Un abusatissimo luogo comune sul calcio recita “la palla è rotonda”: non sempre il campo fa emergere vittorioso il migliore ed il bel gioco non è garanzia assoluta di risultato. Da questo punto di vista l’industria videoludica non è meno spietata e, negli anni, ha mostrato diversi esempi di applicazione della Dura legge del Gol fuori dal contesto calcistico. Abbiamo deciso di raccogliere qualcuno di questi casi e raccontare la storia di questi progetti nati sotto la stella sbagliata, che nonostante le ottime premesse non sono riusciti a raccogliere quanto meritavano. Progetti che in pratica, come il Fantozzi interpretato da Paolo Villaggio, sono stati perseguitati e sconfitti (o quasi) dalla sfiga.
Okami
Okami è un perfetto Fantozzi ludico, vincitore di un GOTY ma “perditore” a livello di vendite
Abbiamo parlato già diverse volte su queste pagine di quella maledizione che molto spesso ha colpito i titoli firmati Clover Studio (prima) e poi Platinum Games, marchiando praticamente a fuoco lo studio. Okami è probabilmente è il caso-Fantozzi più eclatante di questo fenomeno che, in uno slancio di demenza pre-senile, potremmo definire “Hideki Kamiya: tutti lo vogliono ma nessuno se lo piglia”. Perché abbiamo scelto proprio il titolo con protagonista la reincarnazione della dea Amaterasu rispetto ad altri titoli di spessore nel portfolio dello studio (un nome su tutti, God Hand)? Molto banalmente, perché il titolo, e non stiamo scherzando, detiene il Guinness World Record come vincitore di un premio Gioco dell’anno che ha raccolto meno successo commerciale. Un GOTY portato a casa in un anno davvero ricco di uscite, vinto battendo sul campo titoli della caratura di The Legend of Zelda: Twilight Princess e The Elder Scrolls IV: Oblivion, e che andava a riempire il vuoto di titoli “Zelda-Like” che potessero effettivamente giocarsela con la serie Nintendo disponibili su Playstation 2. Difficile dire cosa sia andato storto, considerato un successo di critica unanime (Metacritic riporta una valutazione complessiva di 93) ed una base installata di potenziali acquirenti che praticamente sfiorava il monopolio videoludico: eppure a Marzo 2009 il conteggio delle copie vendute era fermo a 600000, e per quanto Capcom abbia ripubblicato il titolo negli anni anche su Wii e Playstation 3 le acque non si sono agitate mai abbastanza da andare a concretizzare un sequel diretto (tralasciando Okamiden, uscito su Nintendo DS) nonostante le voci ciclicamente facciano tornare l’argomento di moda.
Una console avanti, forse troppo avanti per il 1998
Non potevamo scrivere un articolo di questo tipo senza nominare quello che è stato il canto del cigno in ambito hardware per SEGA ed ha segnato un forte ridimensionamento per la casa che per prima si era opposta all’egemonia di Nintendo nell’industria dell’intrattenimento domestico. Immaginate di ritrovarvi tra le mani una console che, oltre ad includere nella sua lineup titoli che per un motivo o per l’altro passeranno alla storia (senza scomodare Shenmue, basta nominare Soulcalibur o Jet Set Radio), poteva contare su una potenza computazionale capace di sbaragliare la concorrenza e la capacità di connettersi ad Internet per chattare, navigare e accedere alla posta elettronica, oltre che per giocare online con altri utenti. Un aspetto che oggi, a 2016 inoltrato, diamo praticamente per scontato ed è parte integrante della nostra esperienza come giocatori, ma che nel 1998 (anno di uscita della console) era una vera e propria rivoluzione. Con queste premesse, una serie di titoli di primo livello (con peraltro diverse conversioni da sala giochi che invidiavano poco o nulla alla controparte da cabinato) e quasi due anni di vantaggio sulla concorrenza di Sony, Nintendo e Microsoft si potrebbe pensare che la strada per Dreamcast fosse tutta discesa, tanto più che la concorrenza, se si esclude la macchina della casa di Redmond (che a Dreamcast deve moltissimo e ne rappresenta a tratti un erede spirituale illegittimo), era tremendamente indietro dal punto di vista della connettività. E invece in buona sostanza non si arrivò nemmeno allo scontro diretto, visto che il progetto fu dismesso nel 2001. Le motivazioni? Tutte da ricercare nello storico di SEGA, che negli anni precedenti si era andata a scavare una fossa finanziaria dopo una serie di progetti fallimentari come Sega CD e i vari accessori pensati per affiancare le console precedenti della casa.
Evolution Studios
Evolution Studios: praticamente la nuvola con la pioggia tatuata addosso
Le case di sviluppo negli anni non sono state impermeabili alla sfortuna, e nemmeno l’essere un team interno ad uno dei grandi protagonisti del mercato (in questo caso Sony) dà garanzie in questo senso. Evolution Studios però, è il caso di dirlo, da questo punto di vista ha esagerato: tornando indietro negli annali fino agli inizi del 2011 è possibile vedere come la proverbiale nuvola fantozziana si sia abbattuta sull’ultima (all’epoca) fatica dello sviluppatore, Motorstorm: Apocalypse. Il titolo infatti avrebbe dovuto debuttare in Giappone, Europa/Australia e Nord America rispettivamente il 10 Marzo, il 16 Marzo ed 12 Aprile. Il 10 Marzo 2011 però la terra del Sol Levante, come qualcuno ricorderà, è stata colpita da una delle catastrofi più devastanti della sua storia recente, un terribile terremoto seguito da uno tsunami (che ha causato il famoso disastro nucleare della centrale di Fukushima). Incidente che tra le altre cose, a tre mesi dall’accaduto, ha portato alla cancellazione del rilascio giapponese del titolo. Anche il lancio australiano non è stato sicuramente indolore, visto che il mese prima dell’uscita un altro terremoto, di magnitudo 6.3 nella scala Richter, si abbatté sulla Nuova Zelanda, costringendo Sony ad un altro rinvio a tempo indeterminato. Tutto questo, al netto dei danni causati e delle vite spezzate, ha fatto si che Motorstorm: Apocalyspe (che per ironia della sorta affrontava su piste tematiche molto simili) venisse rinviato anche in Europa (31 Marzo) e Nord America (3 Maggio). Driveclub fortunatamente ha avuto una gestazione ed un lancio meno travagliati, ma non per questo privi di strascichi. Il titolo doveva essere originariamente uno dei giochi acquistabili al lancio di Playstation 4, oltre a fungere da ambasciatore di Playstation Plus sulla nuova macchina con una versione pensata ad-hoc per gli abbonati al servizio. Si dovrà invece aspettare quasi un anno per vedere il titolo arrivare sugli scaffali e per la seconda puntata di questa telenovela: al lancio e per diverso tempo dopo il rilascio infatti i server di gioco hanno lasciato a piedi giocatori e sviluppatori, che non hanno potuto fare altro che cercare di salvare il salvabile, rinviare la versione Playstation Plus del titolo e (dimostrando, come abbiamo spesso ripetuto, molta professionalità) chinare il capo e lavorare, nonostante i proclami pre-rilascio che presentavano Driveclub come il “Forza Killer”.
Tutto qui? Assolutamente no: i problemi, ovviamente, col tempo sono rientrati, rendendo il gioco quello che voleva essere al debutto (ovvero un arcade su pista maestoso nella grafica e divertente pad alla mano) e impreziosendo il tutto con un’espansione stand-alone dedicata alle moto, con il grande pregio di riuscire ad esaltare su due ruote l’esoscheletro racing del titolo. Ma nonostante questo e la messa in cantiere di una versione VR del prodotto Evolution Studios non è riuscita ad evitare una chiusura un po’ improvvisa da parte di Sony, andandosi a ritagliare purtroppo di diritto un posto d’onore in questa lista di Fantozzi perseguitati dalla malasorte.
Duke Nukem Forever
Duke Nukem negli anni ’90 era videoludicamente parlando una vera e propria icona, tanto da riuscire a competere (e, in qualche caso, anche a vincere la battaglia) con una certa casa di nome id Software. Eppure Duke Nukem Forever, ultimo titolo dedicato al personaggio, ha alle spalle quindici anni di vuoto prima di incontrare il suo predecessore, Duke Nukem 3D (uscito in piena “generazione Playstation”). Quindici anni di annunci, smentite e controsmentite che hanno portato il progetto alle soglie del vaporware e permesso alla vicenda di diventare una sorta di fenomeno, arrivando tra le altre cose ad essere citata anche nel finale di No More Heroes di Suda51 (e ad avere un’intera pagina di Wikipedia dedicata. Non al gioco, ma alle vicende dietro lo sviluppo).
15 anni ad inseguire l’uscita salvo poi steccare una volta sullo scaffale
La storia inizia grossomodo nel 1997, con 3D Realms (all’epoca responsabile della serie) che decide di accantonare il Build Engine, utilizzato per Duke Nukem 3D, in favore del Quake II Engine di id Software, che se avete seguito il nostro approfondimento dedicato in quegli anni era in buona sostanza lo stato dell’arte per quanto riguardava questo tipo di tecnologie. La licenza costò a 3D Realms circa mezzo milione di dollari, ma si decide comunque di investire la somma – di nuovo, eccoci al momento ironia della sorte – sicuri di risparmiare tempo prezioso e riuscire a lanciare Duke Nukem Forever entro un anno. La casa dovrà però aspettare fino al Novembre dello stesso anno prima di riuscire a mettere le mani sulla tecnologia firmata John Karmack, riuscendo a confezionare un primo firmato per il titolo in tempo per l’E3 del ’98. Di lì a poco però un altro grosso nome avrebbe deciso di dire la sua in fatto di motori grafici, ed Epic Games svelò infatti la prima versione del suo famoso Unreal Engine, più realistico e complessivamente più adatto alla realizzazione di spazi aperti rispetto al Quake II Engine. Il team, dopo una serie di discussioni interne, decise per lo scambio, di fatto (nonostante le dichiarazioni rilasciate all’epoca affermassero l’esatto contrario), cestinando il grosso del lavoro fatto fino a quel momento e in pratica facendo ripartire lo sviluppo da zero. L’iter si ripeté negli anni successivi, anche a causa del fatto che il progetto era finanziato direttamente da George Broussard e Scott Miller, cosa che permise al duo di gestire con più libertà il team di sviluppo e di lavorare senza l’assillo delle scadenze. I rubinetti, andando veloce fino al 2009, però ad un certo punto si chiusero proprio quando il tutto sembrava in dirittura d’arrivo; con circa una ventina di milioni di dollari spesi da 3D Realms c’era bisogno di altri 6 milioni per arrivare al rilascio di Duke Nukem Forever, cifra che però la casa madre Take Two non era disposta a versare così a cuor leggero (la proposta fu di 5 milioni in due tranche, una subito e l’altra a sviluppo completato). Una causa legale dopo e grazie all’intercessione di Gearbox Software (che nel mentre acquisterà anche la Proprietà Intellettuale del Duca), con risultati che pad alla mano confermano che niente di buono succede dopo le due di notte sviluppi così sofferti solitamente danno vita a prodotti destinati a floppare clamorosamente.
Hello Games
Sean Murray è l’ultimo Fantozzi
Arriviamo ad un caso all’apparenza fresco, ma che in realtà tiene banco da ormai un paio d’anni. Al netto di quelle che possono essere le valutazioni a proposito di No Man’s Sky (vi rimandiamo alla nostra recensione in due parti per un parere più istituzionale, ma torneremo a breve sull’argomento in modo più diretto) il progetto, scusateci per l’ennesimo infelice gioco di parole, è nato sotto una cattiva stella. Nel 2013 infatti un’alluvione colpisce gli studi di Hello Games, danneggiando gran parte delle apparecchiature (e dei dati relativi al gioco) presenti in loco e avvicinando il progetto ad una prematura dipartita, nonostante una parte dei progressi riuscì ad essere recuperata dai backup. In parallelo la banda di Sean Murray doveva anche affrontare una causa legale segreta con Sky, l’emittente satellitare capitanata da Rupert Murdoch che, apparentemente, detiene i diritti sulla parola “Sky”.
Una causa molto simile a quella che tempo prima aveva costretto Microsoft a ribattezzare Skydrive con il nuovo nome di Onedrive, ma che fortunatamente per Hello Games si è andata a risolvere positivamente. Non sono mancati poi vari rinvii del titolo, qualcuno più in sordina tramite un filmato proiettato durante la Paris Games Week 2015 e qualcun altro più eclatante, tanto da far piovere sullo studio una serie di minacce di morte da parte dei giocatori insoddisfatti. Le cose non potevano chiudersi con l’uscita, e infatti No Man’s Sky continua in perfetto stile Fantozzi ad essere sotto lo sguardo vigile della sfortuna (anche se in questo caso si potrebbe discutere, e non mancheremo di farlo, su quanto questa sia meritata o meno) con una serie di rimborsi richiesti dall’utenza e accolti sia su Playstation Store che su Steam, in quest’ultimo caso anche se chi ha acquistato il titolo ne ha goduto per più delle due ore che da regolamento sanciscono il tempo massimo in cui richiedere il denaro indietro.
I prossimi Fantozzi
Gli aspiranti ragionieri del 2016
Chiudiamo questo articolo all’insegna del passato parlando di due “Fantozzi che verranno”, due titoli anche loro capaci di arrivare alle colonne d’Ercole del Vaporware per poi tornare indietro inaspettatamente. Facendo i dovuti scongiuri il 2016 dovrebbe essere l’anno di The Last Guardian, terzo figlio digitale di Fumito Ueda (papà di Ico e Shadow of the Colossus) annunciato nel lontano 2007 per Playstation 3 e pronto ad uscire 10 anni dopo su Playstation 4. Anche in questo caso il materiale si spreca, dalle dichiarazioni contraddittorie di Shuhei Yoshida e alle varie gole profonde che lo volevano redivivo ad ogni E3 (salvo poi azzeccarci l’anno scorso) fino al “Trademark-gate” che ha tenuto i giocatori col fiato sospeso, spaccandoli tra chi chiedeva ormai l’eutanasia del progetto e chi invece voleva ancora crederci nonostante tutto. Ad ogni modo, del titolo dopo l’annuncio si è parlato sicuramente poco, bidonando anche diversi appuntamenti fieristici, ufficialmente per non svelare troppo del progetto. I prossimi giorni ci diranno se ci aspetta l’ennesimo rinvio oppure finalmente una conclusione, più o meno lieta a seconda di quello che il gioco si rivelerà essere.
L’altro grosso Fantozzi del 2016 è (o almeno speriamo, sarà) Final Fantasy XV, nato anche questo una decina d’anni fa come Final Fantasy Versus XIII, costola della fantomatica Fabula Nova Crystallis, che col tempo si è tramutata in una “semplice” trilogia legata all’originale e a tratti deludente Final Fantasy XIII (ma questa è un’altra storia, materiale per un altro approfondimento).
Anche in questo caso Square Enix non ci ha risparmiato un ottovolante di informazioni, rompendo qualche E3 fa un lungo silenzio sul titolo e svelandone la “promozione” a quindicesimo capitolo principale del franchise. Episode Duscae e Platinum Demo hanno fatto il resto, dividendo ancora una volta il pubblico in scettici e speranzosi ed evidenziando luci, ma anche ombre, dietro il progetto. Da parte nostra, avendo potuto giocare una larga porzione della prima parte del titolo, abbiamo notato un’estrema cura per certi dettagli, storcendo però il naso davanti ad un open world vuoto (e ad alcune scelte come il poter utilizzare l’automobile solo sulle strade principali) e, a pochi mesi dall’uscita, incontrando diversi problemi di natura tecnica. Anche in questo caso quindi di doman non v’è certezza e la fine della telenovela non è per nulla scontata, ben sapendo che visto il nome pesante se ne parlerà a lungo anche dopo l’uscita del titolo.
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