box e microtransazioni, proponendoci svariate lotterie per tentare la fortuna, e la puzza del gioco d’azzardo si comincia a far sentire. Tra sbustamenti, spacchettamenti ed estrazioni si spendono soldi (magari quelli di mamma e papà) per far finta di essere bravi. Perché ragazzi, alla fine della fiera, di questo si tratta. Cosa vi siete guadagnati sul campo se, già al D1, avete la migliore formazione in circolazione?Che cosa ci trovate di bello ad avere la migliore build in circolazione se avete alle spalle solo poche ore di gioco?È divertimento per voi questo?
Ha un nome e si chiama illusione.
Tra sbustamenti, spacchettamenti ed estrazioni si spendono soldi (magari quelli di mamma e papà) per far finta di essere bravi.
Bravi si diventa giocando, non spendendo
Il lato bello, ma soprattutto quello brutto, del gaming competitivo si chiamano vittoria e sconfitta. Non si diventa bravi spendendo soldi in loot box e microtransazioni e ne si migliora. Si rischia pericolosamente di entrare in vortici come la dipendenza da gioco d’azzardo, con l’ombra del gaming disorder che incombe su di noi.
Le partite giocatevele sino alla fine, sia che vinciate che perdiate. Oggi perdete domani vincerete. Analizzate criticamente il vostro modo di giocare e provate a fare cose difficili, prendendo esempio da chi è più bravo di voi. Le ore di gioco servono, ma dovete puntare alla qualità di queste, più che alla loro quantità. Credete in voi stessi, la forza è dentro di voi e non nel vostro portafoglio. La squadra, il vostro personaggio e la vostra auto miglioreranno assieme a voi. Le vostre abilità progrediranno insieme alla vostra conoscenza del gioco e dei suoi meccanismi di funzionamento interni. Tutto questo si riassume con un termine che avete già trovato, in più occasioni, in ILoveVideogames: consapevolezza.
Noi abbiamo messo sul tavolo tutte le nostre conoscenze, anche alla luce delle ultime evoluzioni. Noi combatteremo con tutte le nostre forze la diffusione di pratiche scorrette, come la presenza di loot box e microtransazioni che alterino l’esperienza di gioco. Ve lo abbiamo dimostrato in più occasioni nelle nostre recensioni. Ma non ci fermiamo di certo qui, vogliamo e dobbiamo fare di più. Lo dobbiamo a voi e a tutti quei videogiochi che puntano a far crescere il vostro divertimento, senza svuotare il vostro portafogli. Vi terremo aggiornati su quello che succede nel mondo, con il preciso intento di fornirvi tutti gli strumenti per capire e, quindi, saper scegliere.
Questo non è il classico argomento da bait, quello che ti fa muovere migliaia di visite sfruttando magari un titolo esca che nulla c’entra poi con il contenuto. A noi questo non interessa, lo lasciamo volentieri a chi di questo ne ha fatto, volentieri, un lavoro. A tutti noi importa solo del vostro divertimento e crediamo, solo ed esclusivamente, nella sana competizione. Quella che, al di la del risultato finale, vi lascia sempre qualcosa, e non vi toglie nulla.
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