Pietro Iacullo

Speciale Non vi meritate i videogiochi

È inutile che vi sbracciate affinché i videogiochi vengano considerati alla stregua di film e letteratura. Tanto fondamentalmente non avete capito un c*zzo del medium…

Sono ragionevolmente sicuro che molti di voi penseranno che sia un articolo clickbait, e magari qualcuno avrà anche l’ardire di esprimere questa posizione nei commenti qui sotto.

Molti di voi allora avranno appena dimostrato che ho ragione: no, non vi meritate i videogiochi.

Non vi meritate i videogiochi, quello che sono e quello che saranno.
O quantomeno, non vi meritate quello che i videogiochi sono diventati, e vi meritate (se possibile) ancora di meno quello che mi auguro diventeranno. E non ve li meritate perché siete dei forcaioli, pronti a criticare – molto spesso fermandosi a leggere solo il titolo e bypassando il contenuto, il vero cuore dell’articolo – qualunque opinione vi dia fastidio a prescindere, perché non la condividete o (ancor peggio) perché non la capite. È inutile che vi riempiate la bocca dicendo che “i videogiochi sono arte” se poi, ogni volta che qualcuno prova a vedere dietro quei bit e quei poligoni qualcosa di più gli date del corrotto e volete a tutti i costi vederci dietro del marcio, dei secondi fini (come se poi fosse così disonorevole rendere profittevole una passione… Che è praticamente quello che legittimate ogni volta che comprate un gioco, tra l’altro).

La verità è che i videogiochi negli ultimi vent’anni sono cresciuti. Voi, tristemente, no.

Circa un anno fa, in occasione dell’ennesimo caso mediatico in cui il “giornalismo tradizionale” se la prendeva con i videogiochi accusandoli di istigare alla violenza e desensibilizzare la morte, dicevo che dovremmo proibire i videogiochi a chi vuole conoscerli. E devo ammettere che trecentosessantacinque giorni fa, salvata la bozza dell’articolo, ho chiuso Word e sono andato a dormire pensando di aver scritto uno dei miei pezzi migliori. Non mi ero accorto che invece era parte del problema

Intendiamoci: sono ancora decisamente convinto che chi non vuole conoscere questa forma di intrattenimento non ne debba parlare, e che la libertà di parola di una persona si debba interrompere nel preciso istante in cui inizia a eiettare fregnacce dal suo orifizio orale – che è un modo elegante per non scrivere dice cazzate. Però il nostro atteggiamento (sì, anche di quelli che come noi dovrebbero essere addetti ai lavori) che ci vede far quadrato attorno al medium solo quando viene preso di mira dall’esterno è sintomatico di una malattia più profonda, che sta mandando il corpo in cancrena dall’interno. E non ce ne accorgiamo nemmeno. Perché non appena il caso – come fa ogni maledettissima volta, e str*nzi noi a cadere in trappola ancora e ancora – si sgonfia e viene meno il nemico comune, torniamo a prendere di mira tutti quelli che si azzardano ad esprimere un’opinione fuori dal coro. Torniamo a quello che dicevo in apertura: molti di voi, a leggere il titolo di questo articolo avranno sicuramente pensato ad una provocazione, a qualcosa di buttato giù solo per fare rumore, studiando a tavolino il modo migliore per portare gente sul server del sito. Avranno pensato a quello che ormai diffusamente si chiama clickbait, ovvero un’esca più o meno astuta fatta per portare traffico sul server.

Il fatto che io possa davvero pensare che non vi meritiate i videogiochi non vi è nemmeno passato per l’anticamera del cervello. Ed è proprio questo il punto.

A questo punto, tocca entrare un po’ nell’autobiografico.

Mi piace lamentarmi. Probabilmente è una delle cose che so fare meglio, ed è per questo che ho sempre pensato di poter far bene il redattore in un sito di videogiochi, e che ad un certo punto ho deciso che avrei potuto far bene anche altro, rispetto alle semplici recensioni. E sempre probabilmente, qui su I Love Videogames lamentarmi mi riesce particolarmente bene perché posso farlo senza paletti: è abbastanza alla luce del sole il fatto che dal progetto non ricaviamo – intendo dal punto di vista econimico – nulla, e per quanto la cosa abbia diversi lati negativi ne ha uno positivo in senso totalizzante. Non siamo legati a nessuna logica di mercato, leggasi: scriviamo un po’ quello che ci pare, dai pipponi filosofici fino a racconti liberamente tratti da serie videoludiche (contenuti che qualcuno definirebbe fan fiction… E che di fatto lo sono).

Nonostante questo, è da un paio d’anni che ogni volta che scrivo quello che penso arrivano puntualmente una caterva di commenti che sembrano generati proceduralmente. Mi lamento perché Switch è una console meno multimediale del vetustissimo Game Gear di Sega? Merito di passare il mio tempo giocando a Candy Crash su iPad invece che a Breath of the Wild sull’ibrido Nintendo (perché notoriamente chi gioca su mobile è un babbeo). Scrivo un post “in prestito” sulla nostra pagina Facebook dove dico che, con l’arrivo di Kodi sullo store, Xbox si conferma la miglior console per guardare serie tv sul mercato? Arrivano risposte tipo “E vi chiamate pure I Love Videogames…“.

Non voglio lamentarmi delle critiche, anzi.

Sono convintissimo che siano fondamentali per sviluppare un discorso – anche per cambiare idea, perché se non si cambiasse mai idea saremmo ancora convinti che è il Sole a girare attorno alla Terra e un certo Galileo Galilei sarebbe morto per niente – e, se è da qualche anno che continuo ad espormi nonostante tutto, è perché sono arrivate tante soddisfazioni anche da questo punto di vista.  Al di là della sfilza di commenti alla roba che ho scritto che mi han fatto piacere (nella vita reale o meno), trovo che questo scambio sia positivo anche a livello redazionale: dopo il già citato articolo su Switch ho discusso in lungo e in largo l’argomento con il nostro Stefano Calzati, ed il fatto che abbia una visione diametralmente opposta alla mia ha portato ad uno splendido articolo in risposta, che mi trova anche d’accordo quando si dice che Nintendo ha tirato fuori una console post-sociale.

Se non avessi mai scritto quell’articolo, Stefano non avrebbe mai scritto il suo.

E nessuno dei due sarebbe cresciuto, da un punto di vista editoriale. Anzi, autorale.

Un nuovo modo di sentirsi soli: non essere capiti
Ed è per questo che non vi meritate i videogiochi: perché non capite tutto quello che c’è dietro quella che – come dico sempre – è di base una forma di intrattenimento (poi sul fatto che si possa ammantare di significati simbolici e quant’altro siam d’accordo… Lo facciamo ogni sabato nella sezione speciali) ma che può essere e sta diventando qualcosa di più. Solo che ogni volta che qualcuno prova a vederlo, questo qualcosa di più, la prima reazione è demoralizzante (per non dire demonizzante). Viviamo in un’epoca in cui il medium è finalmente abbastanza maturo per farci riflettere, anche se stiamo giocando un prodotto tipo Monster Hunter World, qualcosa che (io per primo, ma ho accettato il fatto di essermi sbagliato) siamo portati a non considerare interessante dal punto di vista artistico, visto che si tratta di un gioco che fa perno essenzialmente sulle meccaniche ludiche. Ed è un’epoca che coincide con quella che mette a disposizione un mezzo capace di annullare le distanze, da fungere da punto di rifugio per gli appassionati ed evitare il Dramma del Giocatore Solitario. Eppure la prima reazione è sempre l’accusa di clickbait, l’offesa, la cultura del vi tolgo il “mi piace”. Tra l’altro mentre in parallelo ci si lamenta della standardizzazione della critica, di come tutte le testate diano sempre gli stessi voti agli stessi giochi (quando si dice la coerenza).

Si dice spesso, banalizzando e demonizzando la tecnologia, che è stata proprio questa a renderci più soli, eliminando le meccaniche sociali nella vita reale in favore di quelle (più semplici) che si sviluppano nella realtà virtuale di Internet. Ma in verità se la tecnologia ha davvero la colpa di averci reso più soli, lo ha fatto perché ha reso più ovvio un nuovo tipo di solitudine, quella che solo chi si sente intellettualmente non capito, e per questo porta lo stigma del diverso, può comprendere davvero.

Per paradossale che sia, è una solitudine che solo chi non viene capito dagli altri può capire.

Questo però non vuole essere un pretesto per giustificare qualunque opinione a prescindere: le fregnacce esistono e non un’idea non ha il diritto di esistere in quanto tale, ma sulla base della forza dei suoi argomenti. Si può tranquillamente avere due posizioni agli antipodi – altro esempio autoriferito? Io ho adorato Kirby Triple Deluxe e Planet Robobot, Edoardo (un altro dei nostri “Leccacullo” dietro la sezione speciali) no, perché è stanco della mancanza di coraggio dietro i capitoli del Terrore Rosa. Non condivido, ma capisco la posizione ed effettivamente è così, rispetto all’epoca Game Boy Advance Kirby osa di meno. Ma nonostante tutto i due capitoli per 3DS mi sono piaciuti parecchio.

Ecco, la differenza tra una fregnaccia qualunque e la posizione di Edoardo su Kirby è che non solo lui ha portato delle argomentazioni dietro l’idea (quando molto spesso si discute con gente che tuona “fa cagare perché sì“), ma erano argomentazioni che avevano un senso. E di nuovo, da questo scambio di idee credo di esserne uscito arricchito, perché alla fin fine ragionandoci sono arrivato alla conclusione che in effetti non ha tutti i torti. Chi dice che è sbagliato lasciarsi influenzare degli altri tout court chiude la porta in faccia a tutti i risvolti positivi di confronti di questo tipo. Per dirla con un altro paradosso, tutti gli assolutismi sono sbagliati.

okami non vi meritate i videogiochi
In realtà bastava semplicemente dire che non vi meritate i videogiochi perché non avete comprato Okami. Per quattro volte…
Finché non imparerete a leggere e a valutare attentamente un’idea prima di sparare sentenze – poi oh, a processo finito siete liberissimi di continuare sui vostri binari, ritenere quanto letto o ascoltato una cazzata e anche di dare dell’idiota all’interlocutore. Io con voi lo sto facendo da 1600 parole – non vi meriterete i videogiochi. Potete giocarli, ma finché non vi mettete in testa che forse nemmeno uno sviluppatore può capire al 100% la sua opera non meritate di poterne parlare e ogni volta che direte che “i videogiochi sono arte” saranno parole vuote.

Arrivati alla fine di questo pezzo, è doveroso ringraziare – per quanto possa sembrare una paraculata – il gruppo Facebook Deeplay.it: I Videogiochi sono una cosa seria, da cui è nato lo spunto dietro l’articolo.
 
 

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