C’è una sola, grande verità che accomuna tutti i giocatori più incalliti fin dall’alba del videogioco, un periodo della nostra vita che non possiamo negare: a meno di essere Agatha Trinciabue (o il nostro Guido Avitabile), nessuno di noi è nato già adulto e con la barba, e tutti siamo stati costretti a passare attraverso la giovinezza. A parte pochi casi fortunati, tutti sappiamo quale rapporto abbiano i nostri cari con il mondo dei videogiochi, in particolare col vederci distesi sul divano o seduti su una poltrona a fissare uno schermo; il nostro Luca Mazzocco ha avuto modo di sfiorare l’argomento nello Speciale della scorsa settimana, ma quante volte ci siamo chiesti se gli effetti dei videogiochi sul cervello possano avere effettivamente le conseguenze tanto temute dai nostri cari?
Se siete giunti su queste pagine è probabile che abbiate almeno imparato a leggere e scrivere, e buona parte di quella diffidenza dovrebbe essere già passata con serenità; ma qual è la relazione di causa / effetto che intercorre tra Videogiochi e Cervello? In che modo i primi possono “influenzare” il secondo?
E, visto che nello specifico noi di I Love Videogames stiamo alla Scienza come Dan Bilzerian sta alla castità, le nostre analisi saranno corredate da un ampio numero di studi sull’argomento.
Living / Gaming
Videogiochi VS vita quotidiana
Vi siete mai ritrovati a camminare per strada e a rendervi conto che la disposizione delle auto, in un parcheggio o nel traffico, vi ricorda una qualunque partita a Tetris? Vi è mai capitato di ricevere una sorta di “aiuto” da parte dei videogiochi nella vita di tutti i giorni, magari per battere i vostri amici a Risiko o per gestire le vostre finanze neanche foste in un RPG?
Se la risposta è sì, non siete certamente i soli: anche Chris Carter di Destructoid ha vissuto un’esperienza simile1, e non è certo un fenomeno isolato. Quando capita, però, la domanda che sorge per prima è sempre la stessa: “Non starò esagerando coi videogiochi?“.
Nei panni di un semplice videogiocatore pluriennale, è impossibile negare come i videogiochi siano ormai diventati parte integrante delle nostre vite, al punto da poter condizionare le nostre scelte relazionali o professionali. Una partita nei momenti liberi della giornata (o della settimana) è un rito, qualcosa di sacro che nessuno potrebbe negarci: per quanto ci provino, fidanzati, mogli, mariti, madri, padri e compagnia non avranno mai la forza necessaria per costringerci ad abbandonare il nostro “passatempo” preferito. Alcuni di noi, però, hanno dovuto fare i conti con loro già dalla tenera età.
Mythbusters: i Videogiochi “plasmano” il Cervello?
“Perché non impieghi la tua giornata per fare qualcosa di più produttivo?”
Quante volte abbiamo sentito questa domanda nel corso della nostra vita? Chi è estraneo al mondo dei videogiochi (che si tratti di genitori, partner o coetanei) è spesso portato a guardare alla nostra occupazione più amata con disprezzo e una certa forma di superiorità. “Io non mi rinc*****nisco davanti a uno schermo, quindi sono più intelligente di lui“. Sbagliato.
In che modo i videogiochi “cambiano” il cervello umano?
Non c’è dubbio che i videogiochi siano in grado di “cambiare” il cervello umano: in maniera molto simile a quanto avviene già con l’esercizio fisico per i muscoli del nostro corpo, anche le connessioni neurali all’interno del nostro cervello possono essere rafforzate da una buona dose di concentrazione e dal rilascio continuo di dopamina, risultando in un vero e proprio “esercizio per la mente” in cui i videogiochi sembrano avere una parte a dir poco fondamentale.
Alcuni studenti di Neuropsicologia all’University of Social Sciences and Humanities di Varsavia, Polonia, si sono impegnati per dimostrare in che modo i “video game players” possano essere in grado di portare a termine dei compiti più complessi con molti meno sforzi rispetto ai non-giocatori2. Pur essendo non troppo pretenzioso, lo studio (effettuato su 31 giocatori e 29 non-giocatori, tutti di sesso maschile) è stato in grado di individuare una maggiore concentrazione di materia grigia in alcune aree del cervello dei gamer, in particolare in quelle dedicate all’apprendimento di nuove abilità motorie.
Più materia grigia, meno passività
Oltre a migliorare i riflessi e i tempi di reazione in modo significativo, dunque, sembra proprio che i videogiochi forniscano un vantaggio piuttosto rilevante su chi non ha mai impugnato un controller, sostanzialmente grazie a un maggior controllo e una maggiore precisione sui più piccoli movimenti del corpo. Lo studio è stato reso pubblico giusto un paio di giorni fa (7 Aprile 2016), e ha ancora bisogno di essere analizzato dalla comunità scientifica in generale; ciò nonostante, però, sembra indubbio, a questo punto, come i videogiochi possano avere effettivamente un ruolo significativo nell’evoluzione progressiva di uno degli organi più delicati (e affascinanti) corpo umano.
E sappiamo che vorreste correre a sbattere in faccia questi risultati ai vostri cari, sperando che possano smettere di importunarvi mentre state facendo quella vostra sacra e inviolabile partita all’ultimo Senran Kagura(che in quanto a neuroni bruciati non ha proprio rivali). Il “problema” inizia a sorgere quando vedete un bambino della vostra famiglia alle prese coi videogiochi, incapace di staccarsene esattamente come lo eravate (o lo siete) voi stessi; e siamo davvero sicuri che gli effetti dei videogiochi siano positivi per loro come lo sono per voi?
Bambini, questi sconosciuti
Si dice che i Buddisti passino gran parte della loro vita a cercare di capire il valore dell’esistenza. L’uomo occidentale, al contrario, spende l’intera sua esistenza a cercare di capire prima se stesso, poi l’altro sesso, poi i bambini e le nuove generazioni arrivate dopo di lui; in tutti questi casi, spesso con uno scarso successo.
“Tie’, gioca e sta’ zitto”
Non è colpa nostra, dunque, se ci ritroviamo a cercare di comprendere quale possa essere il modo più adatto per far crescere un bambino, ma in qualche modo siamo tutti d’accordo nel pensare che rifilare un tablet al cucciolo d’uomo per farlo star tranquillo è paragonabile a poco meno che il male incarnato. Anche qui, però, ci sono alcuni punti che è necessario chiarificare.
Studiosi di tutto il mondo hanno speso fiumi d’inchiostro, negli ultimi anni, nel tentativo di comprendere in che modo i nuovi media possano avere effetti negativi sulla mente dei più piccoli. Trattandosi di un mezzo multimediale più che diffuso, i videogiochi sono stati spesso nell’occhio del ciclone per via della loro naturale tendenza alla violenza, che si pensa possa “influenzare” l’innocente visione del mondo da parte dei bambini.
Uno dei punti di vista più interessanti, in questo ambito, è forse quello fornito dalla neuroscienziata Daphne Bavalier, attiva e convinta sostenitrice delle enormi potenzialità che il videogioco contemporaneo può offrire a grandi e piccini.
Come imparare dal videogioco
Concentrandosi sui più piccoli, la ricercatrice ha cercato di dimostrare in che modo i videogiochi (se “somministrati” in dosi ragionevoli) possano contribuire a migliorare la concentrazione, l’apprendimento, la velocità di reazione e persino, in alcuni casi, le capacità di multitasking. Elementi come la perseveranza, la determinazione, le capacità di gestione, le capacità di pianificazione, la precisione, la capacità di prendere decisioni in fretta (e molti altri fattori rilevanti) sono tra i punti chiave della sua analisi, ma non solo: chi gioca i videogiochi da molto tempo, infatti, sa bene che i titoli moderni possono essere tremendamente pieni di elementi sociali, psicologici e cognitivi, vere e proprie “cassette degli attrezzi” da cui cogliere gli strumenti più adatti per costruire la propria identità all’interno del mondo.
Tanto sappiamo tutti che quel bambino perderà miseramente la partita. I padri nerd sono spietati.
In altre parole: i videogiochi non causano danni psicologici ai bambini, così come non sono in grado di causarli agli adulti. Negli ultimi tempi, infatti, i videogiochi sono diventati parte integrante dell’infanzia di ogni bambino, e non ci sono mai state abbastanza prove scientifiche per dimostrare che i videogiochi possano essere effettivamente dannosi per la salute3. Le parole di Katherine Keyes, professoressa di epidemiologia in Columbia, sono piuttosto significative in tal senso:
Penso che ciò che stiamo vedendo oggi sia l’evoluzione del videogioco nella società moderna. I videogiochi, adesso, sono parte di un’infanzia normale: i bambini che giocano parecchio ai videogiochi non sono più i ragazzini isolati, cervelloni e ultra-tecnologici che erano un tempo. Quel che possiamo vedere, adesso, è la completa integrazione sociale dei bambini che amano giocare ai videogiochi: sono attivi socialmente, sono bravi a scuola, e non manifestano alcun tipo di correlazione con casi clinici di sanità mentale deviata.
“Giochi per la Salute”: il videogioco come medicina
E qualcuno sembra aver già iniziato a cogliere il senso delle parole delle due studiose, anche se, forse, in maniera del tutto indiretta: il campo dei cosiddetti “Games For Health” (G4H), nato in tempi particolarmente recenti, si propone di ricercare metodi innovativi e potenzialmente efficaci per stimolare positivamente gli effetti dei videogiochi sulla salute dei bambini. Nel nuovo libro bianco del Games For Health Journal4, i ricercatori di questo nuovo, interessante filone della Scienza tentano di fare il punto della situazione sui progressi svolti fino ad ora, parlando del potenziale della ricerca e della possibilità di convogliare significati positivi attraverso i videogiochi. Stando ai ricercatori, il progetto permetterebbe di sviluppare nuovi modi per prevenire e trattare l’obesità, ridurre lo stress, prevenire il fumo e migliorare complessivamente la salute generale dei bambini.
E, tuttavia, ciò non significa che gli effetti dei videogiochi sulla salute dei più giovani possano essere soltanto positivi: sebbene diversi studi abbiano provato la capacità dei più piccoli di discernere il reale dalla fantasia5 (e sebbene non esistano ancora prove scientifiche sufficienti a sostegno del contrario), il rischio è che un’esposizione eccessivamente prolungata al mondo videoludico possa portare a una sorta di alienazione del bambino dalla realtà, spingendolo a rifugiarsi in uno dei suoi tanti mondi virtuali.
Ma non solo: oltre a eventuali problemi relativi alla postura, alcuni potrebbero argomentare che i videogiochi ricompensano i bambini “per i motivi sbagliati”, promuovendo la violenza e incoraggiando i comportamenti “devianti”. Tutto sommato, però, il sottoscritto impugna un pad da quando aveva più o meno cinque anni, e la sua salute mentale non è mai stata migliore.
Be’, si fa per dire. Le cose, tuttavia, sono certamente ben diverse rispetto ai pieni anni ’90, e il videogioco moderno non si accontenta più di essere semplicemente un mero passatempo: alcuni hanno già iniziato a far leva sulle nostre emozioni più profonde.
“Premi il tasto X per piangere”
Ciò che più allontana i non-giocatori dal mondo videoludico è probabilmente legato a una visione generale che è ancora ferma agli ultimi anni del secolo scorso. Ira Flatow di Science Friday fa notare come, col tempo, i videogiochi siano diventati gradualmente un’accozzaglia di più situazioni intrecciate tra loro, la manifestazione del desiderio primordiale dell’uomo di raccontare storie con qualunque cosa possa passargli tra le mani6.
Emozioni a tonnellate; e al cervello piace
Se un tempo era sufficiente saper utilizzare un pad per godersi una partita al nostro gioco preferito, adesso l’industria del videogioco tende molto più al Cinema di quanto il Cinema stesso non tenda a essa: in alcuni casi, ormai, può rivelarsi necessario anche possedere il giusto “mindset“, prima di affrontare una nuova esperienza ludica. Che si tratti di una storia emotivamente immersiva come quella di Life Is Strange o di qualcosa di molto più “potente” come That Dragon, Cancer, i videogiochi di oggi cercano di far leva sulle emozioni del giocatore per cercare di insegnare qualcosa, lasciare un messaggio e farci “aumentare di livello” sul piano prettamente interiore e intimo.
E alcuni ci riescono anche molto bene: stimolando le parti del cervello che più bramano emozioni, ci sono dei titoli che spingono fortemente sul fronte della scelta per costringere il giocatore a riflettere e ragionare prima di compiere un’azione che, potenzialmente, potrebbe cambiarlo per sempre. E c’è forse un effetto sul cervello più forte di questo?
Ma la relazione tra videogiochi e cervello umano merita ancora un altro approfondimento, qualcosa che, già da ora, si configura come una potentissima vittoria dei più accaniti sostenitori del potere del Ludo. Siete mai stati dei veterani di guerra?
“Goodbye my sweetheart, hello video games”
Combattere i ricordi impugnando un pad
Della tanto discussa capacità dei videogiochi di dominare la depressione abbiamo già avuto modo di parlare qualche tempo fa, ma chi ha familiarità col termine “Shellshock“ (che non è la serie di sparatutto, o, meglio, non solo) potrà benissimo intuire che essere reduci di guerra significa molto più che essere “semplicemente” depressi.
Quando la normalità del quotidiano viene sostituita da spari ed esplosioni, Bradley Cooperinsegna che è piuttosto facile rischiare di perdere la ragione una volta tornati a casa, a meno di non ritrovare il proprio scopo in qualcos’altro. E quando il veterano Stephen Machuga è tornato dalla sua famiglia americana dopo 13 mesi in Iraq, è stato in grado di ritrovare la sua vita proprio grazie ai videogiochi7.
Oltre ad aver fondato Stack-Up, un’organizzazione non-profit che riunisce i veterani con la stessa passione per i videogiochi, Machuga è stato in grado di utilizzare i suoi innumerevoli mondi virtuali come un vero e proprio “stress-reliever“, al fine di dimenticare (o, almeno, mettere da parte) la vita che ha vissuto nel corso dei 13 mesi in Medio-Oriente. Stando a Dean Hall, un altro veterano, “giocare offre un’opportunità unica per dare sollievo allo stress, alle tensioni, e alle sfide che comporta la lontananza dai tuoi amici e dalla tua famiglia mentre sei sul campo“.
E potrà sembrare assurdo, ma ai veterani di guerra piacciono esattamente gli stessi FPS amati da buona parte dell’utenza videoludica attuale, con una predilezione particolare per la serie di Call Of Duty e, fuori dal genere FPS, per i titoli sportivi.
Gaming / Living
Abbandonarsi a un’esperienza videoludica fa crescere e migliorare chi gioca
A questo punto è chiaro come gli effetti dei videogiochi sul cervello siano tutt’altro che malsani e, soprattutto, tutt’altro che dannosi. Abbandonarsi ai “piaceri” della vita virtuale può essere un vero toccasana per chi ha semplicemente bisogno di “scollegare la mente” e ritrovare la normalità nella propria normalità, alla ricerca di un tanto desiderato sollievo che potrebbe illuminare una giornata altrimenti triste.
Ma non deve essere per forza soltanto così: abbandonarsi a un’esperienza videoludica di qualità può essere un modo per crescere e migliorare noi stessi, perché un buon videogioco sarebbe capace di insegnare qualcosa di nuovo tanto quanto la visione di un buon film. Che sia per dimenticare lo stress o per riempire il tempo libero mettendo alla prova noi stessi, impugnare un pad o imbracciare una tastiera sarà sempre un’esperienza potenzialmente costruttiva, per grandi e per piccini.
Dunque, la prossima volta che sarete sdraiati sul vostro divano con le gambe divaricate e un controller sullo stomaco, pensate a tutto quello che avete letto su queste pagine e non lasciatevi scoraggiare dalle parole di chi vi ama. E se proprio dovesse entrare qualcuno a dirvi “Ma perché non fai qualcosa di più intelligente?“, pensateci un attimo prima di mandare a ca**re quella persona; magari invitatela lì, accanto a voi, cedetele un po’ del vostro spazio e coinvolgetela in ciò che state facendo. Vi assicuro che, nel giro di qualche tempo, non potrà più farne a meno.
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these cookies, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may have an effect on your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
#LiveTheRebellion