Che cos’hanno in comune Bloodroots, Katana Zero e Ghostrunner? Lo so, probabilmente è una domanda che non vi siete mai posti o che non vi è neppura passata per la testa. Ma rifletteteci, sono forse tutti e 3 titoli action? Sono tutti giochi ”belli”? Sono tutti giochi Indie? Non scervellatevi troppo e non fate giri assurdi con la mente, la risposta è qui nell’articolo, c’è solo da aspettare qualche minuto.
Se ti toccano, sei morto.
Bloodroots
Blooroots è un giochino indie reperibile sul GamePass, stracolmo d’azione, divertimento e sangue. Il videogioco si rifà molto allo stile di Hotline Miami, dove, guidati da una visuale isometrica è necessario sterminare fino all’ultimo nemico sfruttando ogni oggetto che si trova nel cammino. E con ogni oggetto, intendo davvero ogni oggetto, partendo dalle carote, passando per spade e fucili, e arrivando persino ai cannoni. Per rendere il tutto più frenetico, non c’è nessuna barra della vita. Esatto, si muore in un solo colpo.
Non importa quanto muori, ma come muori
In questo modo, e seppur il videogioco prediliga il divertimento invogliando il giocatore ad utilizzare ogni elemento che vede a schermo, Bloodroots impone di utilizzare una strategia e di giocare seguendo uno schema.
Katana Zero è un altro titolo indie presente sul servizio ad abbonamento di Microsoft. Si utilizza un assassino armato di katana (e se ciò non vi spinge a provarlo, c’è un problema) e si superano livelli bidimensionali pieni di nemici. Si possono fare tutte le cose fighe che fanno i samurai nei film, come tagliuzzare arti, deviare proiettili e rallentare il tempo. Ma, per non rendere il tutto troppo semplice, anche qui si muore in un solo colpo. A differenza di Bloodrots, Katana Zero è molto più improntato sulla strategia che sul divertimento, ma ciò non significa che deviare un proiettile a velocità lampo non ci renda dei gran fighi.
Ultimo esempio e ben più celebre del trio e Ghostrunner. Un gioco dall’estetica CyberPunk, ispirato a CyberPunk 2077 e uscito prima di CyberPunk 2077 (e anche meglio, se vogliamo). Ghostrunner a differenza degli altri due videogiochi prima menzionati, non è isometrico né in 2D, bensì è tridimensionale e in prima persona, e il Ninja che si utilizza è persino più figo di quello di Katana Zero. Tagli lampo alla Zoro, corse sui muri, super salti e massacri continui. E indovinate un po’? Anche qui si muore in un solo colpo.
Ma la situazione in Ghostrunner è ben più complessa degli altri due casi. L’approccio della telecamera del titolo non permette una visione completa dello scenario, e tuttavia risulta più difficile reagire a ogni azione dei nemici a causa dei 180 gradi di visibilità fornita.
In questo modo l’identità del titolo si sposta molto più sul meccanismo del continuo morire e riprovare piuttosto che prevedere i movimenti avversari e agirne di conseguenza.
Impara sempre dai tuoi errori
Ora, dopo questo excursus sulle tre produzioni posso tornare alla domanda in cima all’articolo, ovvero che cos’hanno in comune i tre i videogiochi? Avrete capito che ad accomunarli è il morire in un singolo colpo.
Non si tratta di una feature nuova nel mondo dei videogiochi, bensì di una particolarità che risale agli albori del gaming.
Nei vecchi videogiochi si moriva sempre in colpo, e la difficoltà era altissima e molto punitiva, quasi senza margine d’errore in alcuni titoli come Contra.
Assolutamente no, la difficoltà dell’epoca degli arcade era uno dei fattori principali per una ragione. Per giocare s’inserivano i famosi gettoni, e un gettono equivaleva a una o più vite. Di conseguenza, più era difficile un gioco, e più si moriva, e quindi più gettoni si versavano per continuare a giocare.
La difficoltà non solo era strumentalizzata, ma si trovava al centro del business plan poiché era il metodo di guadagno più efficace.
Come si affronta invece la difficoltà dall’arrivo delle console? C’è voluto molto poiché le console casalinghe si rendessero conto che la difficoltà era un fattore accessorio, e proprio per questo nelle generazioni di GameCube o PlayStation si moriva ancora istantaneamente, come vediamo nel primo Crash.
Con il tempo i videogiochi si sono…rammolliti. Ma non per molto poiché con il tempo la difficoltà ha trovato un nuovo ruolo nei videogiochi, ovvero la natura.
Dark Souls è difficile, ma è proprio quello a renderlo tale, è parte della sua natura, e se fosse facile non sarebbe il gioco che conosciamo.
Di conseguenza, morire in un singolo colpo fa parte della natura degli ‘’1-Hit-Kill’’. Come si può evincere dai 3 titoli elencati nell’articolo, sono giochi dove si muore in un solo colpo, ma dove la morte in sé assume un significato diverso.
Perché morire in un singolo colpo non potrebbe funzionare in ogni videogioco? Giocando a Devil May Cry V ho capito perché. Il problema non sta nella sfida troppo difficile, ma in cosa succede dopo la morte. Nel caso di DMC bisogna aspettare un caricamento, e anche bello lungo su PS4. Di conseguenza si passa più tempo ad aspettare più che a giocare attivamente, e questo non è divertente, è solo noioso.
La difficoltà è importante, ma non così tanto
Diversamente, Bloodroots, Katana Zero e Ghostrunner funzionano poiché il caricamento che segue la morte dura appena un secondo, e il giocatore non si separa mai dal controller/tastiera. In questo caso la morte non punisce con un caricamento, ma suggerisce come riprovare, a continuare a giocare e a non fermarsi neanche di fronte alla sconfitta.
Alcuni titoli proprio come Katana Zero contestualizzano nella storia persino la morte e il riprovare, immaginando tutti fallimenti come previsioni nella mente del protagonista, e solo quella in cui si completa il livello come svolta realmente.
Ma in secondo piano, che genere sono questi 1-Hit-Kill? Ovviamente io non parlo di tutti gli 1HK mai fatti, ma nella maggior parte degli esempi che mi vengono in mente si tratta di Hack n’ Slash, e questo non è un caso.
Morire in un solo colpo permette allo sviluppatore di creare un Hack n’Slash senza pensare a un vero combat system, ma per concentrarsi su altri aspetti, come per l’appunto i riflessi, la previsione e tante altre cose. Un’ottima soluzione per chi è pigro e non è interessato a creare un gioco dove ci devono per forza essere tanti pugni ma che fanno cose diverse.
Ma questo ritorno del genere fa pensare a quanto sia realmente eterogeneo il mercato videoludico moderno. Ci sono giochi ispirati ai classici che si giocano classici, titoli che riprendono da idee più vecchie per rinfrescarle, idee che sulla carta sembrano non funzionare ma che invece lo fanno, e infine videogiochi che davvero riescono a cambiare l’industria.
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