Il Decreto Rilancio, la manovra del governo per la ripartenza post-Covid, include anche un fondo di 4 milioni per gli sviluppatori di videogiochi. Qualcuno ha storto il naso, come Repubblica, ma come stanno le cose davvero?
Nell’articolo di Riccardo Luna, vengono citati una serie di dati in cui si descrive come la situazione del mercato dei videogiochi non abbia risentito dell’emergenza. I dati sono indiscutibilmente veri e giusti. Tuttavia, quei dati si riferiscono solo in minima parte al mercato italiano, e, per altro, solo dal punto di vista del consumo.
Animal Crossing ha venduto 13,5 milioni di copie, vero. Ma non è un prodotto italiano. Microsoft ha aumentato gli abbonati al Game Pass in tutto il mondo. Ma ancora una volta, non è un prodotto italiano. Lo show del rapper Travis Scott è, neanche a dirlo, americano. Quindi quando qualcuno si stupisce che l’industria dei videogiochi abbia ricevuto un fondo di investimento di ben (sic!) 4 milioni, forse dovrebbe guardare la situazione dell’industria italiana, e non solo del mercato globale.
Fa niente, lo facciamo noi. Partendo da questo studio sull’industria dei videogiochi. È una ricerca del 2018, promossa dall’allora AESVI, oggi IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association). Anche se non riflette la situazione dell’ultimo anno e mezzo, siamo sicuri che le cose al momento non siano molto diverse rispetto a come erano nel 2018 (Nonostante Daymare 1998 abbia fatto discretamente parlare di sé). Speriamo di poterne parlare diversamente l’anno prossimo, dopo aver visto gli effetti sul mercato italiano dei videogiochi di questo Decreto Rilancio.
Il mercato dei videogiochi non conosce crisi, ma l'Italia è un caso a parte: ecco i perchè dietro il Decreto Rilancio
Partiamo dai numeri: il censimento rivela che le software house italiane a tutto il 2018 sono 106, distribuite per il 57% nel Nord Italia, per il 24% al Centro e solo il 18% ha sede nelle regioni del Sud e nelle Isole. Fin qui niente di strano, si tratta di dati in linea con i trendnazionali. Ma i dati si fanno interessanti quando si analizzano le dimensioni delle imprese. Si evidenzia, infatti, come il 63% delle imprese abbia meno di cinque addetti, praticamente delle microimprese. Addirittura, il 35% del totale ha meno di due lavoratori. Parliamo quindi di un mercato fatto in prevalenza di liberi professionisti. Per altro, solo il 7% delle software house ha più di 20 addetti.
Fin qui uno potrebbe anche obbiettare che un centinaio di imprese che sviluppano videogames possano soddisfare il mercato nazionale, e che quindi si possa parlare di mercato in crescita, ma comunque produttivo. Tuttavia, guardando il fatturato ci accorgiamo che la situazione non è così rosea. Il 66% delle imprese fattura meno di 100.000€ l’anno, mentre il 23% tra i 100.000 e i 500.000€. Sono cifre ben diverse da quelle citate nell’articolo di Riccardo Luna.
La situazione poi diventa ancora più critica se osserviamo quali sono i lavori svolti in prevalenza da queste software house. Meno di un’azienda su quattro sviluppa effettivamente videogiochi destinati ad essere giocati sui pc o sulle console di casa. La stragrande maggioranza campa sviluppando prodotti destinati ad altre imprese (detto in parole povere B2B), in progetti nemmeno dedicati al gaming. Principalmente per il marketing e la comunicazione, la formazione e altri ancora.
Continuiamo la discesa nell’abisso, come dei novelli Dante del videogioco (no, non QUELDante) e parliamo di Publishing. Nel 2018, il 65% dei videogiochi pubblicati veniva fatto tramite self-publishing. Che tradotto significa pagare da soli lo spazio su Steam o sui marketplace delle piattaforme mobili (queste infatti le più usate da chi pubblica in Italia) e piazzare il proprio prodotto, sperando di avere la classica botta di culo e finire in tendenza o quasi. È l’annoso problema della discoverability, di cui il nostro gemello cattivo si occupa spesso.
Non che osservando i finanziamenti le cose vadano meglio, anzi. Ormai giunti all’ultimo girone infernale, possiamo constatare come l’88% (Avete capito bene, l’OTTANTOTTO PERCENTO) degli sviluppatori si autofinanzi.
Fino ad adesso vi abbiamo ubriacati di numeri, ma se siete arrivati fino a qui possiamo tirare le conclusioni insieme.
Cosa ci dicono tutti questi numeri? Ci raccontano di un mercato frammentato, isolato, composto in prevalenza da piccolissimi gruppi di persone che per sbarcare il lunario devono occuparsi di altro che non sia la pubblicazione del prodotto di intrattenimento. Capiamo che le aziende fanno fatica a pubblicare e a trovare i finanziamenti. In aperto contrasto con quello che ci raccontano i dati mondiali, il mercato dello sviluppo in Italia non è fiorente (anche se è in crescita) e non è forte.
È una realtà piccola, che va preservata e protetta, anche in situazioni come queste. Tanto quanto le altre realtà. In Italia abbiamo assistito all’esplosione del mercato videoludico da consumatori e da spettatori, senza prendere quel treno che ci è passato di fianco a grandissima velocità, e che ora rischia di allontanarsi pericolosamente. Ecco perchè questo Decreto Rilancio potrebbe essere provvidenziale per il mercato italiano dei videogiochi.
Un mercato frammentato, isolato, composto in prevalenza da piccolissimi gruppi di persone
Per questo quel fondo di investimento di 4 milioni se usato bene è una manna dal cielo. Non sono nemmeno tantissimi in termini assoluti, ma sono soldi preziosi per le dimensioni del mercato attuale. È la prima vera spinta fatta da un qualsiasi governo al mercato del videogioco. È prima di tutto un riconoscimento di esistenza, che non è poco. Fino ad oggi nessuno ha mai considerato gli sviluppatori di videogiochi italiani. Sempre per fare un piccolo confronto, nel 2016 Angela Merkel (cancelliera del governo tedesco) ha aperto la Gamescon di Colonia con quaranta minuti di discorso pubblico e un’ora abbondante di giro per la fiera.
Quindi ben vengano questi fondi. Sì, nonostante tutti gli altri problemi, come non manca di sottolineare qualcuno nel suo articolo. Sperando che siano usati davvero in maniera efficiente e consapevole e, soprattutto, che non restino un caso isolato, ma che diano il via ad un settore dalle fortissime potenzialità che ancora non abbiamo esplorato se non in una minima parte.
E magari, come Dante, usciremo anche noi a riveder le stelle.
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