Abbiamo affrontato la saga di DOOM (in vista dell’uscita di DOOM Eternal) grazie alla nostra collaborazione con DLCompare, che ha fornito il codice review del gioco per la nostra recensione su PC. Al solito, le nostre linee-guida per l’acquisto etico di videogiochi nella News+ dedicata.
Doom è LA serie, quando si parla di storia dei videogiochi.
La saga di DOOM ha sempre avuto più Storia che trama. E no, quella maiuscola non è li per caso. Dietro la serie che ha inventato lo sparatutto in prima persona, che per anni si scriveva “DOOM Clone“, ci sono alcune tra le pagine più importanti della storia dei videogiochi. Perché DOOM è una serie essenziale per la crescita del movimento. E anche se non si direbbe è un passaggio fondamentale del videogioco come oggetto culturale. È da Doom che nascono (in un certo senso) gli eSport ed è da Doom e id Software che un sacco di sviluppatori transitano, direttamente e indirettamente. Doom è un crocevia verso la grandezza.
Il punto di raccordo tra personalità molto diverse come quelle dei due John di id Software, Carmarck e Romero, ma anche di American McGee e Gabe Newell. Insomma, Doom è una serie che si è fatta Saga, di cui oggi proviamo a raccontare parte della storia.
La Saga di Doom è un crocevia verso la grandezza: per chi ci ha giocato, chi ci ha lavorato e per la storia dei videogiochi
A.D. (Avanti Doom)
Non si può parlare di Doom senza citarne il Padre, senza andare Avanti Doom insomma. L’anno è il 1992, e id Software ha già cambiato irrimediabilmente la faccia dello sparatutto in prima persona grazie al suo Wolfenstein 3D. Il titolo era stato capace di portare l’immersione del giocatore a livelli fino a quel momento solo sfiorati. All’epoca si parlava addirittura di “esperienza interattiva” e anche di “Realtà Virtuale”, concetti che oggi indicano tutt’altro. I ragazzi di id si stanno apprestando a raddoppiare questo successo grazie a Spear of Destiny. Si trattava di uno spin-off per il mercato “classico” delle avventure dal Capitano Blazkowicz che di fatto utilizzava lo stesso engine di Wolfenstein 3D. Wolf3D infatti (come tutta la produzione id Software fino a quel momento), utilizzava il modello shareware, ripreso poi anche per Doom.
Intanto John Carmack, la mente dietro le soluzioni tecnologiche che, fino a quel momento, avevano permesso all’azienda di continuare ad evolvere videogioco dopo videogioco, non è rimasto con le mani in mano. Ha continuato a sperimentare soluzioni – come per esempio un sistema di illuminazione graduale – che hanno il potenziale per portare ad un altro salto tecnologico. È questo, l’inizio della Saga di Doom.
Insomma, i segnali che sia tempo di dedicarsi finalmente ad un nuovo progetto ci sono tutti… Ma in quale direzione muoversi?
Le prime idee erano diametralmente opposte. Da una parte un ritorno (con adattamento alle tre dimensioni) di Commander Keen. Dall’altra aleggiava la possibilità di mettere le mani sulla licenza di Aliens. Non se ne farà niente in entrambi i casi per motivi altrettanto opposti. Il nuovo motore di Carmack mal si adattava ai toni più scanzonati ed “innocenti” di Kreen (e alla direzione che la stessa id aveva deciso di intraprendere, sull’onda di Wolfenstein). E lavorando ad un titolo su licenza la libertà decisionale e creativa della casa sarebbe stata giocoforza limitata.
Il cavallo su cui puntare, prendendo in prestito l’idea da una campagna di Dungeon & Dragons giocata dai membri di id, alla fine risultò questo. Mettere i demoni contro la tecnologia, confezionando un’esperienza a metà strada tra le atmosfere di Aliens e il gore e lo splatter di La Casa 2. Anche l’ispirazione per il nome del progetto sarebbe arrivata da Hollywood, più precisamente dalla pellicola Il colore dei soldi:
C’è una scena ne “Il colore dei soldi” dove Tom Cruise si presenta in una sala biliardo con una stecca personalizzata dentro ad una valigia. “Che cosa hai lì dentro?” chiede qualcuno. “Doom” spiega Cruise sogghignando: questa frase, e la successiva facile vittoria, era paragonabile a noi che presentavamo il gioco contro produttori ben più titolati.John Carmack
Prezzo di sangue
La trama in un videogioco è come la trama in un film porno: ti aspetti che ci sia ma non è così importante – John Carmack
Lo sviluppo di Doom non è stato sicuramente un passaggio indolore per id Software. La scelta di abbandonare Commander Kreen inevitabilmente andò a riflettersi negativamente su Tom Hall. L’all’epoca Creative Director dello studio deciderà comunque di ritornare in sella per cercare di plasmare Doom. Non voleva incanalarlo nel solco di Wolfenstein, proponendo un’esperienza tutta gameplay e senza spazio per la narrativa. Con questo spirito Hall iniziò a dedicarsi alla stesura del documento di design del progetto, la cosiddetta Doom Bible. in cui si andavano a dettagliare trama, personaggi e motivazioni. Ampio spazio anche ad alcune meccaniche di gioco, riprese dai giochi di ruolo, come la presenza di power up o di un sistema di classi tra cui scegliere all’inizio dell’esperienza.
Nulla di tutto questo troverà posto nella versione finale di Doom.
Stava infatti emergendo in modo sempre più preponderante la visione di John Carmack, che vedeva il prodotto quasi “piegato” alla tecnologia e sviluppato per esaltarne le caratteristiche. Andando a confezionare un’esperienza frenetica e capace di immergere nel gioco chi stava davanti allo schermo. Puntando sulla componente visiva e sulle atmosfere tese e a tratti claustrofobiche. E ovviamente sacrificando lo storytelling. Altre divergenze artistiche, questa volta a proposito dei livelli realizzati da Hall per il titolo (che aveva preso il compito di studiare l’architettura di alcune basi militari troppo alla lettera, secondo alcuni membri del team), portarono all’inevitabile rottura. Hall lasciò id Software, lasciando l’onere di realizzare i livelli definitivi di Doom sulle spalle di John Romero e Sandy Petersen, assunto per rimpiazzare Hall.
Doom è figlio anche dell'etica Hacker di Carmack e Romero
La diatriba sull’approccio alle mod, in qualche modo, non portò a nessuna vittima, ma non per questo fu meno combattuta. I “due John” (Carmack e Romero), anche a causa del loro background da programmatori, avevano una posizione decisamente aperta sull’argomento ed erano a favore della modificabilità. I responsabili degli aspetti commerciali di id erano preoccupati tanto dai possibili mancati guadagni quanto dai risvolti legali della faccenda. Ad ogni modo Doom fu sviluppato in modo da non complicare troppo la vita agli aspiranti modder, grazie ad un sistema basato su file con estensione WAD (acronimo per “Where are All Data?”). Le WAD consentivano una più facile alterazione degli assets senza il rischio, a differenza di quanto poteva avvenire con altri prodotti, di danneggiare irrimediabilmente il software.
L’utenza rispose molto positivamente, arrivando a rilasciare anche diverse utility che semplificavano la modifica di Doom e riuscivano ad arrivare anche più a fondo, andandone ad alterare meccaniche e comportamento del gioco, non limitando le modifiche alla semplice estetica.
Alla fine id Software non potè fare altro che prendere una posizione che consentiva ufficialmente di distribuire mod ed utility per Doom
Anche a pagamento, a patto che queste non fossero compatibili con la versione Shareware del titolo. E ovviamente che fosse specificato a chiare lettere che non si trattava di prodotti ufficiali di id Software. È uno dei motivi cardine dietro il successo di Doom e dell’altra grande saga di id Software, ma di Quake parleremo più avanti…
Conseguenze sull’industria
Avanti veloce fino al 1995. Doom, anche grazie al suo seguito diretto, è diventato un vero e proprio fenomeno di massa. Il bambino prodigio di id Software è giocatissimo, specie per quanto riguarda le modalità multiplayer competitive. Grazie al Deathmatch, termine coniato proprio da Doom, mettono i giocatori uno contro l’altro in tornei e competizioni. Un seme i cui germogli sono ancora ben impressi nel DNA del videogioco, basti pensare al fenomeno eSport. Nascono servizi come DWANGO (“Dial-up Wide-Area Network Game Operation”), che al costo di una tariffa rendevano possibile partite in rete tra giocatori molto distanti tra di loro. In un’era in cui Internet ancora non aveva preso piede, è un segnale forte di quanto sia diventata potente la saga di Doom.
Ma il sintomo più evidente del successo di Doom è reso ben chiaro dal proliferare dei cosiddetti “Doom Clones”. Etichetta che in tempi più recenti verrà sostituita con “First Person Shooter” (o Sparatutto in prima persona, se preferite). Rise of the Triad, che per ironia della sorte annoverava tra le sue fila Tom Hall dopo il licenziamento. Dark Forces, sviluppato da LucasArts ed ambientato nell’Universo Espanso di Star Wars. Marathon, che porta la firma di un altro grande nome del genere come Bungie. Prodotti si contendevano le attenzioni del pubblico con i titoli sviluppati tramite Doom Engine, concesso in licenza da id a Software House terze. Strategia antisegnana ad Epic e al suo Unreal Engine.
Doom salva il PC Gaming
Doom arriva ad essere più diffuso di Windows 95
Nel ’95, secondo una stima, Doom era più diffuso dell’ultimo Sistema Operativo di casa Microsoft, Windows 95. Nonostante l’enorme campagna pubblicitaria messa in piedi dalla casa di Redmond. Uno degli ostacoli sulla strada di Windows 95 era proprio rappresentato dai giochi. C’era infatti una forte dipendenza dall’hardware, e anche differenze nella componentistica non poi così marcate potevano fare la differenza tra un crash ed un avvio. Era insomma necessario fare in modo che per gli sviluppatori la transizione verso il nuovo OS fosse il più indolore possibile. Il problema fu risolto creando la tecnologia DirectX. Tecnologia che poi verrà pubblicizzata grazie alla conversione di Doom per Windows 95 (completamente a carico di Microsoft), WinDoom.
Ironia della sorte, ad occuparsi del porting per conto della casa di Redmond fu un certo Gabe Newell. Lo stesso personaggio che qualche anno dopo (ci arriveremo a breve) andrà a rilasciare sul mercato un prodotto diametralmente opposto allo sparatutto di id Software. E contribuirà alla morte dei Doom Clone.
I piani di Microsoft per Doom non si limitavano a WinDoom. Fu anche realizzato uno spot dove Bill Gates in persona impersonava il Doomguy. Per poi uscire dall’inquadratura in prima persona armato di fucile ad illustrare come Windows 95 fosse la miglior casa per i videogiochi. Ovviamente, cogliendo l’occasione anche per far fuori un Imp intimandogli di non interrompere il suo discorso.
Abbiamo visto quindi come Doom sia riuscito a caratterizzare il decennio della sua uscita. Definendo ed indentificando un genere. Abbracciando per la prima volta su larga scala il movimento delle mod e dei contenuti creati dall’utenza. Riuscendo a diventare un vero e proprio fenomeno trasversale, tanto da costringere anche la Microsoft degli anni d’oro a “reclutare” id Software per pubblicizzare e spingere le proprie soluzioni (sia tra il pubblico che tra gli sviluppatori). Ma l’eredità di Doom non si ferma a quegli anni: come si accennava più su, grazie al Deatchmatch lo sparatutto id Software ha piantato il seme della competizione, ed i primi frutti non potevano che essere raccolti da id stessa. Lo step successivo della casa poterà alla realizzazione di Quake. La serie che darà il La al filone Arena del First Person Shooter assieme ad Unreal di Epic Games.
Quake è una sorta di inizio della fine per id Software e la saga di Doom
Quake era stato concepito in origine come un prodotto fortemente diverso. Una sorta di Gioco di Ruolo in prima persona dove il protagonista (Quake, appunto) era armato di un enorme martello e del fantomatico HellGate Cube. Ma a un certo punto dello sviluppo il titolo virò brutalmente verso una direzione più in linea con i precedenti lavori della casa, diventando lo sparatutto frenetico ed adrenalinico che è poi approdato sul mercato. A fare le spese di questo cambio di rotta, questa volta, fu John Romero, che andrà poi in cerca di fortuna fondando Ion Storm salvo poi sbattere bruscamente contro Daikatana. La stessa id Software rimarrà in un certo senso “intrappolata” nella serie, fino ad arrivare nel ’99 al rilascio di un Quake III Arena. Completamente dedicato al multigiocatore e sviluppato con mappe indipendenti tra di loro, a riflettere qual era la situazione all’interno del team di sviluppo.
Per quanto Quake III fosse comunque indubbiamente un prodotto solidissimo (tanto da essere ricordato ancora oggi come uno dei punti più alti raggiunti dal sottogenere Arena) si trattava comunque del quinto gioco, nel giro di cinque anni, sviluppato da id Software con tutte le caratteristiche tipiche di un prodotto id Software. Il tutto in un contesto storico che stava iniziando a trovare sempre più gusto nelle storie che il medium videoludico stava dimostrando a poco a poco di poter raccontare. Come aveva mostrato l’anno prima Half Life di Valve (eccolo, Gabe Newell), uno sparatutto in prima persona diametralmente opposto a quello che sarebbe stato Quake III Arena (mettendo fortemente l’accento sulla narrazione). Non a caso, come si può vedere dal grafico poco sopra, è proprio in quegli anni che il termine “Doom Clone” inizia a diventare desueto e a trovare meno spazio.
Mentre il vuoto lasciato dall’etichetta veniva riempito con la definizione di Sparatutto in prima persona.
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