La festa dell’Immacolata è arrivata anche quest’anno, e insieme a lei un altro speciale della Madonna (anzi, della “eh la Madonna“) a cavallo tra sacro e profano!

L’anno scroso vi abbiamo intrattenuto con uno speciale ai confini dell’arte, ormai nella storia di I Love Videogames, dove giochi particolarmente ostici e infami fecero scendere diverse madonne sulle nostre pagine. Oggi prendiamo ispirazione dal mitico Renato Pozzetto e dal suo ormai iconico “eh la Madonna“, espressione di stupore declinabile in mille situazioni diversi, che sta bene su tutto, tipicamente settentrionale ma ormai diffusa grazie alle sue pellicole in tutto lo stivale. Un “eh la Madonna” che qui vogliamo utilizzare per dare enfasi a situazioni videoludiche davvero sorprendenti che abbiamo vissuto durante la nostra carriera in un loop di richiami alla Vergine che farà fischiare più di qualche orecchio nell’alto dei cieli. Apoteosi della bellezza virtuale, Everest delle esclamazioni di stupore (senza sconfinare nella bestemmia virtuale), basilico sulla margherita della quotidianità ludica di ognuno di noi. Insomma, preparatevi a uno speciale della Madonna, usando il video qua sotto come colonna sonora, impreziosito da un’apposita scala di valutazione dello stupore pensata alla cazzo ad hoc: la scala Pozzetto!

The Witcher 3
uno Strigo contro l’apatia

Per approfondire:
The Witcher 3: Wild Hunt
Eh la Madonna che cura (in tutti i sensi)
È un dopo pranzo come ce ne sono stati tanti altri in quel maggio 2015, ed è un po’ che un sospetto che mai avresti pensato di nutrire ti frulla nel cervello: i videogiochi sono diventati un’abitudine? O meglio, stai continuando a giocare “perché ci credi” oppure perché è diventato una specie di dopolavoro sulle pagine di I Love Videogames? Non sapere se quella che fino a qualche mese prima era fuori dubbio la tua passione preferita (beh, a pari merito con le lasagne) è ancora tale è un pensiero straniante, ma sarà capitato anche a qualcuno di voi se state attraversando quella fase di transizione che dai 20 anni vi avvicina sempre di più ai 30. Per fortuna, anche solo per caso, il mercato ogni tanto ci ricorda perché giochiamo ancora, perché nonostante conviviamo da anni con il giudizio ed il pregiudizio di chi non bazzica il medium teniamo ancora duro e siamo profondamente convinti che “quelli strani” siano gli altri. E in quel maggio del 2015 The Witcher 3 è stato proprio questo, quel fattore “eh la Madonna” che fa riallineare i pianeti – videoludicamente parlando – e ci ricorda quanto ancora possiamo rimanere stupiti davanti a certe cose. Perché il livello di cura per i dettagli, soprattutto per un giocatore appena uscito dalla grettezza hardcore di Bloodborne, è abbastanza da lasciare senza fiato, e perché come abbiamo già avuto modo di vedere non è un caso che il prodotto di CD Projekt Red abbia avuto un impatto clamoroso sui suoi concorrenti, che hanno ripreso ed imitato la formula. Quanti prodotti possono vantare un risvolto del genere?

 

Punteggio sulla scala Pozzetto: La casa stregata

Xenoblade Chronicles X
Il primo mech non si scorda mai!
Eh la madonna che jRPG
Il capolavoro di Monolith per Wii U è certamente uno dei JRPG più belli di tutti i tempi, immenso, stratificato, cerchio perfetto che rachiude in se l’estasi stessa dell’esplorazione, un mondo alieno messo li nell’universo per essere colonizzato dal più tenace dei conquistatori, o per lo meno morire tentando di dare un futuro all’umanità. Il momento più alto del titolo, in tutti i sensi, lo si raggiungeva dopo ore di avanscoperta, quando finalmente saremmo entrati in possesso del primo Skell, robot personalizzabili a piacimento dall’incredibile design meccanico, con cui partire alla volta di un dolce naufragar nel mare dell’open world come mai sperimentato prima d’allora. Uno tra i più estesi ecosistemi ludici mai creati, dalla potenza visiva assolutamente irraggiungibile, senza caricamenti di sorta, esplorabile via terra ma soprattutto via aria. Qui le mie sinapsi esplosero in una pozzettiana eslamazione, quando per la prima volta vidi Mira e il suo orizzonte estendersi a perdita d’occhio (o di risoluzione) dal mio mech, fluttuante a centinaia di metri dal suolo. Le architetture naurali di Primordia che lasciavano spazio alle distese sabbiose di Oblivia in continuum panoramico da capogiro, con resti di civiltà perdute ad ammiccare al giocatore per farsi raggiungere e studiare. Niente fu più lo stesso, mentre nella testa echeggiava un ipnotico “eh la Madonna“.

 

Punteggio sulla scala Pozzetto: Ragazzo di campagna

renato pozzetto eh la madonna ragazzo di campagna
Superhot VR
Attaccati, Keanu Reeves
Eh la madonna che emozioni
Due nemici alla mia destra, uno armato di coltello. Altri due alla mia sinistra e uno pronto ad incombere su di me dalle spalle. In mezzo io, completamente disarmato e con una sola possibilità di farcela: raccogliere quei due shuriken che, per qualche motivo, stanno cadendo dal cielo pochi metri davanti a me. Mi faccio forza e ci riprovo per l’ennesima volta: mi lancio in avanti con un tempismo ormai rodato dai precedenti tentativi – troppi, per uno che sulla carta fa questo lavoro da tutta una vita o quasi – e riesco finalmente a prendere le stelle ninja, feticcio mai davvero celato di una generazione cresciuta nel mito del Giappone di cui mi ritrovo ad essere un esponente. Non c’è tempo per farsi ipnotizzare dal sinistro luccichio del metallo nero o per compiacersi del risultato, l’imperativo è uno solo: morte. Morte per quell’uomo in rosso che sta avanzando di corsa coltello in mano, in barba a tutti gli insegnamenti che per anni ci hanno detto di non fare la stessa cosa con le forbici. Un lancio ed ecco che lui ed il suo compare esalano i loro ultimi, poligonali respiri e si lascia scappare la lama – anche questa, manco a dirlo, da raccogliere in volo.

È adesso che viene il difficile.

La mira è sopravvalutata, la guarda pure. Mi giro accovacciandomi e non posso fare altro che sperare di aver calcolato bene i tempi, di trovare dietro di me gli altri due tizi sulla lista delle cose da assassinare. Questa volta ho fatto – letteralmente – centro, ed il risultato è che mi sento più c*zzuto di Neo in Matrix. Chiunque dica che la Realtà Virtuale è fuffa, non ha mai provato l’ebrezza di Superhot VR, e non posso che dispiacermi per lui.

 

Punteggio sulla scala Pozzetto: A mezzanotte va la ronda del piacere

Split/Second
 la gioia di “esplodere gli avversari”
eh la Madonna che botti
Burnout che incontra Michael Bay in un motel di Bangkok, mentre il regista sta pensando a quanto tritolo serve per far esplodere Optimus Prime. Ci si può immaginare così l’opera magna Black Rock Studio prima che quei simpaticoni della Disney ci privarono di una software house che prometteva di far gioire (e masturbare) ogni orfano della serie Criterion, tanto che il finale del titolo rimaneva aperto verso un seguito già in cantiere. Storie di budget, vile denaro che amputa i nostri sogni, ma il retaggio di quei ragazzi resta uno dei titoli corsistici arcade più esplosivi (e belli) di tutti i tempi. L’evoluzione naturale dei Takedown di Burnout furono delle vere e proprie cariche di dinamite disposte in punti strategici dei tracciati, da far brillare al momento giusto, tatticamente, una volta riempita l’apposita barra. Morale? Le gare divennero un deflagrante capodanno cinese, veri e propri set cinematografici (il titolo è presentato come un estremo show televisivo, geniale) dove prendersi la vittoria dopo aver fatto crollare interi grattacieli, creato frane, distrutto dighe in un tripudio di evoluzione dinamica degli ambienti da “eh la Madonna“, che parte dall’inserimento del disco fino all’ultima medaglia d’oro conquistata. Una perla per cui vale la pena di riattaccare PS360, mettergli sotto dei petardi e farla brillare mentre si gioca. E poi santo Iddio il bullet time che parte quando si distruggono più avversari contemporaneamente. BOOMELLAMADONNABABY!

 

Punteggio sulla scala Pozzetto: Porca Vacca

renato pozzetto porca vacca
The Legend of Zelda: Breath of the Wild
l’età adulta di Link
“Eh la Madonna” qui lo penserete voi
Chi vi scrive non è un fan di The Legend of Zelda, e non lo è mai stato. Ha assaggiato alcuni titoli della serie, trovandoli anche in diversi casi estremamente divertenti e riusciti da giocare – Wind Waker, recuperato sul già pluricitato Wii U, è un’esperienza che ricorda ancora molto felicemente, al netto dei problemi di performance di cui troppe poche persone hanno parlato – ma l’amore non è mai scoppiato. E tutt’oggi, anche dopo aver speso una cinquantina di ore su Breath of the Wild, nutre ancora dubbi sull’etichetta di “miglior gioco di sempre” che troppo frettolosamente gli è stata affibbiata (almeno il tempo di vedere se verrà preso a modello stile The Witcher 3, ricollegandoci a quanto detto sopra, era il caso di lasciarlo passare). È indubbio però che Breath of the Wild sia la prova di maturità della serie, quello che avrebbe dovuto fare da grande almeno un paio di generazioni fa invece di limitarsi a nicchiare nel solco di Ocarina of Time. Di più, è la somma degli ultimi 10 anni di intrattenimento videoludico in un un’unica cartuccia, e probabilmente il software che mostrerei ad un babbano per fargli capire cosa può fare il medium nella pratica.

 

Punteggio sulla scala Pozzetto: Da grande

Da Grande
Su amazon: 9,45€
WipEout (uno a caso)
Madonna che musica
Eh la madonna che ritmo (non la Fiat)
E poi perché no, ci sono anche situazioni in cui è la musica a esaltarci, l’audio che tutto può creare nella testa di una persona, legandosi alle immagini che volano davanti agli occhi a 60fps. Quel momento in cui si sta gareggiando in maniera non convenzionali, antigravitazionale, immersi nel nuovo ordine mondiale che fa da sfondo a tracciati dalle architetture astratte e impossibili, l’istante in cui i reattori borbottano sommessi, forse ecologici, lasciando dietro di se scie di luce blu ipnotiche. Proprio quando dall’autoradio della nostra cabina inizia a dilagare una melodia elettronica, sintetica come la reale finzione del videogioco, un rave party che fa trasforma la competizione motoristica in una danza, tra sinuose curve e letali, fluorescenti, armi. La testa comincia a muoversi a ritmo, il battito cardiaco accelera fino a raggiungere la stessa frequenze di bpm, una trance non solo intesa come genere musicale che scaraventa la mente a centinaia di chilometri orari tra sogni ed esclamazioni di stupore.

 

Punteggio sulla scala Pozzetto: Sono fotogenico

pozzetto sono fotogenico
Bayonetta 2
la follia di Nintendo
Più che “eh la madonna“, qui è “Carràmba! Che sorpresa
Ti ho mai detto qual è la definizione di follia? Ops, franchise sbagliato. Anche perché in questo caso la follia non è stata rifare la stessa cosa (ovvero, un sequel di Bayonetta) sperando che i risultati sul mercato fossero diversi da quelli troppo tiepidi del primo capitolo: la follia è stata, da parte di Nintendo, quella di andare a finanziare un prodotto di nicchia e metterlo in vendita su una macchina inevitabilmente destinata a rimanere un prodotto di nicchia. Quel 13 settembre 2012 nessuno si aspettava un annuncio del genere, soprattutto da parte di una casa che – sappiamo benissimo che non è così, ma la percezione comune è quella – tende verso titoli dai contorni più morbidi e meno aggressivi, sia contenutisticamente che pad alla mano. Eppure è successo e ci siam trovati spiazzati, presi in mezzo tra le immancabili critiche alla manovra (fosse successo ai tempi di GameCube, non ci sarebbe stato tutto questo rumore) e la gioia di poter giocare un titolo su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo, ma Nintendo sì. Una patata bollente capace di attirare le critiche di tutti quelli che ancora oggi lo stanno aspettando su PlayStation 4 (e dovrebbero piuttosto molestare Platinum Games affinché rimasterizzi il primo capitolo sulla piattaforma, invece di un prodotto pagato da Nintendo), ma allo stesso modo di vendere quantomeno un’unità extra di Wii U. Quella di chi sta scrivendo queste righe, ovviamente.

 

Punteggio sulla scala Pozzetto: Patata bollente

pozzetto patata bollente

Super Mario Odyssey
la santificazione dell’E3
Eh la Madonna che anno per Switch
Che la nuova avventura di del Mario nazionale sia un capolavoro coi baffi è fuori di dubbio, ma di tutti gli “eh la Madonna” moment vissuti in quest’ultimo mese pad alla mano, il più particolare ed emozionante è stato vedere il sipario alzarsi sull’ultimo, iconico, giocattolo Nintendo. Vuoi per l’atmosfera di festa e hype che da sempre accompagna la fiera losangelina, vuoi per l’attesa di vedere come i designer di Kyoto avrebbero stupito il mondo ancora una volta, il trailer con cui è stato alzato il velo sull’odissea è stato esaltante oltre ogni modo! Si era già visto qualcosa in occasione dell’evento Switch di gennaio, ma nessuna particolarità era stata svelata. Poi signori, il T-Rex  posseduto da Cappy è già storia; da li la mente ha cominciato a vorticare e una domanda continuava a martellare le pareti del cranio: “fin dove si saranno spinti?”. La risposta oggi la sappiamo tutti, in alto, altissimo, la paffuta e baffuta mascotte di un intero movimento artistico (quello videoludico) innalzata quasi a divinità moderna in poligoni e ossa, per cui nulla è impossibile, capace di tramutare l’ordinario in stupore, moltiplicandolo come si fa con pani e pesci. E se 2 minuti e mezzo di trailer riescono già a far intuire quale sarà la portata di un’opera, vuol dire che un’opera è fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Mario, Peach e Bowser, santa trinità videoludica.

 

Punteggio sulla scala Pozzetto: Un povero ricco

Un Povero Ricco
Su amazon: 9,39€

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