Andrea Sorichetti

Speciale Sulle tematiche LGBT in NieR Replicant

Quando ho scritto la recensione di NieR Replicant non ho potuto che sottolineare come l’opera di Yoko Taro contenga una delle migliori rappresentazioni della storia del medium per quanto riguarda i personaggi LGBT. Il cast dei personaggi è uno dei più grandi punti di forza di NieR, credo sia uno dei pochi punti fermi di tutta l’opera. Ho anche sottolineato come Kainé rappresenti forse il miglior personaggio mai scritto da Taro in tutta la sua carriera. E ne rimango fortemente convinto, anche se il remake appena uscito del gioco è affetto da un piccolo problema davvero fastidioso e davvero senza senso. Prima di arrivarci, però andiamo per gradi.

I personaggi LGBT in NieR Replicant

Intersessuali Sono quelle persone che presentano caratteri sessuali primari e/o secondari che non sono definibili né come pinamente maschili o femminili. Esistono varie tipologie di intersessualità, tra cui l’ermafrodtismo.

I due comprimari di NieR Replicant sono tra i migliori esempi di personaggi LGBT che si siano mai visti in un videogioco. Lo erano già undici anni fa, in un epoca pre-Gamergate in cui certe tematiche facevano molto meno rumore, e mai come ora questo remake ha l’occasione di fare scuola in tal senso. Da un lato c’è Kainé, personaggio intersessuale che viene raccontato con una delicatezza e un’onestà veramente fuori dal comune. Dall’altro c’é Emil, la cui omosessualità viene rivelata anch’essa con grande rispetto e una cura sorprendente. Sono entrambi degli emarginati che hanno sofferto per tutta la vita a causa delle discriminazioni di cui sono stati soggetti, e queste esperienza dolorose ne hanno plasmato irrimediabilmente il carattere.

Kainé è scappata dal proprio villaggio a causa delle violenze subite da bambina. L’isolamento assieme alla nonna l’ha temprata e l’ha resa, almeno in superficie, insensibile alla cattiveria altrui. Le è toccato fare i conti con il proprio corpo e con la propria diversità, imparando a fatica ad accettare il dolore e la sofferenza relativi alla propria infanzia. Il suo abbigliamento estremamente sexy è una fortissima presa di posizione, una forma di empowerment sbattuto in faccia a chiunque l’abbia esclusa e mortificata. Emil, invece, è poco più che bambino quando si ritrova privato del proprio corpo. Una sorte difficilissima da accettare per chi per tutta la vita ha vissuto in solitudine a causa del potere pietrificante dei propri occhi. Il suo dolore è il dolore di tutti gli emarginati che, come lui, hanno sofferto in silenzio. Come sua sorella, trasformata in arma di distruzione di massa.

Il legame degli emarginati

C’è un momento, in NieR Replicant, in cui la tematica LGBT ci esplode davanti agli occhi. È un’esplosione silenziosa, percepibile solo da chi ha la sensibilità e l’accortezza per rendersene conto. È un momento che arriva poco dopo il timeskip che divide in due il gioco: Kainé ed Emil salvano il villaggio del protagonista, ma il popolo ha paura di loro. Sono spaventosi, sono strani. Sono diversi. Vanno allontanati. I due accettano e assecondano il volere degli abitanti e si accampano fuori dalle mura. È gente che ha vissuto reclusa per tutta la vita, per loro si tratta di una situazione tristemente normale, solo che questa volta condividono la propria diversità. Kainé insegna ad Emil ad accettare sé stesso, il proprio corpo e la propria unicità, anche se questa comporta dolore e sofferenza.

È un momento bellissimo, a cui assistiamo da lontano senza che il gioco ci permetta di intrometterci. È il primo vero momento in cui sono riuscito ad entrare davvero in sintonia con entrambi e a capirne le sfaccettature. Una donna intersessuale ed un bambino omosessuale odiati ed allontanati da tutti che trovano l’una nell’altro la forza per andare avanti e per capire sé stessi. Non è un caso che poco dopo Emil trovi il coraggio di ammettere timidamente il proprio amore per il protagonista, anche se in maniera estremamente velata.

Tutto bellissimo, non fosse che un trofeo di NieR Replicant invalida la sua ottima trattazione delle tematiche LGBT

Arriviamo finalmente al nocciolo della questione. Come ho già detto, NieR Replicant fa un lavoro pazzesco nella rappresentazione più onesta possibile dei suoi personaggi LGBT. C’è, però, un trofeo aggiunto nel remake che rischia di squalificare tutto il discorso fatto finora. In una sezione avanzata del gioco è possibile tentare di sbirciare sotto la gonna di Kainé; se l’azione viene ripetuta dieci volte Kainé prenderà a calci la telecamera causando un game over e sbloccando un trofeo che premia i giocatori “che hanno avuto il coraggio di cercare di scoprire il segreto di un personaggio”. Una trovata di cattivo gusto, soprattutto se messa a confronto di quanto detto finora.

Chiariamo una cosa: nessuno sta agitando forconi in piazza chiedendo la testa di Yoko Taro. Anche perché, probabilmente, l’idea non è sua quanto di Square Enix, che sembra aver inserito il trofeo come piccolo easter egg indirizzato ai fan di NieR:Automata, in cui era possibile ottenere un trofeo identico dopo ave tentato di sbirciare sotto la gonna di 2B. In Automata, però, quella micro meccanica serviva ad affermare 2B come personaggio femminile forte che rifiutava le “molestie” dei giocatori. Una sorta di calcio in faccia al Male Gaze. Riproporla in NieR Replicant non solo rischia di ridimensionare l’importanza affidata alle tematiche LGBT, ma ne intacca anche il significato affidatogli in Automata.

Basterebbe solo un po’ di cura in più

È evidente, almeno per me, che dietro a questa scelta non ci sia malafede. Ci mancherebbe. E di fatto si tratta “solo” di un trofeo all’interno di un videogioco che, almeno sotto questo punto di vista, è del tutto inattaccabile. Anzi, come già detto, rappresenta un’eccellenza assoluta. Resta il fatto che si tratti di uno scivolone anche piuttosto fastidioso, per quanto, almeno nelle intenzioni, del tutto innocente. È anche vero che gli achievement possono diventare un’elemento di game design dal forte impatto narrativo, e non andrebbero sottovalutati in questo senso. Per chiarimenti in tal senso citofonate pure a Nomada Studio, che con Gris ha fatto un lavoro pazzesco da questo punto di vista.

In un mondo che presta sempre più attenzione ad argomenti simili era difficile che non venisse notato. Anche e soprattutto perché stride fortemente con il contesto in cui si inserisce, ovvero quello di un videogioco che già undici anni fa mostrava un coraggio ed una grandissima competenza in materia. È possibile che Square Enix decida di prestare ascolto ai feedback in questo senso, mettendoci una toppa. A dire il vero me lo auguro, perché sarebbe un bellissimo messaggio lanciato alla propria community, oltre che un’ottima occasione di confronto per migliorarsi.

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