Amo il mondo dei videogiochi e ho sempre pensato di parlare a tutti ma mi sbagliavo, non rivolgendo mai la mia attenzione ad argomenti come disabilità e accessibilità al medium. Non si tratta del solito perbenismo da necessità o del parlare di qualcosa che genera sempre l’attenzione mediatica. Si sa tutti amano interessarsi alle problematiche legate ai diversamente abili. Ci preoccupiamo di eliminare le barriere architettoniche, creare rampe sui marciapiedi, installare ascensori sugli autobus, dotare i semafori di segnali acustici e altri adattamenti e/o aggiustamenti.

Perché di questo si tratta.

Tempo fa ho partecipato a una cena al buio. Acquistata con lo sconto del 50%, nell’inserzione si parlava di “una nuova esperienza sensoriale”. Vestito di cinismo e di finto perbenismo sono andato a questa cena al buio e, una volta spente le luci, ho capito di non aver capito nulla sinora. Vedere il mondo come lo vedono i non vedenti e le persone che appartengono al roster dei diversi, è veramente l’esperienza che ti cambia la vita.

E mi sono chiesto: ma come fanno i diversamente player a giocare con i videogiochi?

Ero ignorante in materia, come forse non mai. Sono partito da un background assolutamente privo di alcun pregiudizio, guidato dalla mia unica voglia di riscatto e di sapere. Il mare di internet mi ha portato a conoscere il lavoro della Dott.ssa Francesca Caprino, psicologa e consulente di tecnologie assistive presso società Leonardo di Reggio Emilia. Ho letto attentamente le sue due pubblicazioni, Videogiochi e disabilità, dove viene fatta una fotografia della situazione attuale e rivolgendo particolare attenzione all’accessibilità del medium.

I supereroi esistono

Conoscete Daredevil? Lui è un supereroe dell’Universo Marvel che, cieco dall’infanzia, sviluppa tutti gli altri sensi in maniera esponenziale. Ebbene non si tratta di pura e semplice finzione fumettistica. Esistono tanti Daredevil e sono intorno a noi. Purtroppo non li vediamo, anzi non abbiamo il loro punto di vista.

Quando parliamo di gameplay, colonne sonore, ambientazioni, design dei personaggi, logiche di grinding e algoritmi decisionali, attiviamo la nostra personale catena sensoriale. Occhi, orecchie e mani si attivano stimolando il cervello. Lo stimolo, quasi come se fosse un interrupt elettrico, si propaga nel nostro corpo generando le sensazioni, siano esse positive che negative. Perdonate la piccola personale parentesi da Superquark ma a volte nella banalità si nasconde una profondità infinita.

videogiochi disabilità

Come fa un videogiocatore che ha degli impedimenti fisici e mentali a provare queste sensazioni? Le proverà mai?

Fortunamente la risposta è sì. Vi sono delle ricerche sperimentali svolte da università di tutto il mondo che creano ex novo o adattano dispositivi esistenti per permettere ai diversamente player di divertirsi con il medium videoludico. Blind Hero, per esempio, consente a non vedenti di giocare al famoso Guitar Hero. Sviluppato dall’Università del Nevada, la classica chitarra è sostituita da un guanto speciale che restituisce degli stimoli tattili che si differenziano in base alle note.

Accessibilità e console

Altra positiva scoperta fatta grazie alla Dott.ssa Francesca Caprino è conoscere quale tra le console di nuova generazione fosse la più votata al benessere dei diversamente player. Ebbene la risposta è Wii, la famosa piattaforma di gioco sviluppata da Nintendo. La sua prima versione, quella dotata di telecomando e balance board, non è stata solamente adattata per assolvere ai bisogni videoludici di non udenti e non vedenti.

Vi sono numerose applicazioni sperimentali che consentono a coloro che hanno disabilità motorie di utilizzare il telecomando della Wii come periferica di gioco. Non è un caso che attorno a questa applicazione si è cominciato a parlare di Wii Therapy. La filosofia giapponese, in materia di videogiochi, ci insegna che è molto facile superare pregiudizi di ogni sorta quando si parla di disabilità e accessibilità.

Beh, da amante del medium, l’idea che i videogiochi servano a un bene nobile mi rende orgoglioso.

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