Di rado noi videogiocatori ci ritroviamo a discutere sull’arte dello storytelling. Un argomento spesso ritenuto secondario in un’opera videoludica, asservito a campi ben più pertinenti al media come grafica e gameplay. La storia che fa da sfondo alle nostre gesta virtuali, ci viene spesso servita sotto il naso su grandi barattoli di vetro, dai quali veniamo prontamente imboccati come poppanti affamati attraverso lunghe cinematiche e corposi dialoghi. Non ci soffermiamo molto sulla presentazione del piatto, non siamo così raffinati, ci basta solamente che l’omogeneizzato sia di ottima qualità. Questo tipo di esposizione narrativa, che anche nella sua forma più estrema ha portato comunque a capolavori di genere, è figlia del sempre più labile confine tra cinema e videogioco, il quale ha causato negli anni una massiccia invasione di elementi figli della settima arte. Questa “cinefilizzazione” avrebbe di certo conquistato l’intero medium ludico, se uno sparuto gruppo di game designer e storyteller non si fossero accorti che il videogioco offriva possibilità narrative impensabili per il mondo del cinema. Uno di questi fu sicuramente Hidetaka Miyazaki.

Una narrazione nata da una necessità d'infanzia...

La personalità del game director giapponese ha smosso ambiti dalla game critic che da tempo erano assopiti. La cura minuziosa che riversa sul design e sul gameplay delle sue opere è ormai largamente riconosciuta (al netto dei vari problemi tecnici che spesso affliggono i titoli FromSoftware), ma il peculiare metodo narrativo che ha adottato fin dal leggendario Demon’s Souls, non ha ricevuto lo stesso unanime consenso. In una intervista rilasciata a The Guardian nel 2015, Miyazaki rivelò che il suo particolare stile di storytelling è maturato in lui fin dalla tenera età. Durante l’infanzia, il piccolo Hidetaka crebbe in una famiglia molto povera nella periferia di Shizukoka, cittadina a sud-ovest di Tokyo. Già allora era un accanito lettore, ma non potendosi permettere i libri e i manga che voleva, dovette accontentarsi di quello che offriva la biblioteca pubblica. Non sempre i libri che riusciva a recuperare erano adatti alla sua età così, attraverso le immagini che trovava tra le pagine, cercava con la sua fantasia di immaginare ciò che la sua età non gli permetteva di comprendere.

La nostra lore della lore
Questo articolo nasce da una fiorente discussione sullo stile narrativo di Miyazaki avvenuta nel gruppo Telegram di Gameromancer. Se ti va di unirti alla ribellione raggiuncici qui.

Ed è proprio da quello sforzo di fantasia, dal non accontentarsi di capire solo ciò che stava in superficie, che nacquero i cosidetti souls-like, che più per l’arduo gameplay e il geniale level design, trovarono la loro ragion d’essere proprio su una trama oscura e centellinata. Ma la tanto decantata lore “souliana”, con la quale spesso ci riempiamo la bocca, è davvero così curata? Sono in molti a sostenere che il particolare espediente narrativo ideato da Miyazaki serva solamente a mascherare una generale carenza artistica di FromSoftware. In effetti, di primissimo acchito, si è portati a giudicare un titolo di Miyazaki come una produzione indie che ha puntato tutto sui modelli 3D. Arrivando da prodotti Rockstar o EA, si resta basiti nell’osservare NPC sempre immobili, che non muovono nemmeno le labbra quando ti parlano. Nessuna cinematica mozzafiato, nessuna IA che dia una parvenza di vita propria, nessuna missione definita da seguire. Nulla. Sei solo tu con il tuo spadone e un’orda di folli creature da massacrare. E’ evidente che viste sotto quest’ottica, le opere di FromSoftware possono solamente avere una trama altrettanto carente e che il vero genio di Miyazaki sia stato quello di creare un metodo di sorytelling che giustifichi queste mancanze tecniche come parte della trama. Ma è davvero così? Miyazaki ha davvero creato un singolare metodo di storytelling ad hoc per oscurare le lacune di FromSoftware? Proviamo ad analizzarlo insieme.

Immagine di Solaire di Astore
Gli NPC in Dark Souls sono perenemmente immobili, cambiano di posizione della mappa, o passano allo stato aggressivo, solo dopo un avanzamento della loro questline.
Environmental storytelling: l’ambiente ci parla

Un'arte di raccontare storie vecchia quasi quanto la narrazione stessa...

L’environmental storytelling, o narrativa ambientale, è una tecnica che permette al narratore di raccontare parte della storia in maniera indiretta attraverso l’ambiente. Un edificio costruito con un particolare stile architettonico, un cadavere fregiato da un singolare vessillo, saloni adornati da statue di un antico ordine di cavalieri. Questo è l’ambiente che ci racconta la sua storia, che ci permette di assimilare informazioni per osmosi, anche se il più delle volte non ce ne accorgiamo. Ovviamente questo tipo di storytelling non è sfruttabile in ogni media, è necessario poter osservare da vicino e con calma l’ambiente che compone la scena. I videogiochi si prestano sicuramente bene a questo tipo di narrazione, ma non pensiamo nemmeno per un istante che siano stati i primi a sfruttarla, perchè essa è vecchia quasi quanto la narrazione stessa. Per millenni abbiamo raccontato storie attraverso la pittura, nascosto piccoli messaggi sensibili sullo sfondo di grandi affreschi, costruito immense architetture dedicate agli dei e alla loro storia. La Gioconda di Leonardo da Vinci ne è un esempio lampante: il quadro in se è molto piccolo e ritenuto tecnicamente inferiore rispetto ad altre opere del Maestro, ma nasconde un insieme di messaggi e simbolismi, sparsi per tutto il quadro, che hanno affascinato generazioni e generazioni di critici.

«Un mondo ben progettato potrebbe racconatere la sua storia in silenzio.»

Hidetaka Miyazaki
Miyazaki nei suoi titoli ha utilizzato largamente questa antica tecnica, disseminando indizi sulla lore in ogni area del gioco. Emblema di environmental storytelling “miyazakiano” è la Fortezza di Sen. E’ molto difficile durante la prima run di gioco apprezzare le sottigliezze di trama che vi sono nascoste data la sua difficoltà, ma se si osservano con attenzione i nemici che vi si incontrano, le statue che la adornano e la posizione strategica in cui si trova, si scoprono moltissimi dettagli sulla sua storia e su quella dell’intera Lordran. Data la sua posizione, ovvero in un’area antecedente ad Anor Londo, e la presenza di numerose insidie, è evidente che essa fu costruita dagli dei per mettere alla prova i non morti prescelti. A confermare tutto ciò è la presenza dei giganti a guardia della fortezza, i quali, tra una trappola e un combattimento all’ultimo perry, permettono solo ai più degni di entrare nella città tanto anelata. Ma a rendere affascinate questo luogo, arricchendolo di lore non scritta, è la presenza di ben altri nemici. Per primi i cavalieri non morti, che rappresentano gli innumerevoli prescelti che non furono in grado di percorrere quell’arduo cammino (simbolo di ciclicità tanto cara a Miyazaki). Gli uomini serpente, inviati da Seath il Senza Scaglie per impedire a chiunque di entrare nei suoi Archivi del Duca, area confinante con Anor Londo. Ed infine i demoni di tinanite, simbolo di un mondo ormai in rovina popolato da incontrollabili demoni, diventati sì tanto temerari da giungere sino alle soglie del loro più acerrimo nemico. Per ore potremmo disquisire sugli innumerevoli esempi di narrazione ambientale adotatti dal game director di FromSoftware in ogni suo titolo. Nonostante sia stata una tecnica molto usata nella storia della narrazione, Miyazaki ha saputo usarla sapientemente portandola al suo estremo. Altri avrebbero liquidato il tutto con una pomposa cinametica.

Emblema di environmental storytelling miyazakiano è la Fortezza di Sen

Minimalist storytelling: l’arte delle elissi narrative

Tom Bombadil
Uno dei personaggi più enigmatici de Il Signore degli Anelli è sicurmante Tom Bombadil. Egli è il protagonista di diversi capitoli ne La Compagnia dell’Anello, dove salva ripetutamente i quattro hobbit in viaggio per Brea.

Assieme alla narrativa ambientale, Miyazaki utilizza un’altra tecnica di narrazione, la quale, forse più di tutte, ha generato dibattito e critica da parte del pubblico. Parliamo del suo minimalist storytelling, l’arte di raccontare il meno possibile, tralasciando il superfluo. Nei souls non troverete mai antiche pergamene da leggere o lunghi dialoghi teatrali, tutto, dalla descrizione degli oggetti alle poche interazioni con i personaggi, è centellinato. Parte integrante di questa tecnica sono le elissi narrative, le quali, come l’environmental storytelling, trovano la loro origine in arti ben più antiche dei videogiochi. Un fervente fruitore e sostenitore di queste ultime fu John R. R. Tolkien. Nonostante la sua leggendaria precisione nel creare un mondo ed una storia consistenti (tanto da inventare una lingua dal nulla con alfabeto e grammatica), disseminò qua e là nel suo racconto quelli che sembrano a tutti gli effetti buchi di trama. Eventi della storia solamente citati e mai più ripresi, personaggi ben caratterizzati che compaiono solo per qualche capitolo. Un metodo che sembra cozzare con la cura a tratti maniacale che il maestro del fantasy riversava nelle sue opere, ma che trova la sua ragion d’essere proprio nei racconti sì pregni di storia. Creare eventi o personaggi non ben delineati, citarli per poi dimenticarsene, accende nel lettore una morbosa curiosità ma soprattutto, qualora essa non venisse appagata, la propria fantasia. Questo rende il lettore parte attiva e non più passiva, il quale viene spinto ad informarsi e a formulare ipotesi e speculazioni.

«Dal punto di vista della storia, penso che sia meglio che alcune cose restino inspiegate (specialmente se una spiegazione in realtà esiste). Ed anche in un’età mitica dev’esserci qualche enigma, come c’è sempre. Tom Bombadil ne è un esempio (intenzionale).»

John R. R. Tolikien, Lettera n. 174
Evidente elissi narrativa è la storia del Nano Furtivo nel primo Dark Souls. Assieme a Gwyn, Nito e Izalith, il Nano Furtivo fu uno dei quattro signori che recuperò un’Anima dei Lord dalla Prima Fiamma. Egli era diverso da tutti gli altri, inferiore sia per statura che per potere, ma l’anima che trovò tra le fiamme fù sicuramente la più importante di tutte: l’Anima Oscura, la Dark Soul dalla quale il gioco prende il nome, portatrice di umanità. Più essa si divideva, più diventava potente, gernerando così la razza degli uomini. Dopo la sua prima comparsa durante la cinematica iniziale, del Nano Furtivo non si saprà più nulla di certo. Verrà citato da Kaathe il Serpente Primordiale, il quale rivelerà al giocatore la sua vera natura, ovvero essere un suo discendente. Poi più nulla, qualche piccola allusione sparsa qua e là, ma niente che permetta al “lettore” di ricostruire una storyline certa su questo incredibile personaggio.
Esempi di elissi narrative possiamo trovarne in tutti i souls, dalla figura del Blood Minister in Bloodborne, alla vera natura delle Fiamme Sopite in Dark Souls III, ma quella del Nano Furtivo è sicuramente la più emblematica poichè la più estrema. Un personaggio così importante per la trama del gioco che viene volontariamente tralasciato, è sininimo di come Miyazaki abbia voluto rivisitare ed estremizzare tecniche già ampiamente sfruttate, portandole ad un livello sucessivo.

Blood Minister di Bloodborne
L’enigmatico Blood Minister è possibile incontralo solamente nella clinica di Iosefka all’inizio del gioco, dove ci cura utilizzando il sangue di Yharnam. Non lo incontreremo mai più, nonostante ci abbia salvato la vita, e pochissimo si conosce sull’ordine dei ministri del sangue.
Collective storytelling: un nuovo modo di raccontare
Arriviamo infine alla tecnica probabilmente più sfruttata da Miyazaki, la quale sicuramente ha fatto la fortuna di FromSoftware. Conseguenza diretta delle prime due, la collective storytelling raccoglie i frutti duramente seminati, per osservare passivamente la propria opera «andare per i fatti suoi», citando Umberto Eco. Si perchè la storia di Boletaria, di Lordran, di Drangleic, di Yharnam e di Lothric sono frutto di un lavoro collettivo, della passione che tutti noi abbiamo per questi incredibili mondi così misteriosi e pertanto così affascinanti. Miyazaki conosce bene il potere di quest’arte, soprattutto nell’epoca dei social. Forum, pagine, articoli e canali Youtube sono proliferati come i funghi ad Oolacile, per parlare di trama e fare speculazione. Molto nel tempo è stato dedotto grazie agli studi incrociati degli utenti e ad oggi è quasi possibile leggere la trama dei souls come ogni altra. E’ probabile che sia stato solamente il giusto tempismo a generare tutto questo rumore, ma è innegabile che mai prima dei souls un fenomeno di nicchia, come lo era Demon’s Souls, è diventato tanto mainstream rimanendo comunque fedele alla sua natura originale.

Fenomeno di nicchia diventato mainstream, fedele però alla sua natura originale

Dunque, riprendendo la domanda posta all’inizio di questo spoloquio, Miyazaki ha davvero creato una narrazione ad hoc per oscurare le lacune di FromSoftware? Come abbiamo potuto analizzare insieme, Miyazaki non ha inventato proprio nulla, ma è sicuramente riuscito a sfruttare le potenzialità nascoste del videogioco, utilizzando tecniche incosuete per il medium. E non è affatto poco. In un periodo storico dove sempre più autorialità viene soppiantata da lootbox e season pass, sapere che vi sono ancora produzioni AAA così libere di sperimentare, di portare avanti il proprio messaggio a prescinedere dalla massa, è davvero rassicurante. Ma se ancora non siete convinti che Hidetaka Miyazaki sia uno dei pochi autori che ancora riescono ad elevare il mondo videoludico allo stato di arte, ascoltatevi la melodia qui sotto. Già dalle prime note, capirete subito che solo un grande autore poteva abbinare una musica così calma e malinconica ad uno scontro così feroce: l’ultima battaglia contro il Signore dei Tizzoni.

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