Pirateria. Uno dei temi più controversi del mondo videoludico e sovente protagonista di dibattiti. Un fenomeno che ha inoltre generato discussioni per vie traverse, centrate sull’efficacia e sulla lungimiranza delle contromisure adottate. Paradigmatica è infatti la polemica che da tempo ruota attorno al software di Denuvo. Una delle tante soluzioni chieste a gran voce da un gran numero di giocatori per arginare il fenomeno, salvo poi ritrattare chiedendone la rimozione. Assai nota è l’invasività dei software anti-pirateria, spesso responsabili di prestazioni mediocri da parte del titolo che nominalmente dovrebbero “proteggere”. Come se non bastasse, l’efficacia di questo è altri dispositivi anti-tamper è spesso approssimativa. Basti vedere il caso di Resident Evil 2, equipaggiato con la tecnologia Denuvo DRM ma comunque craccato ad appena una settimana dall’uscita.
Dopo un caso in cui il videogioco è stato vittima di crack persino prima della sua uscita ufficiale, abbiamo voluto proporre una discussione sulla nostra pagina Facebook, di seguito riportata.
Copie pirata scaricabili di Sekiro: Shadows Die Twice hanno iniziato a circolare già prima dell’uscita ufficiale.
L’ultimo videogioco afflitto, in ordine di tempo, dalla pirateria.
Un paradosso che ha gabbato gli “onesti”, che si sono visti sottrarre il privilegio di giocare per primi, ottenuto a suon di pre-order.
C’è chi sostiene, millantando studi e statistiche ignote, quanto a livello di marketing la pirateria non solo non incida (in negativo), ma che addirittura giovi al mercato videoludico. Secondo tale visione, la pirateria consentirebbe sì di provare il gioco completo nei suoi contenuti, ma solo come step antecedente all’acquisto legale in caso di gradimento del prodotto.
È una giustificazione plausibile? Specie quando, con la giusta attesa, diventa possibile accaparrarsi tutti i titoli del mondo a prezzi davvero contenuti (almeno su PC). “Eh ma 70 euro a botta è insostenibile”: ma nessuno vi ha chiesto di spenderli al Day One.
Ma questa è la nostra opinione. Cosa pensate del caso Sekiro? Credete che la pirateria abbia agevolato la popolarità del prodotto?
È mai giustificabile piratare un gioco? I Love Videogames @ Facebook
Dalle svariate risposte degli
utenti sono stati ricavati i seguenti punti, elencati qui sotto, e dai quali si svilupperà il discorso.
- Chi pirata i giochi non li avrebbe comprati comunque. E nonostante ciò essi vendono lo stesso. E neanche poco, in alcuni casi.
- Spendere 70 euro ogni volta non è sostenibile. Tutti devono avere il diritto di giocare.
- C’è chi scarica un gioco craccato solamente per provarlo, per farsi un’idea. Per vedere se gli può piacere. Successivamente lo compra lo stesso.
- Tanti fanno i paladini anti-pirateria, ma poi si vanno a comprare le key ribassate vendute da siti illegali. Da che pulpito.
Ma stanno obiettivamente in piedi? Adesso lo scopriremo.
Dura lex, sed lex.
Che piaccia o meno,
la pirateria è un reato. E pur presentando ancora diverse maglie piuttosto larghe, il sistema di norme che regola i confini di questa violazione è oggi in costante revisione. Con l’intento di osteggiare sempre più efficacemente una pratica che costituisce, checchè se ne dica,
un danno per tutti gli ambiti interessati, tra cui quello musicale, cinematografico e non ultimo, videoludico. Ogni singolo
CD,
DVD/Blu-Ray, videogioco ecc piratato e conseguentemente non venduto, rappresenta un danno. Che in un’ottica di mercato generale potrebbe anche essere marginale, a seconda del contesto, ma che tuttavia non perde il suo
carattere intrinseco di immoralità. Di seguito si argomenterà a sostegno del fatto che oggi più che mai, la pirateria è diventata oltremodo immorale e insensata,
salvo sparute eccezioni.
Ogni nuova generazione ha dovuto combattere per vedere riconosciuta dignità culturale a forme di intrattenimento, di spettacolo e di comunicazione che si facevano largo nella società, fecondavano l’immaginario, trasformavano le relazioni individuali e collettive con il tempo, con il corpo, con lo spazio.Gianni Canova
Talvolta la storia si ripete.
Il noto critico e storico cinematografico, oggi rettore dell’università
IULM di Milano, riconosce un
forte misoneismo nella cultura italiana, accademica e non. Nel XX secolo, in particolare, la società (di carattere particolarmente conservatore) fu refrattaria nei confronti prima del cinema e poi della televisione. Medium che tuttavia furono successivamente accettati, riconosciuti e diffusi fino a divenire “di massa”, con le varie declinazioni culturali, pedagogiche ecc. Viceversa oggi è il turno del videogioco, sulla buona strada ma ancora lungi dall’essere arrivato a un riconoscimento omogeneo e imparziale delle sue
potenzialità, che vanno ben oltre il mero intrattenimento. Da qui e ombre del fenomeno piratesco.
La pirateria è ambivalente. Libertà, di accesso ai contenuti per tutti. Oppressione, dei diritti di chi quei contenuti li ha creati.
Resistenze di ordine culturale e scusanti illegittime.
Il fatto che là fuori vi siano, all’apparenza, sufficienti utenti paganti capaci di tenere in piedi la baracca di chi i videogiochi li sviluppa e li commercializza non costituisce, di per sé, una valida giustificazione per piratare.
Un “apparato” (studio di sviluppo ecc) videoludico che non vende, muore. Irrimediabilmente. La fine di
Telltale Games è tristemente paradigmatica in tal senso. Nel mondo del cinema e della musica le entrate collaterali alla vendita “classica” di
CD/LP e
DVD/Blu-Ray sono molto più variegate e redditizie. Ad esempio le vendite di biglietti per i concerti, nel caso del mondo musicale, e quelli per le proiezioni nel caso di quello cinematografico.
Il videogioco viceversa si sostiene quasi unicamente sulla vendita dei singoli titoli. Per questo motivo la pirateria costituisce una seria fonte di danni, pur non essendo l’unica.
Per esempio
i giochi indie sono spesso al centro di problematiche che non portano ugualmente proventi agli sviluppatori, ma che comunque, in questo caso,
nulla hanno a che vedere con la pirateria, almeno non direttamente. Mi riferisco alle agevoli e permissive politiche di rimborso, specie su
Steam, che consentono di recuperare (praticamente nella totalità dei casi) l’intero importo speso purchè non si siano superate le 2 ore di gioco, e a massimo 14 giorni dall’acquisto. Soventi sono stati i casi di piccoli titoli
indie giocati e “finiti” in quel lasso di tempo, salvo poi vedersi pervenire richieste di rimborso. Da qui il
dovere morale di supportare il mercato videoludico, se non altro per una questione ineccepibile:
volente o nolente il videogioco rimane un bene superfluo.
Accezione del valore videoludico
E’ mai possibile stabilire precisamente il valore (monetario) di un videogioco?
Difficile dare una risposta.
La via più logica da seguire, e che molti erroneamente percorrono, è quella “tarata” sulla longevità. Un titolo contenente una ragguardevole quantità di contenuti (ad esempio un
open-world) impegnerà certamente per più ore di quanto non potrebbe un gioco contenente, ad esempio, una campagna/storia completabile in una decina di ore e null’altro. Ma come porsi nei confronti di un’eventuale linearità fin troppo evidente? Non è forse più “consistente” un titolo con meno contenuti, ma con un impianto narrativo capace di lasciare veramente il segno nel giocatore, sia anche per una manciata di ore?
Sareste più felici di spendere 60 euro (o qualunque cifra) per un
Just Cause 2, fin troppo ricco di obiettivi e sfide per essere completato al 100%, o un’esperienza autentica, seppur più breve, come
Vampyr? Certo, la considerazione di un videogioco può cambiare di utente in utente. A prescindere dalla sua effettiva qualità e “durata”, se un videogioco piace fa ovviamente pensare di aver fatto un buon investimento. Tuttavia
rimane l’esigenza di educare al valore del singolo prodotto, dove lo scopo primario del videogioco sarebbe sì intrattenere, senza tuttavia dimenticare una concreta capacità di lasciare un segno. In una parola,
esperienza.
Il videogioco. Prodotto di massa o bene di lusso? Entrambi.
Prodotto di massa, perchè mai come prima dell’avvento del digitale il videogioco è divenuto economicamente più accessibile, oltre che diffuso.
Bene di lusso, perchè obiettivamente superfluo, al pari di tutti i prodotti legati,
de facto, all’intrattenimento. Da quest’ultimo aspetto, in particolare, sorge l’illegittimità della pirateria.
Ma andiamo nel dettaglio.
La motivazione di matrice economica è la più facile da confutare. Posto che 50-70 euro per un singolo titolo possono essere obiettivamente non alla portata di tutti, esistono soltanto i day-one? Quanto deliberatamente si ignora il fatto che è sufficiente aspettare 1-2 anni per vedersi un titolo (fatta eccezione per
Nintendo, coff coff) deprezzato anche della metà, se non di più? E non si venga a dire che non ha senso. A meno di aver passato 10 ore al giorno (per anni) a giocare,
tutti hanno senz’altro “lacune” in senso videoludico. Fior di titoli belli e importanti (magari sconosciuti ai più), non giocati e rinvenibili a prezzi popolari, con cui allietare l’attesa delle ultime uscite.
Non che ci sia niente di male, tuttavia, ad acquistare a un day one. Se uno può e vuole permetterselo, chi potrebbe mai biasimarlo.
L’intento è quello di far venire alla luce le imbarazzanti contraddizioni che animano l’atto di piratare, soprattutto i giochi più recenti. Dall’inizio del 2019 ci sono stati già diversi casi di titoli craccati poco tempo dopo l’uscita, come quello di
Resident Evil 2 citato nell’intro, dove a nulla è valso l’apporto difensivo di
Denuvo. Laddove invece gli
indie sono solitamente meno flagellati dalla pirateria per via di una minore “appetibilità”,
l’atto di piratare giochi triple A per ragioni economiche costituisce l’apoteosi dell’incoerenza.
E’ come il discorso di chi acquistava smartphone di ultima generazione, salvo poi ricorrere a squilli perchè perennemente senza credito.
Se ci si può permettere un PC di fascia media o alta, gli unici in grado di riprodurre anche solo decentemente certi giochi, automaticamente
non si può additare l’indigenza quale scusante per piratare videogiochi. E’ chiaro che si parla prevalentemente della piattaforma che più di tutte soffre il fenomeno della pirateria. Ed è qui che si concentra una
resistenza culturale nell’atto di considerare l’acquisto di un videogioco quale buon investimento. Sono infatti assai comuni gli utenti che pur non battendo ciglio nell’atto di spendere migliaia di euro in componenti hardware,
non concepiscono l’idea di dover pagare per un “gioco”. Anche se dovesse costare quanto un pacchetto di sigarette.
Sappiamo cosa deve essere fatto: tutto ciò che manca è la volontà di farlo.
Cosa, dove e perchè.
Appurate le contraddizioni e l’inconsistenza delle scusanti di natura economica, passiamo a quelle che vedono la
pirateria come una sorta di anticamera a un eventuale acquisto.
Una cosa è certa, i tempi sono cambiati. Non abbiamo più bisogno delle riviste specializzate rinvenibili in edicola, con magari in allegato
CD-ROM contenenti
demo dei giochi più
in del momento(di allora).
L’uso stesso delle demo è andato via via a rarefarsi sempre di più. Parallelamente, tuttavia, sono nati o si sono diffusi maggiormente altri
strumenti in grado di fornire allo stesso modo le indicazioni necessarie. Non tanto (o non solo) per comprendere la qualità di un videogioco in sé, quanto invece se può essere o meno di nostro gusto.
Trailer, immagini,
gameplay, recensioni,
walkthrough… Una comparazione e un’analisi delle varie
“fonti” disponibili a tutti via internet mette inappuntabilmente nelle condizioni di valutare la convenienza di un acquisto. Oltretutto via pirateria non si entra in possesso di una
demo, e dunque di una piccola parte del prodotto finale. Viceversa
si ottiene il gioco completo, passando tuttavia per procedimenti (talvolta impegnativi) al fine di farlo funzionare. Per quanto uno possa sostenere il contrario, chi garantisce che una volta “provato” il gioco, esso verrà poi acquistato legalmente dall’utente? Avendo a disposizione un gioco completo di tutto punto, dopo aver verificato un effettivo gradimento, quale oggettiva ragione potrebbe mai spingere ad aprire i cordoni del borsello?
Va bene, la pirateria è immorale, oltre che illegale. Ma allora uno che dovrebbe fare, oltre ad attendere eventuali cali di prezzo?
E’ presto detto.
Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere.
Per chi non lo sapesse,
esistono numerose soluzioni sia per i giocatori occasionali che per quelli abituali. Soluzioni economicamente vantaggiose, legali al 1000% e facilmente fruibili. E’ chiaro che dal discorso esulano, tra i vari siti rivenditori di key, sia quelli illegali che quelli teoricamente affidabili ma che in più di un’occasione si sono ritrovati al centro di scandali legati all’origine illecita di alcune key vendute, come ad esempio
G2A.Com. Per quanto concerne la vendita di
bundle o giochi singoli, non esistono solo i vari store ufficiali, parlando di PC, protagonisti di saldi periodici, come
Steam o
Origin.
C’è da considerare la vantaggiosità di siti come ad esempio
Humble Bundle,
Fanatical,
Instant Gaming,
Indiegala. Alcuni di essi vendono persino chiavi riscattabili su console, tutte ottenute legalmente dagli sviluppatori o da rivenditori autorizzati, al pari di quelle per PC. E non dimentichiamo la recente nascita di servizi in abbonamento, quali
PS Now o
Bartlex, che si configura come una sorta di Netflix dei videogiochi.
Ha senso sbattersi sia per trovare il download pirata di un gioco, sia per farlo funzionare? Specie quando con pochi euro diventa possibile acquistare fior di giochi? Il costo di un aperitivo al bar davvero non vale l’atto di risparmiarsi tanti sbattimenti, rimanendo inoltre in una dimensione legale e morale? E’ legittimo arrecare danno al mercato videoludico pur essendo i suoi prodotti oggettivamente accessibili a chiunque?
Queste sono le domande che uno dovrebbe porsi prima di piratare un gioco.
Il senso (l’unico) della pirateria.
Un'opera di salvaguardia.
Pensiamo a un altro noto store online,
Gog, il cui nome sta letteralmente per
“Good Old Games”. Esso è arrivato a vendere nel suo store anche i giochi più moderni, tuttavia è diventato noto (e si è specializzato) proprio per il fatto di avere in catalogo numerosi giochi rinvenibili solo su vecchi
CD-ROM. Non proprio il massimo per un’epoca che si sta muovendo verso l’accantonamento dei lettori ottici, sia nei PC che nelle console.
La pirateria videoludica può, nonostante tutti i discorsi che sono stati fatti, comunque esercitare
una funzione virtuosa, se non addirittura salvifica. Non si parla né di giochi
abandonware né di quelli divenuti
open source, ma semplicemente di quelli che, al netto di una remastered o di un remake, farebbero la gioia di utenti e sviluppatori (in caso di vendite cospicue). Vecchie perle, talvolta dimenticate, che vengono mantenute in vita mediante la pirateria, il cui esercizio può ispirare una vera e propria
resurrezione di glorie videoludiche datate. Qui giace l’unica connotazione positiva della pirateria, una pratica che altrimenti resta, senza se e senza ma, dissoluta e disonesta, oltre che ipocrita.
Una sorta di contrabbando, finalizzato tuttavia alla conservazione e al mantenimento di prodotti altrimenti destinati all’oblio.
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