Cosa deve fare un sequel? Deve fare Horizon Forbidden West,
tutto il resto di questa recensione è superfluo.
Zero Dawn aveva fame. Guerrilla era alla ricerca del riscatto di chi sa benissimo quanto vale ma non è mai riuscito a esprimerlo. Anzi, s’è pure beccato una class action per aver provato a farlo, perfetto emblema di quello che la fanbase PlayStation ha sempre pensato di Killzone. Il sogno di avere un “loro” Halo in lineup tramutatosi in uno stigma da nascondere, un prodotto da tollerare perché tanto c’abbiamo Naughty Dog. Zero Dawn aveva fame e nonostante tutto sembrasse dargli contro alla fine ha mangiato per 20 milioni di copie.
Forbidden West esce
sazio. Non deve più riscattare nulla, semmai deve confermare, consolidare. Esce addirittura cross-gen, col
lusso di potersi permettere di essere il classico more of the same. E ci sarebbe andato bene, perché alla fine quello che ha reso Zero Dawn un best-seller è il suo
immaginario, quella Terra che ha smesso di
essere nostra per colpa di un’IA alla deriva nella sua stessa programmazione e che abbiamo provato a riprenderci.
Però non sarebbe andato bene a Guerrilla, che evidentemente quella fame la sente ancora a dispetto delle copie vendute
Un sequel deve fare una e una sola cosa. Prendere atto dei
problemi del capitolo 1 e
risolverli in modo che tutto il resto, tutto quello che funzionava, si muova su un palcoscenico più illuminato. È banale fare l’elenco dei punti di forza e di quelli deboli di Zero Dawn. Nella prima colonna si troverebbe tutto quello che ha a che fare con la sua
narrativa, meno il modo di esporla. Per tematiche e scrittura Zero Dawn è
sontuoso, ma il
limite di voler raccontare tutto attraverso primi piani e log testuali lo limita. Zero Dawn è come un buon libro dove la colla che tiene assieme le pagine sta
cedendo. Forbidden West invece è l’ultimo romanzo del tuo autore preferito in un’
edizione di pregio.
Non è solo una questione di forma, ma soprattutto di
ritmo. Ok, i dialoghi tra i personaggi non sono più legati ai piani americani che alternano ora l’uno e ora l’altro. Ma il vero punto di forza è che gli eventi iniziano
da subito. I sei mesi che separano Zero Dawn da Forbidden West sono riassunti in un paio di minuti. Poi trova subito spazio un tutorial, inserito in modo
coerente nella narrativa mettendo Aloy nei panni della maestra che deve insegnare all’allievo come si combatte usando la seconda vista garantita dalla tecnologia dei Precursori.
Sembra quasi una
dichiarazione di intenti, un voler affermare di aver risolto i problemi di
dissonanza ludonarrativa tipici dei titoli
a la The Witcher 3. L’
illusione dura un attimo. È inevitabile che in un contesto del genere ci siano dei problemi. Bisogna in qualche modo resettare le abilità che la protagonista ha ottenuto nel capitolo precedente, per preservare il senso di
sfida. Vanno introdotti nuovi nemici per evitare l’effetto
riciclo, di assomigliare troppo a quel Devil May Cry 4 che aveva finito le idee anche
nella sua recensione. Bisogna scendere a patti con il concetto che i videogiochi devono lasciare un certo spazio al giocattolo, al giocato. Anche a costo di sacrificare un po’ di plausibilità. Forbidden West riesce a mettere alcune
pezze in questo senso, mentre su altri aspetti mantiene un silenzio
assordante nel suo
stridere in un mondo di gioco che tende alla coerenza.
Ma la dissonanza ludonarrativa è parte di quello che il videogioco è in quanto sogno. Va accettata, quando non interferisce con il design
L’idea di ambientare tutto a Ovest, in terre non ancora battute da Aloy e abitate da macchine a cui EFESTO non aveva ancora pensato sei mesi prima
funziona. Si torna al discorso per cui il gioco fin da
subito lancia il giocatore nel pieno degli eventi. Mettendogli anche già in mano due novità di sostanza che cambiano l’approccio all’esplorazione. Il
rampino si ottiene durante il tutorial, ma accompagnerà la cacciatrice per tutta l’esperienza rendendo più sapide le sezioni di esplorazione, da oggi col 10% di
platforming in più. Già nelle prime ore si ottiene poi un parapendio che richiama molto da vicino l’
antico rivale Breath of the Wild, che oltre a combinarsi alla grande col rampino diventa uno strumento tattico prezioso tanto per navigare nell’Open World quanto per le fasi di combattimento. Ecco, il combattimento. Parliamone.
Uno dei difetti
peggiori del primo capitolo erano gli scontri contro i nemici umani. Il core, quello contro le macchine, funzionava e continua a farlo in virtù delle nuove armi e delle nuove creature inserite. Ma contro altri esseri umani Zero Dawn crollava mostrando
un’IA da 104 e un corpo a corpo tutt’altro che eccezionale. Forbidden West prende atto del problema e, per quanto rimanga assolutamente l’approccio meno di valore tra quelli proposti, grazie allo
skill tree dedicato al combattimento corpo a corpo rende queste fasi
meno opache. Il focus –
no pun intended – rimane comunque il sistema alla Monster Hunter contro le macchine di EFESTO, ma quantomeno s’è creata un’
alternativa plausibile allo stealth per gli avamposti.
È qui che forse ci si poteva aspettare di più. I primi trailer del gioco suggerivano
un approccio diverso all’Open World. Non più l’ossessione di mettere sul piatto una mappa enorme, ma un modo per andare a connettere delle aree più dettagliate tra di loro.
È in effetti così, perché Forbidden West da design si concede diversi acuti mostrando a schermo dei
dungeon – perché di dungeon si tratta – ben congegnati. A volte il perno è nei puzzle, una reinterpretazione datata 2022 delle tombe che hanno resto famoso Assassin’s Creed. Ma molto spesso è la
direzione artistica, il giocare con olo-proiettori e realtà aumentata per realizzare
cattedrali nel deserto. Solo che il resto dell’Open World è banale.
Tornano i Collolungo e i loro puzzle, tornano come detto gli avamposti da liberare. C’è qualche altro segreto legato ai predecessori da risolvere cercando di capire come aprire le porte e dove trovare le password, ma in generale Forbidden West è figlio di quell’
approccio all’Open World medio che s’è visto nella scorsa generazione. Torna l’
ombra lunga di The Witcher 3, e per quanto comunque anche le missioni secondarie piuttosto che scrivere storie autoconclusive cercano di approfondire il mondo di gioco “a puntate” il paragone è più che mai esplicito. C’è addirittura un mini-gioco che sembra
fare il verso al Gwent.
Forbidden West non rivoluziona la formula, ma prova a introdurre
timidamente alcune novità. Che funzionano pure, al punto da volerle rivedere
più grandi e cattive nel prossimo (telefonatissimo) capitolo della serie. Ma in un mondo dove, va detto, esistono esempi come il già citato Breath of the Wild e Death Stranding e The Witcher 3 ormai viene imitato da un lustro,
è il momento di provare ad andare oltre. È questo forse l’unico difetto serio di Forbidden West, molto più di quanto un sistema di arrampicata più “magnetico” e guidato possa essere.
Per il resto, che si può dire ad un gioco del genere?
Tecnicamente è lo
stato dell’arte, una delle cose più belle che si possano giocare su PS5 e un grandissimo canto del cigno per PS4, ormai candidata a raccogliere l’eredità dell’altra console “pari” di Sony. La colonna sonora si amalgama al resto, sottolineando i momenti alti di Forbidden West e
sostenendo alla grande la sua narrativa, ancora il punto forte di tutta la produzione e in generale dell’offerta PlayStation.
È un gioco da giocare, Forbidden West. Anche se Zero Dawn non è piaciuto, perché ne rappresenta un’incarnazione ludicamente più matura e
consapevole. È mancato solo un po’ di coraggio, la volontà di rinnegare certi stilemi che piacciono ai giocatori ma che il medium dovrebbe provare a superare.
Ma d’altra parte c’è ancora almeno un terzo capitolo ad aspettarci…
Voto e Prezzo
8.5 / 10
55€ /70€
Commento
Pro e Contro
✓ Risolti quasi tutti i problemi del primo capitolo
✓ Narrativa incredibile
✓ Lo stato dell'arte sia su PS5 che su PS4
x Ancora avamposti
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