Recensione di Japan Sinks: 2020, la nuova serie Netflix di Masaaki Yuasa alle prese con la fine del mondo
Che anno strano, questo 2020. Al di fuori dei meme su quanto sia stato un anno tremendo, ci siamo trovati per la prima volta dopo tantissimo ad avere a che fare con una situazione inaspettata e per certi versi aliena. Uno degli aspetti più affascinanti di questa pandemia, però, è stato vedere la reazione di ogni paese ed ogni cultura alla situazione. Guardando fuori dai confini nazionali, una delle realtà più interessanti è stata proprio quella del Giappone, alle prese con la storica cancellazione delle olimpiadi di Tokyo. L’arrivo di Japan sinks: 2020 sul catalogo virtuale di Netflix rappresenta un caso più unico che raro, in questo senso.
La serie, diretta da quel pazzo di
Masaaki Yuasa (già autore di
Devilman Crybaby per il colosso dello streaming), è stata prodotta prima dell’esplosione della pandemia con intenti ben precisi. L’imprevedibilità del
Covid-19, unita alla finestra di lancio che coincide con un momento di apparente distensione della crisi in buona parte del mondo, ha donato alla serie un significato differente.
Japan Sinks: 2020 è un prodotto interessantissimo, ed è forse una delle migliori serie animate prodotte da
Netflix, nonostante soffra di qualche piccolo difetto.
Yuasa ha riconfermato – come se ce ne fosse bisogno – di essere l’autore più rappresentativo di quest’epoca dell’animazione giapponese.
L’arrivo dell’apocalisse e le olimpiadi negate
Japan Sinks: 2020 racconta di un Giappone obbligato a fare i conti con una calamità natuale che lo fa letteralmente sparire dal planisfero. A seguito di un terribile sciame sismico, infatti, l’arcipelago
sprofonda sotto il livello del mare, lasciando ai pochi superstiti l’arduo compito di mettersi in salvo e sopravvivere.
Yuasa ci fa vivere quest’apocalisse attraverso gli occhi di
Ayumu Mutō e della sua famiglia. Ayumu è candidata a rappresentare il Giappone alle olimpiadi del 2024, e si sta preparando alla competizione quando il primo grande terremoto demolisce
Tokyo. Una volta ricongiunta con la propria famiglia si imbarca in un lungo viaggio verso la salvezza, che la porterà ad incrociare il proprio cammino con molti personaggi differenti.
Per comprendere a fondo il senso di
Japan Sinks: 2020, è necessario fare un passo indietro ed inquadrare il significato simbolico delle Olimpiadi per il Giappone. Storicamente infatti,
i giochi olimpici del 1964 hanno dato il via a quello che fu il più grande boom economico del sol levante. Fu in quell’occasione che il mondo occidentale si accorse del Giappone, della sua cultura e della sua tecnologia. Proprio per questo le Olimpiadi hanno sempre avuto una grandissima importanza per il popolo giapponese, ed il fatto che la serie di
Yuasa cominci proprio facendo riferimento ai giochi è
emblematico in questo senso.
Ayumu si sta preparando per la competizione quando il terremoto annienta le sue speranze di partecipare. Non solo: la calamità cancella il paese che avrebbe dovuto rappresentare.
La post apocalisse, la morte e la speranza
Può sembrare strano, soprattutto tenuto conto del tono cupo dei primi episodi, ma
Japan sinks: 2020 è un’opera che parla di speranza. Lo fa preparando il terreno e sbattendo in faccia allo spettatore la disperazione causata dal cataclisma che si è abbattuto sul Giappone. Il tono della serie può sembrare
strano, visto che
il viaggio di Ayumu e della sua famiglia sembra procedere con estrema serenità per molto tempo. È proprio quest’ottimismo quasi ossessivo a dare la possibilità a
Yuasa di trattare la morte con la freddezza spietata che caratterizza l’opera.
In Japan Sinks la morte è onnipresente, ma lo è in maniera assolutamente naturale. Non c’è nessun tipo di spettacolarizzazione o di esagerazione, le persone muoiono di continuo perché, in una situazione del genre, è normale che sia così.
C’è del coraggio nell’approccio così freddo e distaccato alla morte. Il mondo è spietato e sta ricordando all’esuberante popolazione giapponese che siamo ospiti su questo pianeta, e madre natura non guarda in faccia a nessuno. Questo porta
Ayumu e gli altri personaggi ad avere un approccio diverso nei confronti del mondo, scatenando reazioni differenti per ognuno. C’è chi si rimbocca le maniche e fa del proprio meglio per sopravvivere, chi aiuta il prossimo e chi, dato il crollo della società, si lascia andare ai propri istinti come un animale tenuto in gabbia per troppo tempo.
Il viaggio di
Ayumu è perennemente in salita, ogni avvenimento la mette alla prova e la porta a fare delle scelte. Quelle scelte non sono importanti solo per la sua sopravvivenza, anzi, sono determinanti per poter far sopravvivere il popolo e tramandarne i valori.
È per questo che il fulcro di Japan Sinks sono la speranza e la tensione verso la rinascita.
Japan Sinks:2020 è un’altalena emotiva
È forse il miglior modo di definire
Japan Sinks. L’intenzione precisa di
Yuasa è proprio quella di non fornire nessun appiglio allo spettatore. Ogni situazione di calma apparente potrebbe essere spazzata via in un batter d’occhio, e
attraverso Ayumu veniamo messi nello stesso stato di perenne allerta. Chiunque potrebbe tradire il gruppo, chiunque potrebbe venire ucciso dall’ennesima scossa devastante, chiunque potrebbe compiere un errore fatale. Questo stato di perenne agitazione è ciò che rende estremamente interessante la serie, per quanto destabilizzante possa essere.
Ad essere altalenante però è anche la resa complessiva dell’opera. Se le prime puntate sono micidiali per la gestione dei ritmi e del lato più emotivo della narrazione, la sezione centrale si appiattisce lievemente. Colpa probabilmente della scelta narrativamente infelice di far giungere i protagonisti in una comune gestita da una setta religiosa. Il problema, in quel caso, è la mancanza di tempo utile ad approfondire i singoli personaggi.
La fretta è il principale difetto delle produzioni animate a marchio Netflix. Lo è sempre stato, e anche
Devilman Crybaby ne soffriva, almeno in parte. Per quanto
Yuasa sia tra gli autori più importanti e capaci di questo periodo storico si percepisce la mancanza di uno o due episodi aggiuntivi che potessero dare alla serie più respiro, permettendole di concentrarsi di più sui risvolti psicologici dei singoli personaggi. È un peccato, perché va a penalizzare la resa complessiva di un’opera che, nonostante sia di assoluto valore, avrebbe potuto essere ancora migliore di così. C’è però un aspetto fondamentale di
Japan Sinks: 2020 che va sottolineato:
Masaaki Yuasa ha compreso la contemporaneità meglio di chiunque altro
Japan Sinks ha un pregio enorme: rappresenta fedelmente il nostro tempo. Già ai tempi di
Devilman Crybaby ero rimasto estremamente colpito dall’estrema naturalezza con cui Yuasa aveva trasportato l’opera del maestro
Go Nagai ai giorni nostri, in un mondo dominato dai social network. Con
Japan Sinks il regista ha rincarato la dose, inserendo all’interno della narrazione le fake news,
YouTube e gli influencer. Non si avverte nessun tipo di forzatura, anzi, questi elementi sono parte integrante della storia perché sono
attuali.
Yuasa ha compreso il mondo contemporaneo e ci ha ambientato la sua serie, dimostrandosi comunque aperto e ricettivo alle novità. Di fronte al video di
Okinawa che si inabissa nell’oceano le persone reagiscono spaventate, ma c’è chi è sicuro che si tratti di una fake news sensazionalistica.
È un dubbio lecito per delle persone che vivono in un mondo in cui le fake news sono una triste realtà. È bello vedere come
KITE, che di professione fa lo youtuber, venga dipinto come un personaggio positivo. Non è scontato, dal momento che la generazione a cui appartiene Yuasa fa tendenzialmente molta fatica ad accettare l’esistenza degli influencer.
Manca un po’ di magia
Japan Sinks 2020 segna il ritorno di un autore apprezzatissimo, anche se tecnicamente parlando non siamo di fronte ad una serie eccelsa. Sia chiaro: la mano di Yuasa è riconoscibilissima, e non ci sono errori grossolani dovuti alla mancanza di budget o di tempo.
A mancare però è la follia estetica tipica del regista. Siamo ben lontani dalle inquadrature impazzite di
Ping Pong o dall’iper-saturazione dei colori di
Devilman Crybaby,
Japan Sinks: 2020 è una serie molto più composta e, in un certo senso, ordinaria. Probabilmente il bisogno di calare la vicenda in un’atmosfera verosimile ha precluso l’inserimento delle grandi sperimentazioni per cui è diventato famoso Yuasa.
Il finale di
Japan Sinks, però, è così carico di speranza e di emotività che si passa volentieri sopra ai suoi difetti, per quanto spesso siano vistosi.
Ho sentito tutto il peso del viaggio di Ayumu, la sua disperazione e la sua paura. Per questo non ho potuto far altro che provare tenerezza di fronte al suo tentativo di legare davver col fratellino nel momento più disperato della vicenda. Per questo non ho potuto far altro che gioire con lei una volta raggiunta la fine.
Ciò che rende importante Japan sinks: 2020 è proprio la speranza che racconta. Una speranza che vale di più se contestualizzata a questo 2020 e a ciò che ha rappresentato per noi come esseri umani e come società, per quanto non fosse nei piani originali di Yuasa.
Una serie imperfetta quindi, ma piena di spunti interessanti che fanno dimenticare gli scivoloni più evidenti.
Ne avevo bisogno.
Ne avevamo bisogno tutti.
#LiveTheRebellion