Nonostante una libreria di titoli che ha proposto in un primo momento titoli che meritavano decisamente più successo (impossibile non citare
Soul Sacrifice,
Killzone Mercenary e
Tearaway a questo proposito) ed in seconda battuta ha tentato, con alterne fortune, anche la strada dei porting, Playstation Vita non è ancora riuscita ad imporsi sul mercato. La conseguenza è che ad ogni nuovo titolo o Proprietà Intellettuale rilasciata sulla piattaforma tra i fan le aspettative schizzano inevitabilmente alle stelle, nella speranza che arrivi finalmente un “salvatore della patria” a risollevare le sorti della portatile.
Freedom Wars non fa ovviamente eccezione, prestandosi a questo gioco fin dall’annuncio (col nome di
Panopticon). Ma adesso che siamo finalmente al momento della verità, qual è il verdetto?
Freedom is the freedom to say that 2 plus 2 make 4
Panopticon, controllo continuo e libertà personali limitate: Freedom Wars tratta tematiche molto “orwelliane”
Freedom Wars è ambientato in uno scenario che (con un certo “abuso” di significato) potremmo definire post-apocalittico: le risorse sul pianeta Terra iniziano a scarseggiare e l’umanità, raggruppatasi in vari Panopticon (praticamente delle Città-Stato sotterranee), pare inevitabilmente destinata a combattere contro se stessa per il controllo di queste materie prime. Le divisioni però non si limitano a quelle tra un Panopticon e l’altro, ma anche all’interno di questa separano i cittadini normali dai cosidetti Peccatori, costretti (colpevoli o meno) a scontare una condanna di un milione di anni che possono ridurre solo lavorando per il bene comune in operazioni “volontarie” e costantemente sorvegliati da un Automa personale. Il giocatore, nei panni appunto di uno di questi peccatori, viene colpito all’inizio del gioco da un’amnesia che ne cancella completamente i ricordi, e viene spinto dalla misteriosa Aries (che compare solo in quella che pare una dimensione parallela, raggiunta dal giocatore durante il sonno) a progredire in questa gerarchia dei dannati conquistando di volta in volta nuovi diritti, per dare il via al “Grande Cambiamento”.
Al netto del setting interessante comunque la narrazione rimane per gran parte dell’opera sul misterioso, non scendendo mai troppo nei dettagli e spiegando poco, fino ad arrivare ad un finale (volutamente?) aperto che alla fine lascia comunque più di qualche interrogativo.
Demolition Man
Più Gods Eater che Monster Hunter dal punto di vista ludico
Dal punto di vista ludico, questa collaborazione “a sei mani” tra Japan Studio, Dimps e Shift si presenta come un action-rpg “alla Monster Hunter”, incanalandosi quindi sul filone degli Hunting Game.
Più che con la killer application di Capcom i punti di contatto vanno ricercati con la serie Gods Eater (sempre a cura di Shift): l’azione è infatti caratterizzata da ritmi più sostenuti e dalla presenza di armi da fuoco, che affiancano le più tradizionali armi da mischia. Il giocatore può equipaggiare quindi due armi e portare con se un numero di oggetti che dipende essenzialmente dai diritti che ha ottenuto progredendo, e viene accompagnato anche in battaglia dal suo automa (equipaggiabile con un’arma e due oggetti). A chiudere la dotazione c’è il Rovo, che nelle meccaniche di base permette di agganciare nemici e superfici per poi avvicinarsi rapidamente a queste e viene poi “specializzato” scegliendo una classe (attacco, difesa, o curativo) ottenendo degli effetti secondari a seconda di questa. Oltre che a rendere più veloci il movimento, il Rovo si rivela particolarmente utile quando si affrontano i Rapitori, nemici dalle dimensioni più o meno esagerate che richiamano alla lontana Evangelion nel design, il cui scopo è essenzialmente quello di attaccare i Panopticon per rapirne i cittadini (o, nel caso non trasportino prigionieri nelle loro capsule, appropriarsi degli Automi dei peccatori sul campo).
Da rivedere il sistema di lock-on
Non manca, come ormai in tutti i titoli del genere, la possibilità di agganciare i bersagli e “bloccare” la mira quando si utilizzano le armi da mischia, che purtroppo però corrisponde ad uno dei difetti più grossi del titolo:
il sistema di lock-on infatti (dato anche il numero di “punti” agganciabili quando si ha a che fare con i Rapitori) non è particolarmente preciso ed il cambio di obbiettivo che si può ottenere attraverso la levetta analogica destra risulta eccessivamente macchinoso, spezzando il ritmo e spesso e volentieri togliendo tempo prezioso all’azione.
Mission Complete
Tante modalità, sia giocando con gli altri che in singolo
Le missioni si svolgono essenzialmente in squadre da quattro giocatori (più ovviamente i rispettivi automi), e possono essere affrontate sia in multigiocatore (online o ad-hoc) oppure in singolo, assegnando il controllo degli alleati alla IA del gioco (che risulta decisamente puntuale nell’eseguire gli ordini di squadra e nel rianimare i “caduti” sul campo). Rispetto alla media degli altri “cloni” di Monster Hunter, la varietà di soluzioni ludiche si fa sentire, proponendo oltre alle missioni “classiche” di questo genere (quelle in cui l’obbiettivo è abbattere i rapitori) anche missioni dove lo scopo è salvare più cittadini possibili scortandoli ai punti di recupero sulla mappa o quelle contro squadre avversarie di peccatori. Sono inoltre presenti alcune missioni che hanno lo scopo di raccogliere le risorse presenti nell’area, che non si discostano molto da quelle viste in Soul Sacrifice a livello di meccaniche e resa. Più sui generis invece il sistema di progressione: per poter ottenere armi più potenti è infatti necessario gestire degli stabilimenti predisposti alla creazione e al potenziamento di queste, raccogliendo le risorse necessarie e poi aspettando che la fabbrica termini il suo lavoro (il tempo può essere ridotto chiedendo l’intervento di uno dei cittadini salvati durante le missioni, a seconda delle sue qualifiche). Rarità e moduli (e di conseguenza, le statistiche dell’arma) verranno generati casualmente, e mentre per quanto riguarda i moduli è possibile intervenire rimuovendo quelli sgraditi e “smontandone” altri da armi dell’inventario per modificare quella in esame, sulla rarità non si può intervenire direttamente.
Le meccaniche si adattano anche ai neofiti
Se da una parte questo approccio probabilmente potrebbe far storcere il naso ai veterani di Monster Hunter,
ha sicuramente il pregio di rendere le meccaniche di gioco più “entry level” e adatte anche a chi si avvicina a questo genere per la prima volta, non dimenticando comunque la necessità di “grindare” alcune risorse più rare per potenziare le armi ai livelli più alti. Alla luce di queste considerazioni
appare un po’ in controtendenza la scelta di non adottare una strategia “alla Soul Sacrifice” per quanto riguarda i menu relativi alle risorse necessarie per potenziare le armi, indicando in modo chiaro quali missioni andare ad affrontare per ottenerle come invece succede nell’action-rpg di Japan Studio.
Beauty and the Beasts
Tecnicamente, Freedom Wars si difende davvero bene
Arrivando all’aspetto tecnico della produzione
, Freedom Wars si difende davvero bene, regalando una fluidità generale durante le missioni anche quando si affrontano più nemici e si sta giocando online. Il colpo d’occhio generale è poi riuscito sia dal punto di vista del character design di nemici, rapitori e comprimari, che da quello meramente visivo, grazie ad una resa grafica ben realizzata e capace di spaziare tra ambienti più luminosi come i deserti a quelli più cupi delle città in rovina.
Promosso anche il sonoro, alla luce di una colonna sonora decisamente orecchiabile e di un buon doppiaggio (proposto in lingua originale con sottotitoli in italiano) che coinvolge anche “voci familiari” per il pubblico che segue l’animazione giapponese.
Verdetto
8 / 10
Demolition Man incontra George Orwell
Commento
Pro e Contro
✓ Setting e idea interessanti
✓ Tante modalità
✓ Più "entry level" di Monster Hunter
x Più "entry level" di Monster Hunter
x Lock-on da rivedere
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