Ho difficoltà nel chiamarla intervista, la piacevole chiacchierata avuta con la Prof.ssa Ornella De Rosa, presidente dell’Osservatorio Internazionale sul Gioco. Doveva essere un’intervista, appunto, ma alla fine ci siamo lasciati trasportare dalle emozioni e dal confronto delle nostre rispettive esperienze. Una bellissima ora passata al telefono che mi ha fatto riflettere sulla mia condizione e la mia missione di redattore. Per rispetto, mi rivolgevo a lei con Dottoressa o Professoressa ma lei, senza mezzi termini, mi ha bonariamente detto: “Dino, chiamami Ornella”. Accorciare le distanze è ormai un privilegio riservato a pochi e io sono stato uno di quelli. Bene, non mi resta che lasciarvi all’intervista rilasciata da Ornella De Rosa, ricordiamo, presidente dell’Osservatorio Internazionale sul Gioco. A nome di tutta la redazione, un sentito e caloroso GRAZIE.
Iniziamo con delle scuse ufficiali. Purtroppo disconoscevo l’esistenza dell’Osservatorio internazionale sul gioco, per giunta situato in Italia. Ornella, voglio rimediare e far conoscere a tutti il vostro lavoro. Di cosa vi occupate principalmente?
Curiosità! È interessante notare come più una specie dedichi tempo al gioco, più sia in alto sulla catena alimentare. Gli erbivori, difatti, giocano per pochi mesi dalla nascita. I carnivori dedicano, invece, qualche anno allo svago e al gioco. L’essere umano è la specie animale che gioca di più, e non per nulla è la forma di vita più intelligente sulla terra, anche se a volte sembra dimenticarsene…
L’Osservatorio Internazionale sul Gioco (
OIG) è un’associazione di promozione sociale senza finalità di lucro,
fondata nel 2003 dal prof. Giuseppe Imbucci, docente di Storia contemporanea dell’Università di Salerno, scomparso nel 2005. Lui fu uno dei pionieri circa gli studi e gli approfondimenti sulle
tematiche inerenti il gioco pubblico in Italia.
L’Osservatorio è attualmente un polo di ricerca che annovera numerose collaborazioni con altrettante università italiane e straniere, oltre che partenariati con associazioni ed enti pubblici e privati. Noi trattiamo la tematica del gioco pubblico, sia nel suo significato positivo che in quello negativo del termine, definito comunemente
gioco d’azzardo. Lo stato vigila attentamente su questo settore, sia in maniera diretta (con leggi e regolamenti) che in maniera indiretta (affidandosi alle concessioni). La più famosa è sicuramente quella della Lottomatica che gestisce e vigila allo stesso tempo il gioco del lotto.
Scopo principe dell’associazione è quello
promuovere la cultura ludica del gioco, seguendo varie modalità come la promozione di iniziative con scopi conoscitivi, interventi ed orientamenti sia in Italia che all’estero sulle varie forme del gioco, anche toccando ambiti patologici e del gioco clandestino.
Il gioco è una
forma di espressione importante dell’individuo ed è parte integrante della sua natura. Tutti i mammiferi giocano e
attraverso questo apprendono. Il gioco è, forse, una delle forme più efficaci dell’apprendimento, a prescindere che sia gioco pubblico o un videogioco. Lo diceva anche
Marshall McLuhan, uno dei più famosi sociologi del’900. Lui fu uno dei primi che intuì che attraverso i primi antenati dei computer, l’apprendimento sarebbe stato facilitato.
Il (video)gioco, facilita l’apprendimento. Ma qualcuno è disposto a spiegare come questo sia possibile? Chi spende tempo per far comprendere il senso del medium videoludico?
Il potere del medium tecnologico, confezionato in varie forme e modalità, come ad esempio i videogiochi, è sicuramente indubbio ma nasconde tanti lati oscuri. I genitori moderni hanno la tecnologia facile e la utilizzano spesso come
metodo per tranquillizzare i propri figli e trovare una facile way out per ritagliarsi dei momenti di tranquillità. Prima non era così. Il genitore regalava il suo tempo, con una mentalità diversa e senza trovare nessun
escamotage. Anche se era poco presente, per via degli impegni lavorativi e familiari, era sempre attento alle dinamiche del suo nucleo e valutava i comportamenti molto attentamente.
Ai miei tempi la tecnologia scandiva il tempo e le giornate, come il famoso
Carosello che segnava la fine della giornata, allietando il sonno e i sogni dei bambini. Ai miei tempi
la tecnologia era accessoria e non necessaria. Le persone venivano sempre considerate al primo posto.
I genitori moderni hanno la tecnologia facile e la utilizzano spesso come metodo per tranquillizzare i propri figli ...
La troppa facilità di accesso, unita alla poca comprensione del medium videoludico, può creare delle situazioni pericolose. Lo scorso maggio l’OMS ha ufficialmente riconosciuto il Gaming disorder, la dipendenza da videogiochi. Cosa sta succedendo? L’Italia è estranea a questa situazione?
Bisogna sempre prendere tutto con le dovute pinze, senza suscitare troppi allarmismi. Dino, rispondo alla tua domanda con una provocazione. L’OMS sta studiando i comportamenti dei cosidetti
sognatori, coloro che hanno la dipendenza dai sogni o più semplicemente che sognano ad occhi aperti. Potenzialmente, quindi, tutti potremmo essere malati. Quante volte hai sognato ad occhi aperti o ti sei rifugiato nei sogni? Immagino un’infinità di volte, anche perché
il sogno è una componente fondamentale di un individuo. La catalogazione è una cosa semplice, la difficoltà sta nel capire la radice di un problema. L’individuo che sogna può rappresentare un problema nel momento in cui lo fa troppo spesso e finisce per dipendere e rifugiarsi nei sogni, rinunciando alla realtà. Il problema è che oggi vi è una ricerca spasmodica verso la catalogazione di tutte quelle devianze che non vengono considerate normali. Il problema è che nel mondo non esistono solo i punti ma vi sono anche le virgole e i punti e virgola.
Un grande sforzo verso questa cosiddetta catalogazione e un minimo impegno verso la ricerca di una causa. Non dovrebbe essere il contrario?
La causa non deve essere ricercata sempre. Il più delle volte non è necessario. Se ad esempio un bimbo arrivato all’età di 3 anni ancora non parla, non ci si deve fiondare dal logopedista in cerca di risposte e nomi di possibili patologie.
E se invece avesse bisogno solo di tempo, di contatto o di considerazione? Non tutti siamo uguali e
la diversità è una forza non una debolezza o, come si vuole spesso far intendere, una malattia. D’altronde, il bello della nostra società sta nella diversità tra gli individui. Una forma di ricchezza non quantificabile.
Ornella, negli ultimi temp, sembrerebbe che qualcosa si stia muovendo. Iniziative che legano il mondo dei videogiochi a quello della didattica, progetti che vogliono colmare il gap genitori e figli attraverso il gaming e riconoscimenti trasversali delle soft skill. La nebbia comincia a diradarsi?
Dino, se ti dicessi che un videogioco serviva e serve tuttora per la preparazione professionale di un futuro chirurgo? La mia generazione aveva l’allegro chirurgo, quella attuale ha i videogiochi. Curare e salvare una vita, sottoponendosi a una forte carica di stress, restando calmi e avere riflessi pronti e veloci.
Non ti sembrano delle soft skills? Altro esempio è quello dei piloti di Formula 1, che
“giocano” con i simulatori di guida, che in tutto e per tutto sono dei veri e propri videogiochi.
Il mondo videoludico serve molto a quello del lavoro, sia in fase di addestramento delle competenze che nella funzione del
problem solving. Un ambiente simulato è la
preview di quello reale, dove ogni errore può costare caro. Ma
le competenze e le abilità di un videogiocatore possono veramente fare la differenza.
Un ambiente simulato è la preview di quello reale, dove ogni errore può costare caro.
Un videogioco può salvare una futura vita. Lo avevo accostato a molte cose nella mia vita, ma questa prospettiva è una cosa per me assolutamente innovativa e fantastica.
L’uso dell’elettronica e della tecnologia aiuta e semplifica le operazioni di tutti, sia nel mondo del lavoro che nel quotidiano. Tornando al mondo della medicina, se pensi anche allo svolgimento degli attuali interventi chirurgici, in rari casi si opera “a cielo aperto”. Attraverso l’uso di camere e strumentazioni elettroniche, come il caso della tecnica della laparoscopia, l’intervento si esegue in una modalità similare a quella di un videogioco. Una videocamera con annessi strumenti medicali, comandati da una console.
Una dinamica videoludica semplifica una situazione complicata, carica di stress e tensione come può essere quella appunto di un intervento chirurgico, per raggiungere un obiettivo prefissato.
Come ogni cosa, esiste anche un rovescio della medaglia. Le dinamiche videoludiche possono anche togliere delle vite. Mi riferisco, Ornella, ai piloti di droni militari in assetto da guerra.
Eh sì Dino, hai ragione. Come esistono le cose belle esistono, purtroppo, quelle brutte.
La dinamica semplificatoria del videogioco si applica perfettamente agli scenari di guerra. Un bombardamento aereo pilotato da remoto attraverso un joystick e uno schermo rappresenta, ormai, uno scenario tipico in un teatro di guerra dei giorni nostri. Le dinamiche videoludiche, che prima semplificavano una situazione complicata, adesso sono la
maschera perfetta per nascondere il dramma e la disperazione della guerra.
Ornella, facciamo un passo indietro e torniamo all’argomento affrontato prima, quello della dipendenza. Cosa mi puoi dire sul fenomeno dell’Hikikomori e se è giusto addossare le colpe anche ai videogiochi?
È un abito che si vuole indossare.
Purtroppo oggi esiste un eccesso di solitudine. Il ragazzo giapponese, americano, europeo o anche italiano che si rinchiude in mondo virtuale, non lo fa per
colpa dei videogiochi. Il problema è presente e si sarebbe manifestato in un’altra forma. Il videogioco cerca di darti una via di fuga e non risolve la problematica scatenata da questo senso di solitudine, determinato, in particolare, dall’estraneità verso questa società attuale.
Il sociologo polacco
Zygmunt Bauman, fu uno dei primi a intravedere questo tipo di problema definendo l’attuale società
“liquida”, priva di quei valori che prima erano pilastri portanti. Nelle camerette, le perfette isole per l’Hikikomori,
oggi ci sono i videogiochi mentre ieri c’erano i libri, ma entrambi sono delle perfette vie di fuga. Il modello è uguale. In tempi passati,
i genitori entravano nelle camerette e imponevano un distacco da quella realtà. Ti chiedevano di adempiere a delle faccende comuni, come per esempio uscire e fare la spesa, ma era un modo per farti tornare nella realtà. Adesso invece questi distacchi forzati si vedono sempre meno.
Quasi per convenienza o anche per una tranquillità apparente,
i genitori vedono le camerette come posti sicuri dove poter controllare i propri figli, illudendosi che sia meno pericoloso restare chiusi in quattro mura che andare fuori e fare una partitella con gli amici. Ma è, appunto, una mera illusione.
...i genitori vedono le camerette come posti sicuri dove poter controllare i propri figli, illudendosi che sia meno pericoloso restare chiusi in quattro mura che andare fuori.
L’associazione Hikikomori Italia, ha fornito una stima dei casi in Italia: 100.000. Tanti o troppi?
Ma è una patologia oppure è l’individuo che è patologico? Se fai delle cose
diverse dalla normalità, come leggere moltissimi libri o essere un
nerd,
sei visto con occhi diversi e considerato un diverso. La società di un tempo era basata sul modello dell’essere per poi divenire. Ora è tutta sull’apparire e molto “individuocentrica” o, più semplicemente, egoista. Sui figli vengono riversate molte aspettative, senza a volte fermarsi un attimo e capire quali siano le loro aspirazioni. Si vuole e a volte si pretende il meglio per loro, senza voler sentire, da loro, come stanno realmente le cose. La formazione di un individuo, che da bambino diventa pian piano adulto, passa attraverso diverse tappe.
Delusioni, gioie, sconfitte, vittorie, rancori e soddisfazioni. La presenza di un genitore non deve essere una cappa perché sono proprio attraverso queste tappe, belle o brutte che siano, che si forgia il carattere dell’adulto/a del domani, capace di emergere e non di chiudersi.
Il videogioco, mi viene quasi da dire a margine della nostra intervista, è una bella maschera per chi vuole rifugiarsi in uno stato di isolamento sociale. È un bel vestito da tirar fuori all’occorrenza.
Il problema non è il videogioco o il gioco pubblico o il gioco d’azzardo.
Il vero problema è l’estraneità che serpeggia tra gli individui. Valori come l’amicizia, ahimè, si stanno progressivamente dissolvendo. Ti ricordi il detto
“Chi trova un amico trova un tesoro”? Adesso si ottiene
l’amicizia attraverso i social, magari con un
like. Un bel escamotage per evitare un contatto vero e autentico. Una scorciatoia per avere una parvenza di vita social(e) e nascondere la voglia di estraneità.
È più semplice fare click sul pollicino all’in su del like invece di dare una pacca sulla spalla a un VERO amico. Non so se riusciremo a cambiare qualcosa nel breve termine. Gli unici che possono avviare una
rivoluzione sono gli ultimi arrivati, i nativi digitali.
Concordo con te, ma parte anche da noi Ornella. Noi, per settore, abbiamo delle grandi responsabilità. Loro, i nativi digitali, non hanno delle solide fondamenta nel comparto “consapevolezza videoludica e tecnologica”. Loro hanno noi e noi abbiamo il dovere morale di aiutarli.
Non è facile per tanti motivi. Il primo sicuramente è di natura economica in quanto, vivendo nell’ambiente universitario, la voce “finanziamenti” scarseggia sempre. Si investono molte risorse proprie e si risparmia su tutto. La cultura “alternativa” viene sempre penalizzata. Purtroppo il mio ultimo progetto
“Gioco e Giovani”, ha tentato di accedere a dei finanziamenti dalla regione Campania, 1 milione di euro per l’esattezza. Ha tentato ed è rimasto tale, con sommo dispiacere e amarezza di chi vi ha partecipato.
La società di un tempo era basata sul modello dell’essere per poi divenire. Ora è tutta sull’apparire...
Ornella noi ci crediamo. Come dice il nome del nostro sito noi amiamo i videogiochi. Ma non si parla solo di gameplay o di grafica ma di quello che il medium rappresenta, sulle connessioni che esso crea e sui valori su cui si fonda. Noi ci crediamo e siamo sicuri che la nostra passione ha la forza di poter coinvolgere altre persone. Siamo sognatori e amiamo sognare (anche se per l’OMS potremmo essere malati).
Quando ho vinto il Dottorato di ricerca in Dottore dell’Industria, un ordinario di Milano della Bocconi mi contestava che il gioco non poteva essere considerato un’industria. All’epoca, erano gli anni ’80. Oggi, in Italia, il gioco è la terza industria dopo Montecatini e la Fiat. In prospettiva, il mondo videoludico è su quella strada. Basta solo pensare agli esports e ai videogiochi competitivi.
Questa rapida espansione richiede l’approccio del “capire” per poi “prevenire”.
Grazie Ornella, grazie ancora per il tempo dedicato. Ovviamente ci vediamo in podcast nel 2020.
Senz’altro Dino. Grazie anche a te e a I Love Videogames.
#LiveTheRebellion