Stefano Calzati

Speciale Avengers: Endgame e l’inutilità della critica

Quando ci si trova davanti a eventi di questa portata, ogni opinione professionale è superflua.

Dalle ore 21.00 di martedì sera, ora indicativa in cui le proiezioni stampa dell’atto conclusivo del Marvel Cinematic Universe terminavano, è iniziata la corsa all’opinione, al giudizio, da pubblicare rigorosamente a mezzanotte e “zero-uno” del giorno dopo, esatto momento in cui la maledizione dell’embargo sarebbe stata infranta. Ed ecco che allo scoccare della fatidica ora, come Cenerentole del turno di notte, la critica ha cominciato a diffondere le sue opinioni a un pubblico che aveva già deciso mesi prima se andare in sala o meno. Perché Avengers: Endgame è il culmine (non qualitativo, quello lasciamolo a Infinity War) di un fenomeno cinematografico di massa sulla cresta dell’onda da 11 anni, da quell’Iron Man che rilanciò definitivamente Robert Downey Jr. e tutto il movimento cinecomic. È il cinema popolare al suo meglio, non il classico spartiacque generazionale su pellicola, ma una saga con cui il pubblico è cresciuto e con lui gli attori coinvolti, pezzi da novanta che in Endgame hanno lasciato il cuore e dato tutto, anche oltre la professione.

Uniti si fa la storia

Durante le tre ore in cui l’opera spara in faccia allo spettatore colori, CGI, emozioni, ho pensato continuamente di stare assistendo a un pezzo di storia di un’arte che amo alla follia. Inutile fare i sofisticati, io stesso preferisco un altro tipo di cinema, ma nella sua splendida imperfezione Endgame riesce a raccontarci un’umanità profonda, vera, celata da armature, costumi ed effetti speciali, come il trucco eccessivo di una donna che sarebbe stupenda anche di primo mattino. Una prova di recitazione corale straordinaria, quasi fuori controllo, che riesce a far sentire il pubblico parte integrante dello spettacolo, parte di quel mondo decimato da Thanos in attesa di un’ancora di salvataggio. In balia delle onde di un ritmo altalenante, sincopato, dispari, la mente ripercorre gli ultimi 11 anni, una pellicola diventano 22, o viceversa, i ricordi si sciolgono davanti agli occhi e si sovrappongono alla proiezione in presa diretta. Non c’è discussione su alcun aspetto tecnico o narrativo che tenga (il livello è sempre quello cui ci hanno abituato Disney e Marvel, nel bene e nel male), esiste solo l’emozione fomentata dall’attesa della meraviglia, il gusto trovarsi in sala con altre decine di appassionati, prima che critici, che applaudono deliziosamente sguaiati, genuinamente esaltati, davanti a scene che sono già storia, iconiche, come fosse un rito collettivo capace di risvegliare un’epica che si perde nei millenni, quella dell’essere umano eletto a eroe per salvare il suo popolo. È un legame profondo quello che si è creato con questi personaggi, perché hanno condiviso con noi una buona fetta di vita e vederli combattere, soffrire, fisicamente e umanamente, con questa intensità, è qualcosa che fa quasi commuovere. Lo stesso Thanos, colui che dovrebbe essere odiato, il “cattivo”, è un personaggio incredibile, sfaccettato, tormentato, capace di farsi carico di un compito dalla portata divina, follemente determinato e infine vincitore, talmente umano nella sua brutalità, distrutto dai suoi stessi sacrifici, da farsi voler bene.

Nonostante le gag e i loro tempi comici talvolta un po’ sballati e stonati, la psicologia dei personaggi, il loro vissuto, i loro (super) problemi, riescono ad arrivarci sempre chiari, penetrando in profondità nell’epidermide, personale come sociale. È qualcosa che più di tutte le opere artisticamente più rilevanti porta la massa a riempire le sale, ancora prima dei trailer, molto prima di una recensione che non cambierà le aspettative. È il cult popolare che diventa specchio di noi stessi, quello fatto della stessa sostanza di Ritorno al Futuro, Jurassic Park, Harry Potter o Il Signore degli Anelli, dei sogni che annullano le distanze tra realtà e finzione, abbattendo ogni muro e creando coesione, dibattito, amore per il grande schermo. Quell’amore che diventerà per Endgame il riconoscimento più brillante, più dorato di qualsiasi eventuale Oscar. È in quel momento che la critica viene polverizzata con uno schiocco di dita nel suo principale scopo, quello di informare sulla qualità di un prodotto, sulla sua valenza culturale, incapace di elevarsi al di sopra di esso per venirne inglobata dall’entusiasmo generale. Davanti a un foglio bianco di Word, obbligati a scrivere un pezzo di storia del cinema, negli occhi quella battaglia, i battiti ancora accelerati a meno di essere totalmente privi di capacità empatiche. È quello il momento di rallentare, ignorare gli embarghi, lasciar sedimentare il sentimento popolare per qualche giorno. Guarderete Endgame, vi esalterete e ne parlerete, scolpendolo nella storia, memorizzandone momenti clamorosi e battute da trasformare in citazioni, vivendolo oltre lo schermo. Se ancora pensate che il Marvel Cinematic Universe sia una baracconata (legittimamente eh), osservate la vostra bolla social, guardate il potere del cinema in azione sulle persone, l’importanza del kolossal come benzina per alimentare tutta la fabbrica dei sogni.

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