Luca D'Angelo

Speciale Pokémon: le scelte nella storia dei videogiochi

Nel 2019 non è cambiato nulla.

Sono passati venti anni dal lontano 5 ottobre 1999, che ha marchiato nella storia dei videogiochi la prima, fatidica scelta di un Pokémon iniziale. Vi ricordate quanto era difficile decidere? Erano tutti e tre così carini (certo, pixel permettendo), e poi chi di noi ci capiva qualcosa di chi fosse il più forte? E le meccaniche erano così semplici: lotta, cattura, fai crescere ed evolvere i Pokémon, insegnagli nuove mosse e sorpassa il tuo rivale diventando Campione.

In un certo senso era l'inizio dell'innovazione.

Un gioco monocromo e a pixel, dal gameplay e trama piuttosto semplici, eppure già all’inizio provava a farsi vedere “sul pezzo”. Proprio Pokémon, su quel mattone squadrato di un GameBoy, portava un prototipo di multiplayer online nella storia dei videogiochi – era l’unico sul device portatile a sfruttare qualcosa di simile. Scambia i Pokémon e lotta contro un amico con una squadra a tua scelta, semplicemente collegando un cavo da una console all’altra. Nonostante la grafica rudimentale, anche quei processi sapevano essere a modo loro incredibilmente dettagliati. Forse proprio quel suo essere un po’ rudimentale in tutto, poi, aveva dato adito a dieci, cento leggende metropolitane – come la Città dei Numeri o il furgoncino, o il Tangela rosso che appariva solo in lotta contro gli amici e che segnava la fine.

Quanti ricordi in una sola cartuccia (due, tre e via a oltranza)...

Ce li siamo portati tutti dietro nella generazione successiva, dopo un cambio di colore al giallo e anche un cambio di scenario, che riprendeva gli accadimenti della serie animata mettendoci al seguito il celeberrimo topo elettrico (sì, Togedemaru). Lì eravamo ancora più strabiliati, perché quel mondo a pixel e dalle soundtrack 8 bit era finalmente tutto colorato e prendeva vita. Anche di notte, stavolta!

E poi le uova Pokémon, i cromatici, una nuovissima linea ferroviaria che collegava le due regioni a noi note (e che per qualche motivo nella prima non si vedeva nemmeno col binocolo)… Per poi arrivare ad un post-game con sorpresa, perché a ripensarci oggi è sorprendente che la Lega Pokémon diventi un hub di collegamento tra due intere regioni appartenenti a titoli diversi. Insomma un post-game che sembra un po’ un New Game+, dove devi letteralmente tornare indietro da dove hai iniziato con lo scopo di sfidare… te stesso. Già: ora il te del passato è una leggenda, e lo resterà nei giorni a venire.

Possibile che già allora le idee fossero finite?

Man mano che si è andati avanti, è vero, per quasi ogni novità qualcosa è scomparso. Via i Pokémon che si muovono leggermente a inizio battaglia e via quelli che ti seguono: questo ti costa l’arrivo del meteo e l’influenza dello stesso sulla squadra. Poi via anche quello, tanto adesso puoi usare mosse specifiche per influenzarlo solo per la battaglia in corso, e già che ci siamo togliamo anche il cavo: adesso ci si può connettere wireless ad internet per scambiare e lottare. È sancita così la nascita del gioco competitivo, che rende i titoli Pokémon un picchiaduro qualunque (ma non scherziamo, sono i Pokémon) e rende molto peggiori i giochi perché qualche mossa da usare contro gli altri fa sempre meno male di prima. Poi siamo cresciuti noi, anzi lo eravamo già.

Ed eccoci qua: venti anni dopo
Saltiamo di proposito qualche generazione ed eccoci qua, con un virtuale monocolo su un occhio a studiare il frutto del lavoro di qualcun altro. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, si suol dire, e infatti per una grafica eccezionalmente migliore e un multiplayer un po’ più integrato nel gioco ci abbiamo rimesso cose che ci piacevano – la Megaevoluzione ad esempio, o i Poképassaggi di Sole e Luna. Dopo tutto questo tempo siamo parecchio studiati e i difetti li sappiamo trovare bene. Reduci di Pokémon GO, dove perché un Pokémon sembri davvero nel mondo reale giochiamo su server che non ci piacciono affatto, perché un gioco al massimo decente inizia a farci schifo per colpa loro.

Il fatto è che ogni gioco Pokémon, ogni generazione, è stata sempre una questione di scelta.

Non scelta di un Pokémon con cui iniziare. Nemmeno una scelta della versione da giocare. Queste cose ormai si possono avere sempre entrambe – denaro permettendo. La vera, dura scelta nella storia dei videogiochi Pokémon è se giocare, e spesso si fa prima a dire “non mi piace”. Come ogni altro gioco, dire che Pokémon sia sempre stato oggettivamente bello o brutto, noioso o divertente è scelta nostra, e ci stiamo già fasciando la testa molto prima del botto da mesi e mesi.

Perché è inaccettabile che nel 2019, ora che anche Nintendo può avere delle grafiche allucinanti, Blastoise spari ancora dalla pancia invece che dai cannoni, che ogni diverso attacco faccia muovere il Pokémon nello stesso identico modo e che in Spada e Scudo Wingull voli in linea retta senza sbattere le ali. Una meccanica come il Dynamax è banale e noiosa, rispetto alle Megaevoluzioni che invece sono spettacolari. Gli stadi al posto delle palestre? Oltraggiosi quanto il giro delle isole e le prove dei già citati Sole e Luna.

Ora tocca a Spada e Scudo...

Ma il punto è che di Spada e Scudo non sappiamo ancora nulla – speriamo, almeno. Di trailer ce ne hanno dati tanti, ma non sono che la punta dell’iceberg. L’esperienza Pokémon non si è mai basata solo sulle nuove meccaniche, quanto sulle emozioni: l’emozione di giocare insieme, scoprire insieme nuovi posti e nuove creature, lottare e scambiare sia Pokémon che leggende metropolitane (anche se ormai verrebbero sfatate cinque minuti dopo).

I giochi dei vecchi tempi ormai sono e devono restare vecchie esperienze, chiuse in una grotta piena di gloriosi ricordi. Proprio come il Rosso che i Millenial adorano alla follia, che oggi è ancora silenzioso e riflessivo ma dall’aspetto un po’ più affabile. Se proprio ci sono piaciuti così tanto i bei vecchi tempi, allora, proviamo a tornare a Johto – non quella rivisitata, quella originale. Torniamo in quella grotta buia, percorriamola tutta e bussiamo sulla spalla del nostro io passato: sfidiamolo ancora, e se vinciamo chiediamogli cos’è davvero cambiato.

#LiveTheRebellion