Ho sempre pensato ai videogiochi come una valida forma di alternativa, ma mai avrei pensato che potessero generare isolamento sociale. Almeno fino a oggi. Quanti di voi si sono chiusi a chiave in cameretta, con solo uno schermo e una console come uniche forme di compagnia e intrattenimento? Avete mai saltato cena e fatto arrabbiare vostra madre pur di sconfiggere il boss finale (ed evitare un lunghissimo respawn)? Chi di voi ha preferito una partita a FIFA 20 piuttosto che una cena con gli amici? Tanti, pochi, non importa. Ciò che conta è che anche solo uno di questi innocui, ma non innocenti gesti, possono nascondere delle serie problematiche sociali e psicologiche, che in casi molto gravi, possono spingere alla morte una persona.
Tutto vero, è gia successo.
500.000 casi accertati in Giappone, 100.000 in Italia.
Il mondo e la società viaggiano a una velocità elevata. Vince il più bravo, il più capace, il più furbo, il più intelligente. E gli altri? Seguono la scia, il flusso, lo scorrere del fiume, sapendo esattamente dove li porterà. Ma esiste un gruppo di individui piuttosto eterogeneo che decide di ribellarsi, rifiutando l’attuale società. Loro si rifugiano in un’isola immaginaria che si chiama Hikikomokori e decidono di non aver contatti con il mondo esterno. Questa isola può essere una cameretta, un ufficio, un bagno o un ripostiglio. Un posto sicuro e psicologicamente lontano dagli altri.Il problema è intorno a noi, ma non siamo in grado di vederlo.
Ed ecco che i videogiochi entrano in scena.
Grazie a loro possiamo essere chiunque. Un cavaliere Jedi, un cyborg venuto dal futuro, un calciatore professionista. Ognuno di essi ci porta in una realtà alternativa dove noi siamo perfetti, senza problemi, con obiettivi da raggiungere e perfettamente alla nostra portata. Tutto con i nostri tempi e senza nessuno che ci giudichi. Un mondo ideale, non trovate? Peccato che è virtuale e intangibile. La ricerca di questa incessante necessità diventa ben presto un’ossessione e una droga. Ed ecco come arriva, puntale e precisa, la dipendenza da videogiochi.Sa, avvocato cosa bisognerebbe evitare, anche nelle situazioni più difficili? L’arroganza di riportare tutto a noi stessi. Lei era appena venuto a conoscenza del problema del suo ragazzo e già lo aveva trasferito a sé. Fabio Stassi, a Forma di isolaPraticamente quello che ho fatto io quando ho appreso dell’esistenza di questo fenomeno. Ho cercato di catalogare il problema e trovare una soluzione razionale e secondo le mie regole. Poi mi sono fermato un attimo e ho pensato a Death Stranding e mi sono chiesto: e se fossero i videogiochi la cura per superare l’Hikikomokori e l’isolamento sociale? Pensate a Sam. Solo con uno zaino in un mondo sconfinato e regnato da avatar olografici. Eppure, non si ha mai la sensazione di essere completamente soli. La gente ti aiuta costruendo ponti, piantando corde, lasciando scale e cartelli sparsi qua e là.
Nessuno ci conosce ma ci aiuta.
Un videogioco, se ci pensate bene, altro non è che la massima forma di realizzazione sociale. Interi team di sviluppatori composti da persone tutte diverse tra loro, che uniscono le loro forze per creare qualcosa che nasce dalla condivisione delle loro idee. Il tutto per stabilire un contatto con voi e generare delle emozioni uniche. Degna di nota, come fatta notare dal nostro capo Pietro Iacullo, è l’esperienza dell’anime Neon Genesis Evangelion. Nato dal genio creativo di Hideaki Anno, l’anime ha rappresentato la sua way out per uscire dalla sua isola della solitudine. Quando era sul punto di ritirarsi dall’animazione, nel suo massimo momento di depressione e tristezza, l’artista trovò la forza di reagire e costruire una sua autobiografia in chiave robotica. Shinji Ikari, il protagonista di Neon Genesis Evangelion, altri non è che il suo alter-ego versione anime, un adolescente insicuro che ha paura della vita. Evangelion diventa un fenomeno di portata mondiale, e Hideaki Anno, decide così di abbandonare la sua isola riscoprendo la gioia del contatto e della condivisione. Magari sono un sognatore che spera nell’insperabile. Magari una diversa chiave di lettura del problema può aiutare a risolvere il problema facendo un lavoro di “reverse engineering”, dai videogiochi verso l’ Hikikomokori, realizzando una nuova forma di alternativa sociale. In fondo, alla fine dei giochi, siamo tutti come Sam.
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