Così suona lo Sprawl. Così suona la synthwave. Così suona Gridd Retroenhanced

Città sporca, infame, carnivora, synthwave, l’inquinamento che la ricopre come un manto di neve grigiastra, l’odore acre dello smog che si mischia con i mille odori dei cibi cucinati dagli ambulanti agli angoli delle strade. Persone di ogni genere, colore, ceto sociale e intenzione, abitanti di una Babele fuori controllo, marcia, schizofrenica, esasperata dalla tecnologia cui il popolo si fonde, spontaneamente e non. La carne che avvolge il metallo come il virtuale cerca di soffocare il reale, durante il suo coma, con il cuscino del cyberspazio, rifugio sicuro di un’umanità senza Dio, regredita a pulsioni animalesche proprio quando il progresso avrebbe duvuto illuminarla.

C’è chi passeggia, osserva, distaccato e incurante, una cassa che batte sui suoi timpani a comando, senza aiuti esterni, auricolari o cuffie che siano, quasi telepaticamente, attraverso un innesto cerebrale perennemente connesso a Spotify. Quello che sente è il suono metallico eppur sinfonico che perfettamente abbraccia ciò che vede, capace di rendere tutto sintetico, ancora più finto e per questo sopportabile, come se fosse la proiezione di un vecchio film di Ridley Scott o un racconto di William Gibson.

 

Retrofuturismo
La synthwave è una declinazione della musica elettronica che affonda le sue radici proprio in quelle atmosfere li, quelle del cyberpunk, del virtuale tutto neon e sfumature di viola dell’immaginario sci-fi anni ’80, andando a mutare, vent’anni dopo, quel perfetto organismo dance. Tutto nasce proprio dal revival della chiptune dei videogiochi anni ’80, l’epoca delle sale giochi, della fame di futuro da saziare per mezzo della tecnologia, del virtuale, di un codice bianco su nero da compilare amatorialmente per scoprirne le infinite potenzialità, che va a mischiarsi ai conflitti della cultura pop, con il cyberpunk pensato da Gibson, oscuro e pessimista, in contrapposizione alla musica e ai suoi colori, acconciature e abbigliamenti.

 

Gridd Retroenhanced magazine cover synthwave

Copertina a cura di Andrea Chiappino – in esclusiva per Ilovevg

 

Vengono in mente i Dead Or Alive e la loro “You Spin Me Round (Like a Record)” come esempio perfetto di quell’estetica futuristica, esagerata, tutta sintetizzatori e casse, pozzo senza fondo di buon umore, luce di un mondo un po’ ipocrita, figlia di una generazione che non voleva problemi o cercava in tutti i modi di nasconderli. Dalla riscoperta di questo periodo, di quel mood, ricchissimo di sperimentazione, novità e mode mai del tutto passate, è nata quasi spondaneamente la synthwave, anche detta “outrun”, per ciò che l’ha ispirata, quell’OutRun, la meraviglia di Yu Suzuki, altra capsula del tempo capace di raccontarci gli 80s dell’opulenza e del desiderio di libertà, la voglia di bella vita immersi in un Pantone di colori caldi, ma anche delle sue sonorità, dove ogni strumento dell’orchestra SEGA (una soundtrack dalle vibrazioni molto Miami Sound Machine, con tocchi assolutamente caraibici) viene filtrato attraverso le righe di codice per uscirne comunque incredibilmente corposo, pieno, verosimile e mai sminuito, il primo vagito di un vero e proprio sotto-genere concepito dalle limitazioni tecnologiche dell’epoca.

Non è un caso che Kavinsky, forse il DJ che più di tutti ha portato la synthwave vicina al grande pubblico (con la splendida Nightcall inserita come main theme del bellissimo Drive di Nicholas Winding Refn) , tenendosene al contempo sempre a distanza di sicurezza, abbia inserito rimandi all’opera AM2 praticamente in ogni suo lavoro, dai titoli degli album a quelli delle canzoni, come Testarossa Autodrive, parte, tra le altre, dell’immensa colonna sonora di Grand Theft Auto IV. Uno stile sospeso tra giorno e notte, festa e cyber-malinconia, che colpisce duro e trascina le sinapsi dell’ascoltatore nel suo fiume in piena di sensazioni che parte dalla sorgente dei ricordi per sfociare in un sound realmente nuovo e diverso dal resto dell’EDM e della techno. Un DNA sonoro malleabile, che a seconda degli artisti varia i bpm e aggiunge tocchi etnici, quasi a cercare una spiritualità sintetica, asettica eppure illuminante. È il caso dei The Toxic Avengers, punta di diamante della devastante colonna sonora di Furi, opera dei francesi The Game Baker, pellegrinaggio verso la libertà katana alla mano in un mondo cyber-fantasy, prova di meditazione dove la pazienza diventa la più sacra delle arti, capace anche di acuire i cinque sensi e svilupparne altri, abbandonandosi all’istinto pur di vendicarci dei carcerieri. La musica svolge un ruolo importantissimo, diventando l’orchestra sulla quale inscenare la nostra danza di morte, quasi che tutto il gioco si un sottinteso rhythm game, seguendone il flow come quando ci si abbandona alle note di una traccia sparata a volume nocivo.

 

 

Pensando anche a Gridd: Retroenhanced, un vero e proprio “singolo” a livello ludico-uditivo, ci si rende conto di come la synthwave sia un anticoagulante capace di fluidificare i pensieri del giocatore, assecondando un gameplay liscio, intuitivo e basato totalmente sulla manualità, i capisaldi su cui il videogioco è nato, tornando, ancora, agli anni ’80. Il discorso si potrebbe allargare anche al totem elettronico cui tutti ci siamo prostrati almeno una volta, quel WipeOut che ha fatto della colonna sonora d’autore una religione, comprendendo tutto lo spettro del genere e diventando sostanza stupefacente da assumere per via auricolare, facendo cadere l’utilizzatore in uno stato di esaltazione e assuefazione totale, portando l’organismo a faticare per smaltire massicce dosi di adrenalina una volta fuori dal virtuale, le mani ancora tremanti e le pupille dilatate. Una musica che si insinua nell’organismo e suona seguendone il bioritmo senza pericolo di rigetto, esattamente come gli innesti che dapprima ci ha raccontato la letteratura, facendoceli immaginare prima che vedere sul grande schermo o col pad in mano.

#LiveTheRebellion