Luca D'Angelo

Speciale One Piece, la storia raccontata dai videogiochi

Una storia unica di fumetti e videogiochi: One Piece.

Per raccontare tutta la storia di One Piece ce ne vogliono di videogiochi. Il publisher Bandai Namco Entertainment, ormai un’autorità in fatto di tie-in, cerca spesso di dare nuova vita alla saga di Eiichiro Oda. E non solo a quella: appena negli ultimi tre mesi gli scaffali hanno visto l’arrivo di Dragon Ball Z: Kakarot, My Hero Academia 2 e One Punch Man – A Hero Nobody Knows, questo il primissimo per l’omonima serie. Tutti o quasi picchiaduro, tutti videogiochi tratti da fumetti eredi degli amati Dragon Ball e Naruto che si sono sempre fatti rispettare. La casa però non è nemmeno totalmente nuova ad altri generi, come l’action adventure alla base del già citato Dragon Ball Z: Kakarot, né agli esperimenti originali. Si sono poi saputi adeguare alla meccanica dei DLC che ormai spadroneggia sul mercato, anche se forse non sempre in modo gradevole.

Esperimenti originali, poi, ne hanno fatti proprio i videogiochi tratti dal fumetto di Eiichiro Oda. One Piece Pirate Warriors 2, ad esempio, si discostava dei videogiochi che lo precedevano immaginando una storia nuova e non canonica. Una pericolosissima arma assoggetta i pirati di Cappello di Paglia, eccetto il capitano e la navigatrice Nami (per la prima volta non la causa del guaio), a un’armata guidata da Barbanera. Nasce un’alleanza tra i due e altri grandi nomi della serie, per salvare i compagni e sconfiggere Teach prima che prenda il controllo del mondo.

Ma le critiche proliferano sulle trame originali, e le innovazioni apportate alle meccaniche (come l’ambizione del Re) per molti finivano in secondo piano. Prima di allora Unlimited World Red, nato 3DS e rimasterizzato più volte, riusciva a farsi rispettare anche per la trama non canonica.

Pirate Warriors 2 ha dalla sua una trama originale che per definizione non può essere tagliata.

storia dei videogiochi one piece
I videogiochi ed i tie-in Una vecchia storia d’amore.
Pur coprendo la storia quasi nel totale fino ad allora conosciuto, il primo dei musou soffriva infatti un non trascurabile taglio di trama. Vuoi che per il setting si raccontava a Brook dell’ingresso in ciurma dei singoli membri, alcune saghe intere tra cui la stessa Thriller Bark non ce l’avevano fatta a ritagliarsi un posto nel gioco. E questo si sente, se già ogni saga si gioca per metà e tre quarti dell’altra sono raccontati in stile fumetto. L’hanno scampata solo le scene topiche, in cui una lacrimuccia ai fanboy scappa sempre.

Il problema è che i fanboy (quale sono) non tollerano una trama così bella tagliata a metà. Io lì dentro ci volevo anche la saga dei Tobiuo Riders, per quanto corta e fine a sé stessa fosse. Qui si sfocia nell’eterna disputa irrisolta dei videogiochi tie-in: devono essere fedeli al cento per cento? Possono discostarsi di quel poco che basta a crearsi un posto proprio? Chissà, ma io quel taglio proprio non ce l’ho fatta a ignorarlo. Quindi nemmeno il salto generazionale a One Piece Pirate Warriors 3 mi ha soddisfatto fino in fondo. Considerando poi che la trama era più lunga ma di cutscene in qualche modo ce n’erano ancora meno.

Mi chiedo spesso se per cutscene non si intendano i pezzi tagliati per far posto a un video di venti secondi.

Era bello a vedersi, la trama sembrava esserci quasi tutta (tranne qualche saga minore… addio, Duval) ed aveva anche ampliato il roster. Ma eccola lì in agguato di nuovo: la trama (semi)originale. Certo, perché per la prima volta nei videogiochi di One Piece si toccava una storia ancora non conclusa – quella di Dressrosa. Il finale diventa quindi una gran festa di personaggi che appaiono a caso. Forse chi ha guardato Stampede, l’ultimo film, capirà anche il pun intended.

Giacché parlo del diavolo chiariamoci: se Stampede è piaciuto, a me per primo, è innanzitutto perché è una tamarrata piena di botte da orbi (e doppiato coi nomi originali). Il finale di Pirate Warriors 3 quindi è tutto sommato un modo gradevole di interrompere una saga non terminata e buttarci dentro tanto fan service. Lo stesso che muove giochi come J Stars – Victory VS e Jump Force, il primo passato un po’ in sordina e il secondo… tristemente noto.

I videogiochi di One Piece sono una storia di picchiaduro ed esperimenti assortiti.

One Piece è una serie per cui non puoi fare videogiochi ripercorrendo sempre tutta la storia, questo è vero. Si rischierebbe di scadere in un trito e ritrito come fu nel caso di alcuni giochi di Dragon Ball. Pirate Warriors 3 fu però seguito dopo non molto tempo da Burning Blood, un tentativo abbastanza becero di riportare la serie in un picchiaduro. Un gameplay che implementa sia le peculiarità dei frutti del diavolo che dell’ambizione, ma con un altro roster sfigurato e una modalità storia a saga unica.

Una sola saga sul totale, ridotta all’osso ed esplorata da quattro punti di vista differenti. Senza sfociare troppo in gusti personali, il gameplay single player rischia di scadere nel ripetitivo, ma per fortuna le interazioni tra determinati personaggi usati insieme riescono sempre a strappare i loro sorrisi. (Provate una lotta tra Sanji e una donna qualunque. Prego.)

Poi abbiamo visto tornare Luffy. Da solo, però.

storia dei videogiochi one piece
One Piece senza volume. Esiste davvero, come lo One Piece.
Passati gli anni, nel 2019 arriva One Piece World Seeker, un action RPG in cui si vestono solo i panni del capitano e che esplora un genere nuovo per i videogiochi tie-in della serie. Percorre una trama originale, con una grafica decisamente impegnata nonché una mappa open world dopo tante avventure tra quattro mura chiuse. Un sistema di combattimento tutto sommato ben pensato… peccato soltanto che il gioco sia silenzioso da dar fastidio. Il che, a mio parere, cozza abbastanza con la natura stessa di One Piece, sempre così vivace e chiassoso. Specie se si vive l’avventura nei panni di uno dei più chiassosi dei personaggi.

Una nota stonata che, tuttavia, forse si sposa meglio con l’open world e il realismo generale del gioco. Realismo che per fortuna se la cava mille volte meglio di quello di Jump Force

Alla fine qui, come nei Pirate Warriors e un po’ in tutti i videogiochi tie-in di One Piece, si apprezza ciò che c’è alla base. A livello estetico si sente la mancanza dei costumi, che nella serie originaria cambiano così spesso da avere quasi vita propria all’interno degli scenari. Tutti quei colori che risaltano addirittura in videogiochi come One Piece Treasure Cruise, il gioco mobile per eccellenza tratto dalla saga, dalle meccaniche banali ma mentalmente molto impegnativo. Treasure Cruise fa propria l’opera, ripercorrendo tutta la storia e riuscendo a infondere le personalità dei protagonisti negli attacchi speciali dei personaggi collezionabili. A rifletterci bene, One Piece è innanzitutto questo: personaggi dall’esplosiva personalità, che li distingue uno dall’altro e lascia il segno in chi vede.

Una generazione di videogiochi tutto sommato al passo con la storia di One Piece.

Come negare quindi che nonostante le sbafature gli scenari Pirate Warriors siano i più pieni della vita che pervade la saga. Nemici che vanno e vengono da ovunque, così velocemente che per poco non si riesce a distinguerli, mentre si fa strada sulla mappa uno dei famosi boss finali della serie. Nel futuro dei videogiochi brandizzati One Piece si spera di sicuro che la storia venga ripercorsa più nel dettaglio. Più o meno come succedeva con gli Ultimate Ninja Storm, tie-in della serie Naruto. Ce la faremo: passo dopo passo, saga dopo saga, arriveremo alla fine, e magari potremo avere un gioco con tutta la storia da capo e moltissimi personaggi.

E insomma siamo alle solite. Annunciato un Pirate Warriors, mi rodo le budella perché so quanto mi arrabbierò, e mentre lo penso ho già fatto spazio per l’ennesima collector’s edition.

Sarà che ‘sto One Piece proprio non me lo tolgo dalla testa?

#LiveTheRebellion