Essendo i video game prodotti dall’essere umano, essi raccontano storie. Eroi che devono salvare le proprie principesse, avventuriere alla ricerca di un tesoro perduto e personaggi silenziosi immersi nella corrente degli eventi. Ma le storie sono solo parte delle narrative. Una partita di scacchi, o di un picchiaduro, non parlano per dialoghi o cutscene; usano l’interazione gioco-partecipante e giocatore-giocatore per raccontare delle storie originali, proprie del gioco come medium.
Se si vuole guardare il video game non soltanto come prodotto commerciale, ma anche come opera d’arte, è necessario impostare una discussione in termini di game design. Prima ancora di chiedersi quanto siano valide e coerenti le storie dei giochi, bisogna indagare le modalità con cui le narrative vengono comunicate ed elaborate nell’esperienza del giocatore. L’unico modo per comprenderle a fondo è guardare dentro i video game, cercando di razionalizzare l’infinità di segni che proiettano sullo schermo. Perciò: “quali sono le narrative dei video game?”
Le storie sono solo parte delle narrative.
Cos’è una narrativa?
Nel saggio “Narrative”, J. Hillis Miller riassume compattamente la narrativa in tre importanti caratteristiche. Innanzitutto una situazione, che inizia e muta verso una rivelazione finale. Poi i personaggi, che emergono dai segni contenuti nelle personificazioni, e infine la forma, costituita da pattern o dalla ripetizione di elementi chiave.
Per fissare i concetti, si consideri Super Mario 64 (Nintendo, 1996). La situazione iniziale vede Mario invitato nella magione della principessa Peach per assaggiare una fetta di crostata. Ciò muta non appena si giunge alle porte del castello, perché la giovane è stata rapita da Bowser. La rivelazione finale coincide con la risoluzione del problema, con Mario che libera la donna amata, terminando un viaggio dell’eroe interattivo. I personaggi sono comunicati non solo con modelli tridimensionali, proiettati in uno schermo bidimensionale, ma anche attraverso testi e suoni. La forma è l’acquisizione di settanta stelle attraverso il completamento dei livelli. Soddisfatto tale requisito, sarà possibile confrontarsi con Bowser nello scontro finale. Il conflitto con l’antagonista è anche un pattern ricorrente nell’avventura del giocatore: bisognerà sconfiggere Bowser due volte, prima di poter affrontare la sua boss fight finale.
La definizione di narrativa, fondata sulla situazione, i personaggi e la forma, ha due proprietà che la rendono flessibile e potente: la precisione e l’astrazione. La precisione della definizione è giustificata dalla capacità di descrivere al contempo macro-strutture, come nel precedente esempio di Super Mario 64, e micro-componenti, gli eventi.
In Planescape: Torment (Interplay Entertainment Corp., 1999) il protagonista può interloquire con Ash-Mantle, un NPC vestito da Dustman. L’evento è composto da una situazione iniziale, l’incontro, che muta rapidamente, perché il Nameless One viene derubato. Così fino alla sua conclusione, ossia la rivelazione che Ash-Mantle sia un ladro. I personaggi giocante e non giocante sono personificati attraverso i loro modelli sullo schermo e le loro linee di dialogo. In particolare, il vestito dell’NPC indica l’appartenenza ai Dustman, una fazione nota per il rigore morale. La forma è la selezione di frasi nell’interfaccia grafica, con un pattern evidente: viene rammentato ridondantemente che Ash-Mantle non conosce la zona, e che stia cercando una locanda frequentata da quelli della “sua setta”. L’evento, un inciso entro l’esperienza più ampia del play di Planescape: Torment, è descrivibile efficacemente con le tre caratteristiche introdotte precedentemente.
Infine, la definizione è sufficientemente astratta da poter definire narrativa anche una partita di scacchi. Infatti, la situazione iniziale è composta dalla scacchiera con i pezzi disposti sopra di essa. Con il passare dei turni, cioè la ripetizione temporale, si assiste a mutamenti sul quadrato di gioco, perché i pezzi si muovono e vengono rimossi secondo le mosse dei giocatori. La conclusione è la rivelazione del vincitore, se avviene uno scacco matto, oppure del pareggio. I pezzi, in questo contesto, sono personificazioni della guerra: i pedoni vengono sacrificati nelle linee frontali per salvaguardare il re, costantemente protetto dalla regina, dagli alfieri, cavalli e torri.
Prima dell’interazione: la narrativa statica
ll mio ricordo di Alan Wake (Microsoft Game Studios, 2010) è abbastanza vivido, sebbene sia passato quasi più di un anno dall’ultimo avvio. Uno scrittore di successo, in una crisi creativa senza soluzione, si ritira a Bright Falls con la propria moglie Alice, per ritrovare l’ispirazione necessaria a completare un nuovo manoscritto, Departure. Ma la cittadina è posseduta della Dark Presence, un’entità che rapirà Alice e costringerà Wake a tutto, pur di salvarla.
Ciò che ho appena descritto è un esempio di narrativa statica, nella fattispecie la trama di Alan Wake. Eppure, vi sono altri contenuti statici rintracciabili nel gioco. Basti pensare alle mappe, con i loro sentieri e case da esplorare, alle linee di dialogo tra Wake e Barry, il suo agente, oppure la melodia di “The Poet and the Muse”, cantata dai Poets of the Fall al termine del quarto episodio. Perciò si può definire la narrativa statica come l’insieme dei contenuti pre-generati e preesistenti all’interazione del giocatore con il gioco, parafrasando K. Salen ed E. Zimmermann in “Rules of Play: Game Design Fundamentals”. Caratteristica della narrativa statica è la sua spazialità, come è evidente in Prey (Bethesda Softworks, 2017). Nei Crew Quarters di Talos I è possibile esplorare il Recreation Centre, per trovare indizi visivi su come i dipendenti della stazione spaziale passassero il loro tempo libero.
Facendo leva sull’importanza della narrativa spaziale nei giochi, H. Jenkins elabora in “Game Design as Narrative Architecture” un’illuminante prospettiva sulla narrativa statica. Essa non è una banale sequenza di eventi temporalmente ordinati, bensì un gigantesco corpo di informazioni, che il giocatore deve assimilare, connettere e comprendere. Sotto questa lente, è possibile dare un giusto nome alla “lore”, una parola così affascinante quanto vaga: essa è la narrativa statica spaziale del video game, arricchita dagli eventi costituenti il world building. Entro tale schema rientra perfettamente Dark Souls (Bandai Namco Entertainment Inc, 2011).
Dopo l’interazione: la narrativa emergente
In “Tools for Creating Dramatic Game Dynamics”, M. LeBlanc definisce tre importanti concetti, utili per inquadrare sia la narrativa emergente, sia la narrativa statica. Egli pone le meccaniche alla base dei giochi, identificandole come le descrizioni complete del gioco, e discute come il loro relazionarsi con il giocatore generi le dinamiche, ossia fenomeni ed eventi. Infine, per comprendere il ruolo della sfera emotiva del giocatore, egli sostiene che dalle dinamiche emerga l’estetica del gioco. È bene sottolineare che l’estetica fa riferimento all’esperienza del giocatore, ed è quindi un contenuto soggettivo, personale ed emotivo.
La narrativa si inserisce perfettamente entro la categoria delle dinamiche, perché richiede una relazione tra il gioco ed il giocatore, con il play come ponte comunicativo dei significati. La narrativa statica esiste a priori dell’interazione gioco-partecipante, cioè è una dinamica uguale per qualsiasi giocatore. Sarà la sua estetica a generare un giudizio unico per ogni persona che esperisce il gioco. Invece, la narrativa emergente esiste solo se il giocatore interagisce con le meccaniche di gioco, manifestandosi de facto come una dinamica unica. Tuttavia, non tutte le interazioni sono importanti. Premere un pulsante per chiudere un menu è certamente una componente dell’esperienza, ma non è un’interazione pregna di significato. Invece, selezionare una precisa linea di dialogo in Planescape: Torment richiede una decisione consapevole da parte del giocatore.
Si evince che la narrativa emergente nasce dal decision making del giocatore nel play. Nella fattispecie, essa non si limita solamente alla scelta dei livelli da completare in Super Mario 64, oppure all’ordine in cui esplorare le zone dei Crew Quarters in Prey, ma viene impreziosita dalle interazioni complesse tra il giocatore e le meccaniche di gioco, cioè molto più ricche della semplice addizione tra le singole componenti. Ad esempio, combattere l’Asylum Demon in Dark Souls è una sfida non di poco conto. Decidere se attaccare con l’arma, parare con lo scudo o schivare può determinare la vittoria o il game over. Così, se si preferisse compiere un affondo, anziché rotolare via dal martello che sta calando sulla testa del personaggio, si rischierebbe di dover ripetere la boss-fight, perché il colpo terminerebbe gli HP rimasti del Chosen Undead.
L’interazione tra le meccaniche, combinate con il decision making del giocatore, può dar luce ad eventi narrativi unici ed impredicibili dalla sola analisi delle componenti. La narrativa emergente esiste perché i video game sono sistemi complessi.
Alla narrativa, il suo posto
Per quanto ci si sforzi di inserire il video game in una teoria lineare della narrativa, si fallisce miseramente. Il motivo giace nella spazialità con cui l’esperienza viene vissuta; infatti, la maggior parte del play è dedicata all’esplorazione del mondo di gioco, alla navigazione delle aree, alla ricerca di informazioni e premi. Ma è bene ricordare che anche altri media hanno abbracciato una narrativa spaziale.
Nel Ciclo delle Fondazioni, Isaac Asimov mette in secondo piano l’introspezione dei personaggi, e affida l’onere della caratterizzazione ai dialoghi e alle azioni. Il peregrinare di Golan Trevize nello spazio è un viaggio dell’eroe non dissimile alla ricerca delle stelle di Mario, sebbene i media coinvolgano il partecipante in forme antitetiche: la letteratura con la proiezione nell’immaginazione, il gioco con il decision-making. Dal confronto, si evince che la narrativa spaziale non è propria del video game, ma entro di esso è capace di esprimere tutte le sue potenzialità. Il tramite non è la semplice interattività, bensì la sua sinergia con il pensiero del giocatore, ossia le meaningful choices.
Sebbene le meccaniche siano state citate solo marginalmente, bisogna ricordare che la narrativa è soltanto una delle possibili esperienze all’interno del play. Se un video game presenta una narrativa statica eccezionale ed una narrativa emergente fallace, allora il suo game design ha dei problemi, rintracciabili quasi sicuramente nelle regole e nelle meccaniche. Lo sbilanciamento ha un effetto immediato sul coinvolgimento e sull’attitudine ludica. Il primo è una misura dell’investimento del giocatore con il mondo fittizio, che non coincide in nessun modo con l’immersione. È facile sbagliare se si crede che giocando si venga assorbiti in un universo alternativo, perché il giocatore è consapevole della finzione del gioco. Accettare l’assurdità delle regole e delle prescrizioni è invece appannaggio dell’attitudine ludica.
Coinvolgimento e attitudine ludica sono componenti che non nascono solo dalla bontà della trama, ma dall’interazione profonda tra giocatore e sistema-gioco. Ecco perché bisogna rivendicare il primato del play su ogni sua declinazione, narrativa compresa.
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