In Other Waters è un simulatore di Michael Collins sull’Apollo 11.
Ho pensato a lungo e in solitudine, come aprire questa recensione di In Other Waters. Perché è un gioco che nella solitudine si crogiola, e che pur parlando di un SOS raccolto mi ha fatto sentire solo. Dopo aver giocato In Other Waters credo di aver capito come si è sentito Michael Collins lì su, sull’Apollo 11. Il terzo uomo sulla Luna che di fatto, sulla Luna, non ha mai messo piede, l’onere e l’onore è stato di Armstrong e Aldrin. Dev’essere stata dura, poter solo immaginare quella camminata a gravità ridotta. L’assenza di odori tra le polveri di una roccia sospesa nello spazio. Collins era lì, in orbita, costretto a vivere l’esperienza nel riflesso dei due colleghi e con l’ingrato compito di tener d’occhio la strumentazione di bordo.
In Other Waters è questo, è la solitudine di un Michael Collins che può solo invidiare Armstrong
Siamo Ellery Vas. O meglio, in un videogioco normale ne vestiremmo i panni. Perché i videogiochi ci hanno insegnato, no, abituato, ad essere protagonisti. Eroi. Superuomini. Con un pad sotto le dita diventiamo Sherlock Holmes, Batman, Kratos. In In Other Waters no. In Other Waters ci costringe ad essere il dottor Watson, il Robin, l’Atreus della situazione, un po’ come se in questa recensione io venissi ridotto al lettore. È ancora più estremo, perché quello che vediamo di In Other Waters è l’interfaccia della tuta di Ellery. Il resto possiamo solo immaginarlo dalle sue parole e dalle reazioni degli strumenti, perché siamo solo un’IA che deve portarla a casa.
E ci potremmo fermare qui, perché scrivere la recensione di un gioco dove lo sviluppatore non ha voluto mostrarci il gioco, come in In Other Waters, è un controsenso. È andar contro la visione del suo autore, è digitare caratteri su una tastiera solo per far si che l’SOS – mio, questa volta– arrivi a Google e il pezzo venga indicizzato. D’altra parte se tu, tu che stai dall’altra parte, sei arrivato qui è perché volevi sapere com’era il gioco. Sei anche tu Ellery, hai bisogno che un costrutto artificiale come una recensione ti guidi, ti dica se è il caso di comprare e giocare In Other Waters. Allo stesso tempo però sei anche l’IA, perchè il mondo di In Other Waters tu non lo vedi, non lo vivi. E ti aspetti che te lo racconti io che invece l’ho vissuto. Anche se non l’ho visto.
Come faccio a farti sentire qualcosa che ho solo percepito?
Non lo so, davvero. Ti ho già detto tutto, dicendoti che mi sono sentito Michael Collins. Lo credo davvero, dalle linee di testo sullo schermo di In Other Waters ho sentito davvero quella solitudine un po’ triste. Mi son davvero sentito il terzo uomo sulla Luna che sulla Luna non c’è mai davvero stato. Il personaggio secondario di un’opera entrata nell’immaginario collettivo, che ha reso immortale l’Eroe e lasciato gli altri sullo sfondo. Potrei dirti che In Other Waters è una strana commistione tra Metroid e Zork, un metroidvania – trattino – avventura testuale. Potrei dirti che anche se sembra non è una versione minimal di un walking simulator, perché l’ottovolante di situazioni tese tipiche di un videogioco “normale” c’è. Ci sono spezzoni dove Ellery rischia e rischia grosso, altri dove invece gli sviluppatori approfondiscono questioni più filosofiche.
The Talos Principle a budget ancora più basso? The Turing Test ma con la visuale isometrica? Serve per forza avere un metro di paragone? A furia di fare così ci perdiamo le differenze. Le cose davvero inedite, che magari stanno solo negli incastri. Vi potrei dire che In Other Waters è l’Hacknet dei metroidvania e chiudere la recensione con un verdetto ad effetto, uno Skyrim With Guns fuori tempo massimo. Ma servirebbe? La cosa più simile ad In Other Waters è proprio In Other Waters. Jump Over The Age ha giocato tutto sull’atmosfera, sfruttando grafica a schermo, sonoro e anche quel meraviglioso engine che è la nostra mente. Un engine instabile, stocastico (non è una parolaccia a la Gameromancer), ma che funziona meglio di Unreal Engine 4 quando gli Ellery dall’altra parte sanno che corde pizzicare.
L’unica cosa che ha davvero senso dire è questa: in modalità undocked In Other Water su Switch si adatta ai 6.2 pollici della macchina, scalando tutto di conseguenza. E in sostanza le scritte tendono a leggersi poco, è necessario ricorrere allo zoom. In modalità docked le cose migliorano, ma il controllo con il touchscreen è più immediato, da quasi l’illusione di essere sul modulo di controllo dell’Apollo 11, pronti a riportare a casa il resto del gruppo. Ecco, forse è questa l’unica informazione utile in una recensione di In Other Waters, dove comprarlo. Va valutata l’opzione PC, se potete, perché è il compromesso migliore.
Ma in fondo poco importa, l’importante è esser naufraghi nel mare della solitudine altrui…
Verdetto
9 / 10
Le altri scale, in altrui acque
Commento
Ti ho già detto tutto. Ti ho già detto anche troppo, costretto dalle convenzioni sociali e da un patologico bisogno di essere utile. Spero di non aver sgualcito In Other Waters, che è e rimane una delle esperienze che devi provare in questo 2020. Con la mente aperta e aspettandosi qualcosa di strano, ma in fondo cos'è la normalità, se non un insieme di regole oltre le quali noi vogliamo giocare?
Pro e Contro
✓ Geniale ✓ Emozionale ✓ Diverso
x Diverso x Le scritte
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