Può uno studio americano sviluppare un gioco così giapponese?

E posso davvero scrivere una recensione di Ghost of Tsushima, io maschio bianco europeo? Quello dell’appropriazione culturale è uno spettro che aleggia sull’intrattenimento da tempi non sospetti. Ma in un periodo che preme l’acceleratore così pedal-to-the-metal sul politicamente corretto, si parli di femminismo o di omofobia, Sucker Punch cammina su del ghiaccio sottile. Come la lama di una katana o il confine tra una battaglia giusta ed una crociata fanatica. Per quanto mi riguarda la risposta in ogni caso è sì. Uno studio americano può sviluppare un videogioco così perchè non è appropriazione culturale. Anzi. È un voler restituire qualcosa ad un immaginario che ha dato tanto, al mito di Kurosawa e a quello che ha fatto, ha significato.

E io posso scrivere una recensione di Ghost of Tsushima per lo stesso motivo: voglio raccontare cosa ha fatto Sucker Punch per me attraverso Jin Sakai

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Volpe guida Ghost of Tsushima si termina in 20 ore, che diventano circa 50 se si punta al platino. Chiaro, almeno di non usare come scorciatoia le nostre guide.
Ghost of Tsushima non vuole essere accurato. Non sicuramente dal punto di vista geografico, visto che l’isola di Tsushima è stata reimmaginata dagli sviluppatori. Sono stati boot on the ground sul posto, ma la natura è stata piegata al level design. Ed è giusto così, visto che (combattimenti a parte) Ghost of Tsushima rifugge dagli indicatori a schermo e cerca di utilizzare il mondo di gioco per parlare con il giocatore. Non c’è solo il vento visto nelle prime di ore di gioco live. Quella è la meccanica base, quella che ti guida da un punto all’altro della mappa. Bisogna saper leggere Ghost of Tsushima durante questi viaggi, guardandolo e respirandolo. E bisogna saper leggere questa recensione di Ghost of Tsushima, senza starnazzare di appropriazione culturale a prescindere.

Seguendo gli stormi di uccelli che transitano in cielo, il fumo che esce dalle pire accese dai mongoli quando attaccano una fattoria. Seguendo le volpi per trovare gli altari, ma imparando a dedurne e anticiparne il percorso perché gli elementi di level design si ripetono, sono consistenti. In un certo senso questa è l’unica appropriazione culturale in Ghost of Tsushima, o comunque l’unica che posso ammettere in questa recensione. Sucker Punch ha preso un angolo di mondo non suo e lo ha riscritto, ridisegnato.

Ma va benissimo così, la motivazione va oltre quella artistica ed abbraccia quella tecnica. C’è un motivo per cui alcune zone hanno fiori di un colore piuttosto che in un altro, dietro la forma di alcune formazioni rocciose. Fa parte di quel mondo e di quel mood, e si finisce inevitabilmente immersi in quelle logiche, imparando a cercare i pattern una volta capito il ragionamento che c’è dietro. Non è un unicum, un embrione della stessa idea si ritrova (per esempio) nel primo Mirror’s Edge. Ma anche Hellblade adottava qualcosa di molto simile, quantomeno nelle conseguenze. Perché dopo qualche ora tutti i Jin davanti allo schermo iniziano a cercare i simboli che ci stanno dietro, esattamente come facevano quando all’anagrafe si chiamavano Senua. È un lavoro fatto in nome dell’arte, come può essere sbagliato?

Allo stesso modo, la storia viene riscritta per adattarsi al design

Ora, è palese che quelli di Ghost of Tsushima non siano i Samurai dei libri di Storia. E che anche i mongoli non siano effettivamente loro, ma una versione romanzata ed adattata alle meccaniche di gioco. Quale esercito invasore accetterebbe di decidere una battaglia per singolar tenzone, piegandosi alla sacralità di un rito e di un Dio che non è il loro? Tradizione, coraggio, onore… Il gioco si apre con queste tre parole ed è immediatamente chiara la loro matrice. Non sono i Samurai di carne e nemmeno quelli rimasti su carta in qualche articolo. Sono quelli di pellicola, quelli che Akira Kurosawa ha regalato al mondo influenzando per sempre un’immaginario. Da Kurosawa si arriva al Western ed è solo giusto che dal lontano Ovest si torni ad Est.

Sì, come da prassi quando si parla di Sucker Punch c’è una doppia anima, in Ghost of Tsushima. Jin è anche un fantasma, può anche uccidere i suoi nemici (e con loro il suo onore) ricorrendo alle tenebre, a qualche trucco e alla furtività. Ma non è il modo corretto di giocare Ghost of Tsushima, perché affrontato così è la copia praticamente pedissequa di Assassin’s Creed II. Metti i kunai al posto dei coltelli da lancio, leva la pistola della Lama Celata di Ezio e ci sei. Ci sono addirittura le bombe fumogene, e l’isola di Tsushima avvolta da quel fumo ha gli stessi connotati della Venezia del ‘400. Le meccaniche da spettro sono comode quando si vuol tagliare corto, ma il vero fascino sta nella lama. Sta nell’onore.

Ghost of Tsushima da il suo meglio proprio dove può essere accusato di appropriazione culturale

Perchè le meccaniche di gameplay da samurai sono figlie dell’iconografia stessa del samurai in occidente. Di quei guerrieri che incarnano il giapponese tipico, testardo e cocciuto, e che per principio sarebbero pronti a gettare la loro stessa vita. È diventando dei veri e propri maestri di spada che si capisce il fascino di Ghost of Tsushima. Le forme tra cui switchare compulsivamente a seconda dell’avversario e della situazione. Le tecniche migliori, schivate, parate e contrattacchi da eseguire al momento giusto per minimizzare il numero di fendenti necessari all’uccisione. Il fascino triviale della violenza che si unisce alla reverenza per la lama. E chiunque sia stato anche solo vagamente esposto al Giappone raccontato da film, anime e manga non può che rimanerci sotto. Non può che sognare e agognare l’essere Jin Sakai.

Ecco, il complimento più grosso che si possa fare a Ghost of Tsushima è questo. Ti fa venir voglia di crederci. Di credere che si possa essere samurai e si possa combattere con onore, sapendo che anche gli altri stanno alle regole. Che un posto come la Tsushima di Sucker Punch possa esistere, e poco importa se le animazioni non sono eccezionali e c’è qualche sbavatura tecnica.

Perché alla fine quello che conta siete tu e la lama…

Verdetto
8 / 10
Com'è che nessuno lo ha chiamato haiku simulator?
Commento
Ghost of Tsushima è un titolo sorprendente. Non gli si danno due lire, dopo le prime due ore. Ma bastano altri 30 minuti per innamorarsene, perchè una volta sbloccate alcune abilità e capite alcune meccaniche è impossibile non rimanerci sotto, non sentire il desiderio di primeggiare sull'invasore mongolo utilizzando solo le proprie abilità e la katana. Niente trucchi, niente stealth, più duelli possibili. Ghost of Tsushima vuole farsi giocare così, e giocato così regala davvero tanto.
Pro e Contro
Gameplay da samurai assuefacente
Parla attraverso il level design

x Alcuni anacronismi ludici
x Tecnicamente grezzo

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