Recensione Octodad: Dadliest Catch (Nintendo Switch)

Sapore di mare su Switch, tra Octo-papà e inkling.

Octodad è la beata inadeguatezza di un papà e di un marito imbranato, goffo nei modi e nelle azioni quanto paziente e determinato nel portarle a termine. Il classico uomo che “rompe sempre tutto” ma ci prova, e poco importa che sia un polpo in completo blu e che nessuno ci faccia caso, la parabola di Young Horses è un’esperienza metaforica e metafisica in cui tutti, anche single incalliti, si possono riconoscere, toccando con pad le difficoltà in cui ogni padre di famiglia può inciampare nella sua quotidianità. “Bisognerebbe avere otto mani per fare tutto”, ma anche chi le ha davvero regge a stento il ritmo di una vita tanto normale quanto colma per tutti gli 86.400 secondi di una giornata.

Polpo con patate
Un’opera dalle mille chiavi di lettura…
Questo lungometraggio d’animazione (la durata è quella li) ampiamente interattivo è uno spaccato di vita vissuta, sudata attraverso controlli che fanno a pugni con le abitudini del videogiocatore moderno, il cui cervello vorrebbe far muovere l’alter ego da essere umano e non da octopode. Un’imbranataggine reale che va di pari passo con le limitazioni di un essere privo di struttura ossea, costretto a dover sopportare e superare le barriere architettoniche fuori dagli oceani. Quello che ne consegue, in un habitat che non è proprio quello che Madre Natura ha pensato per lui, è un’esilarante sequela di assurdi comportamenti che ne fanno lo zimbello della sua comunità. Un documentario dell’assurdo che sarebbe interessante sapere come narrerebbe Piero Angela, sceneggiato, cultura e scienza in un unico pacchetto dati, esperimento sociale in cui fare la spesa diventa un’Odissea più di quanto non lo sia già per l’homo sapiens-sapiens, tra una deambulazione viscida, molle e difficoltosa e le sole ventose sui tentacoli a fare le veci dei pollici opponibili. È ciò che sarebbe stato se H.P. Lovecraft avesse avuto senso dell’umorismo nel pensare la blasfema divinità Cthulhu, insomma. Inadeguatezza nel portare a termine le azioni più semplici, come cercare in fondo allo scaffare l’ultima bottiglia di latte al cioccolato per la propria bambina, facendo cadere a terra e addosso ad altri clienti, nel tentativo, ogni altro contenitore. Un’avventura grafica del quotidiano da portarsi appresso nel nostro di quotidiano, con una Switch che in portatilità diventa essenza della scomodità, grazie ai controlli spaventosamente avversi eppur perfetti di un’esperienza che vuole simulare la fatica nel compiere anche le azioni più ovvie.

…da quelle sociali ad altre più naturalistiche.
Ciò che rende interessante il titolo, assolutamente da provare una volta nella vita, è il suo essere allegoria della vita familiare, dove la routine quotidiana, fatta di matrimoni, barbecue della domenica (con hamburger che cadranno per terra decine di volte prima di finire sulla griglia) e gite all’acquario si fondono con la genesi dell’avventura, un flashback nel quale conosceremo anche la nostra nemesi, colui che fino ad allora aveva cercato di rovinare la nostra quotidianità con feroci raid per fini culinari. Questa supercazzola sotto forma di recensione copre la superflua descrizione sull’impianto ludico del gioco esattamente come il gioco copre la sua stessa natura. Si cammina (ci si prova), si prendono oggetti, si risolvono situazioni come in un’avventura grafica dinamica, si sorride e si fugge da morte certa, si mandano al kraken i comandi i quali mandano al diavolo le nostre sinapsi, ma il tutto impersonando un polpo, deliziosa creatura dei mari, e questo cambia tutto quello che ruota attorno ad un gameplay di media qualità, anche al di sotto a volte, con certi picchi di game design, tipo elettrocardiogramma. E alla fine, la genialità di un’opera nata quasi per scherzo in università, è proprio quella di farci agire e pensare come un’entità estranea al nostro mondo, un po’ come se noi ci ritrovassimo ad Atlantide. Può sembrare no sense ma un senso ce l’ha eccome, questa breve parabola videoludica. Deliziosa come il classico della cucina mediterranea.

“I’m easy like Sunday morning”
Tutto il materiale audiovisivo che incornicia quest’idea astratta eppur così tangibile, rimanda a tutta quella serie di produzioni animate che invadono la tv generalista la domenica mattina. Insomma, quelle sciocchezze in computer grafica che si fanno guardare ai bambini per tenerli buoni, mentre potrebbero avere Switch tra le mani e giocare al ben più educativo e stimolante Super Mario Odyssey, tenendoli sempre buoni. Il risultato è meravigliosamente grottesco, con un feeling plasticoso su ogni superficie e soprattutto una fisica degli oggetti decisamente artificiosa purché totale. Non esistono opere umane, muri portanti o oggetti di grandi dimensioni a parte, che non possano essere urtate, rotte o scaraventate verso altre, così da portare scompiglio sotto lo sguardo attonito dell’esigua popolazione, passando per cose più semplici e meno dannose, come la difficoltosa manualità dell’aprire una porta o del fare canestro con una palla da basket. Ma soprattutto, il clou di questo engine è l’essenza appiccicosa dei nostri tentacoli, da sfruttare nei modi più geniali possibili in un’avvolgente e continua scoperta; viene quasi da pensare che una creatura del genere potrebbe viverci davvero sulla terra ferma, una volta risolto il problema dell’acqua.

Octodad crea l’illusione di un lungometraggio, dove noi saremo protagonisti del suo imperfetto gameplay totale.

Tutto questo, unito alla natura delle animazioni, va a creare una messinscena senza soluzione di continuità, dove anche gli errori, se visti da chi non sta giocando, possono sembrare parte di un lungometraggio vero e proprio, complici inquadrature studiate per accentuare questa illusione, fin quando la telecamera non si incarta su sé stessa perlomeno; un meme vivente che vi porterà a riempire l’album fotografico di Switch di fermo-immagine assurdi. Ambienti estremamente asettici pronti a colorarsi del nostro incasinato disordine, con una missione in particolare che ci chiederà esplicitamente di farlo, passando per picchi suggestivi di gran gusto, come la sezione “al buio” all’interno dell’acquario in compagnia della nostra figlioletta, alla quale illuminare la via, tra giochi di luce e fluorescenze; fino a spogliarci dei nostri abiti borghesi per tornare alla natura, come una liberazione dalle costrizioni cui è relegato l’uomo moderno, tra dress code e idolatrata normalità. Octodad, alla fine, è uno di noi, più umano di quello che i suoi gorgoglianti tentativi di proferir parola possano far pensare.

Verdetto
7 / 10
La quotidianità di un turco ottomano
Commento
Octodad: Dadliest Catch è un'esperienza unica nel suo genere, che in fondo non si capisce neanche bene quale sia. Un mix di avventura grafica, platform e Katamari Damacy, con cui condivide follia e "appiccicosità". Una storia di famiglia, di stupidissime bugie e di amore, immersa nell'assurdità delle sue apparenze. Un titolo assolutamente diverso, sperimentale e decisamente non perfetto, ma con picchi di genialità che possono valere il prezzo del biglietto. La frustrazione nel portare a termine certe azioni simula in maniera perfetta le difficoltà di un polpo nell'artificiale mondo umano, ma la frustrazione però resta tale, e in un gioco non è mai un bene.
Pro e Contro
Una fiaba moderna, più profonda delle apparenze
Gameplay a tratti geniale

x Anche le azioni più semplici possono risultare frustranti
x Longevità da lungometraggio

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