Non deve essere per niente facile ergersi a padre di un intero genere. Se nel cinema sono sette i topoi da cui si può attingere nella realizzazione di una storia, non crediate i videogiochi ne offrano molti. Lungi da me quindi iniziare una disamina sulle meccaniche implementabili per dare un esatto numero di generi esistenti. Negli ultimi anni si spreca il termine Soulslike, spesso solo per far notare la difficoltà non regolabile decisa dagli sviluppatori (un ottimo esempio di cattivo giornalismo, vero “Crash Bandicoot is the new Dark Souls“?).
Come si può definire se un gioco appartiene al genere Soulslike (o Soulsborne per gli amici, vedi Bloodborne) o meno? Qual è il vero significato del termine Soulslike? In linea di massima esistono delle linee guida che uno sviluppatore può seguire se vuole cop- ehm, ispirarsi a Dark Souls.
Finalmente Libero!
Uno dei punti forti della saga di Miyazaki e soci è la libertà lasciata al giocatore. Esistono molti modi di affrontare il gioco e, che facciano ricorso ad exploit o meno, sono tutti corretti. Non molti giochi garantiscono questo livello di immersione ed esplorazione. Volete affrontare uno dei boss avanzati ad inizio gioco? Potete farlo, armatevi di pazienza o ricorrete a qualche trucchetto.
Siete stufi di non riuscire a superare una certa area? Tornate indietro a grindare come forsennati, troverete la strada davanti a voi tutta in discesa. Un souls ben fatto vi porrà pochi ostacoli artificiosi, basti pensare che su Youtube potete trovare intere Pacifist Run dei giochi della saga. Questo è il primo ed unico punto da seguire per realizzare un buon Soulsbourne ed arricchirsi, zero sforzo.
Anche Skyrim lascia tutta la libertà possibile al giocatore, questo lo rende forse un SoulsLike?
Se nell’ultimo capitolo di Elder Scrolls impersonate il Sangue di Drago, l’unico guerriero che può fermare i draghi, nella saga di From la storia è un po’ diversa. Il mondo che vi trovate davanti è devastato, lontano dagli antichi fasti di un tempo, mentre voi non siete altro che un non morto qualunque, rinchiuso nella prigione dalla quale uscirete nella prima ora di gioco. I dialoghi con gli NPC sono criptici, le poche informazioni in vostro possesso vi basteranno a malapena per sapere come proseguire, per comprendere la storia sarete addirittura costretti a leggervi le descrizioni degli oggetti nel vostro inventario.
“Ma allora Miyazaki è proprio un genio! Aveva tutto in mente fin dal principio!”. Insomma, è stato il designer stesso a dichiarare la sua incapacità nel gestire scene dal taglio cinematografico, al punto di decidere che fosse il mondo stesso in qualche modo araccontare la sua storia. Un uomo che ha fatto di necessità virtù, riuscendoci pienamente tra l’altro. Secondo punto per un buon Soulslike. Terzo ed ultimo punto, ma solo perché non voglio dilungarmi più del necessario, è la difficoltà.
Ah la cara vecchia difficoltà, non fanno più i giochi di una volta
Vorrei fare un po’ di ordine. Era il 2011, tornato da scuola mi attendeva la mia copia di Dark Souls. Senza mappe, bussola in game o alcun tipo di indicazioni. Ricordo ancora che la prima cosa che feci dopo il tutorial fu andare a Petite Londo, per venire brutalmente distrutto da dei fantasmi armati di lame seghettate. Successivamente scoprii di essere incappato in una delle zone finali.
“Uau, certo che è davvero difficile come dicono”. Spensi la cara vecchia PS3 ed il povero DS se ne rimase per un po’ a prendere polvere sulla mensola.
Tutto questo finché un giorno non realizzai il motivo della mia frustrazione: ero abituato troppo bene. Giochi splendidi come Dead Space non facevano altro che guidarmi dall’inizio alla fine, senza sforzo, senza dover stare troppo a chiedermi cosa ci fosse in fondo a quel corridoio buio. Dark Souls non è mai stato un gioco ingiusto, a mio modesto parere le scelte di design forzatamente frustranti si possono trovare nel secondo capitolo, non a caso il capitolo che non fu diretto dal suo creatore, impegnato com’era nella realizzazione di un “LovecraftSouls”.
Però ti sprona a fare di meglio e a ripensare il tuo approccio ad una data situazione. Non sei un guerriero leggendario forgiato dal fuoco di mille battaglie, sei solo un povero stronzo che sta per venir trucidato dal prossimo invasore che raggiungerà la tua partita. Non sempre riuscirai a raggiungere i tuoi obbiettivi ma quando lo farai ti sembrerà di aver scalato una montagna. E ti sentirai bene.
Il trend lanciato nell’ormai lontano 2011da Dark Souls e proseguito negli anni sia con giochi prodotti dallo stesso studio sia con molti altri, emuli più o meno fedeli, ha portato fan e sviluppatori ad una riscoperta della difficoltà. Difficoltà per lo più tradotta in forti punizioni per il giocatore frettoloso o disattento, come nemici che colpiscono duro o trappole dietro ogni angolo.
Purtroppo però questi stessi nemici sono dotati di IA nella maggior parte dei casi molto deludente, con demoni alati che si gettano da torrioni altissimi e non morti ignari dell’esistenza delle collisioni poligonali. Per non parlare di fasi platforming frustranti ed abbozzate che farebbero imbestialire persino l’idraulico di Kyoto.
Tutte cose che riteniamo “indice di difficoltà” solo adesso, un rapido confronto con un qualsiasi platformer anni 90 ci farà sentire fortunati. Abbiamo vite infinite, possibilità di level up e vari modi per saltare a piè pari intere zone di gioco piuttosto impegnative.
Questo rende i videogiocatori contemporanei stupidi se messi a confronto con la loro controparte di fine millennio? Non necessariamente. Il percorso attraverso il quale i giochi hanno abbandonato una difficoltà spesso ritenuta troppo punitiva, durante l’epoca d’oro delle sale giochi, è stato lungo ed a lento assorbimento. Aver platinato un gioco della saga di From non ti rende automaticamente un videogiocatore hardcore ma solo una persona molto paziente. Sempre meno paziente del giocatore medio di BattleToads, ovvio.
Aver platinato un gioco della saga di From non ti rende automaticamente un videogiocatore hardcore ma solo una persona molto paziente
Hardcore Gamers Everywhere
E allora perché Dark Souls è così “difficile” in un mondo dove il giocatore medio era visto come un bambino con tanto di bavaglietto? Vogliamo tornare al tempo del cabinato, quando un gioco difficile voleva dire tante monetine spese in sala giochi? O al primo Crash Bandicoot per PS1, che ha terrorizzato i giornalisti di tutto il mondo quando è giunto tra di noi con una nuova veste grafica ma con meccaniche vecchie di 20 anni?
I tempi cambiano, il mercato cambia e non c’è niente di più ridicolo del vedere il videogioco come una forma di intrattenimento elitaria destinata a pochi eletti “hardcore gamer”. Non c’è niente di più bello invece del vedere sempre più persone appassionarsi ad un medium, persone che vogliono crescere cercando esperienze più impegnative.
Nonostante tutto, tutti gli elementi che caratterizzano il primo gioco della saga non sono altro che dettagli presi qua e là per poi essere mischiati in un enorme calderone pieno d’amore verso il medium videoludico.
Ti serve una chiave in particolare per procedere nel gioco? The Legend Of Zelda. Vuoi grindare come un pazzo per battere quel boss all’apparenza impossibile od ottenere una nuova arma dal drop rate dello 0,0001%? Castlevania Symphony of the Night. Passerai le prossime 4 ore ad imparare a menadito il pattern d’attacco di un nemico? Space Invaders. Beh, dovevi farlo se volevi diventare campione del mondo.
Senza dimenticare il fattore “rottura” del gioco, tanto caro ad ogni buon JRPG che si rispetti. Sì, l’ho detto, per quanto non voglia sembrarlo anche Dark Souls è un JRPG. E fidatevi che la mano nipponica si sente, in ogni momento.
I Soulslike non esistono al di fuori delle leggi del marketing
Non basta rendere un gioco artificiosamente stressante per farne l’erede di Dark Souls, proprio perché non è mai stata la difficoltà il vero punto di forza della saga. La ripida curva di apprendimento ha contribuito a rendere iconico il prodotto, ponendolo su un piedistallo raggiungibile solo da qualche eletto e creando una sorta di “religione” tra i giocatori. Il genere Soulslike nasce con Demon’s Souls e, almeno fino all’uscita di Elden Ring, muore con Dark Souls 3.
Neanche Sekiro è considerabile parte della famiglia, per stessa ammissione del suo Papà Miyazaki. Giochi come NiOh, Lords of the Fallen, Bound by Flame ed il recentissimo Mortal Shell possono legittimamente piacervi senza il bisogno di scomodare un neologismo per cercarli nel catalogo di Steam. Chi tra questi giochi è riuscito a trovare una propria identità in quel marasma che è il mercato sopravvivrà.
Tutti gli altri verranno ricordati come giochi mediocri che vogliono solo farvi incazzare.
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