I videogiochi fanno bene, questo è un dato di fatto, e possono essere anche usati come nuove forme di cure e terapie. La notizia arriva dal quotidiano torinese La Stampa, che promuove un’iniziativa nata nel capoluogo piemontese. I videogiochi, questa volta, sono stati reimpiegati come strumento di riabilitazione. L’idea arriva da Marco Mazzaglia, docente nel neo-nato corso di Game Design e Gamification presso il Politecnico di Torino. Se vi ricordate, vi abbiamo già parlato di come il videogioco può essere messo al servizio di situazioni di disabilità. L’offerta videoludica “alternativa” inizia progressivamente a ritagliarsi un segmento di mercato dedicato. E non si tratta di riadattamenti di qualcosa di già esistente ma stiamo parlando di prodotti dedicati appositamente per questo nuovo mercato emergente. Il caso del videogame per non vedenti, Blackout, creato dal nostro amico Stefano di Dio, ne è stato solo un’ennesima dimostrazione.
L’idea ha iniziato a prendere forma già diversi anni fa. Mi sono sempre chiesto come coniugare attività lavorativa e profilo filantropico e, passo dopo passo, mi sono accorto che il volano era insito nella struttura stessa del videogioco.È questo il pensiero enunciato da Marco Mazzaglia, riproposto dal noto quotidiano piemontese. Un pensiero chiaro e preciso dove si riflette la passione e l’amore verso i videogiochi. Questo suo credo lo ha fatto diventare un professionista e nell’ambiente è noto come “Video Game Evangelist”.
Noi pensiamo che le idee meritano di essere diffuse, anche perché è proprio questo il significato profondo del nostro lavoro.
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