I Leccacullo

Speciale 10 Giochi per cui vogliamo dire “Grazie”

Oggi vogliamo “halloweenare” e, in occasione della Festa del Ringraziamento americana, dire semplicemente grazie ad alcune produzioni videoludiche che ci hanno tenuto compagnia negli anni.

Hellblade: Senua’s Sacrifice (Ninja Theory)
Ninja Theory ci ha abituati a un certo livello di qualità per molti anni, in passato. Da Heavenly Sword a Enslaved e passando per DmC – Devil May Cry, lo studio indipendente con sede a Cambridge ha sempre avuto una certa passione per il lato più puramente artistico dei videogiochi, una caratteristica che è ben evidente in tutte le loro produzioni. HellbladeSenua’s Sacrifice, uno dei giochi migliori del 2017 per il nostro Pietro Iacullo, prometteva bene già dalle prime occhiate, ed è stato premiato dallo sguardo inquisitore del webmaster con un ottimo voto in fase di recensione – non a caso, ovviamente. Criptico, disturbante, introspettivo, originale per certi aspetti e dannatamente pregno di riferimenti culturali, Hellblade è una delle più affascinanti rappresentazioni dell’Ars Ludica che tanto decantiamo su queste pagine, ed è sicuramente qualcosa di cui andare fieri in quel di Cambridge.

Non è certamente privo di qualche difettuccio, non lo neghiamo – ma, in fondo, sono davvero abbastanza per oscurare la bellezza e la magnificenza dell’opera intera?

 

Metal Gear Solid (Konami)
Sì, sì, sappiamo tutti quello che è successo tra il Maestro Hideo Kojima e Konami a pochi mesi dall’uscita di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, un prodotto che, nonostante tutti i suoi pregi e il suo indiscutibile fascino, ha comunque lasciato l’amaro in bocca a un gran numero di giocatori in cerca di risposte sulla saga. Non ringrazieremo per quel meraviglioso capolavoro di gameplay (sebbene l’impronta di Hideo si veda anche lì, eccome); quest’oggi, piuttosto, daremo uno sguardo a quel momento in cui tutto è iniziato, e in cui il videogioco ha finalmente capito che poteva dare molto più che semplici sfide: Metal Gear Solid.

È vero, Metal Gear Solid era il seguito diretto dei primi due Metal Gear per MSX, ma è lì che molti fan attuali hanno effettivamente conosciuto la saga, ed è lì che l’amato Hideo ha veramente fatto la differenza: sfruttando il mezzo videoludico come mai prima di allora, il team capitanato dal Maestro ha sfruttato pregi, difetti, limiti e potenzialità per spingere al massimo la prima PlayStation, confezionando un vero capolavoro di arte videoludica che ancora oggi tiene testa a molte opere contemporanee. Rotture della quarta parete, piccole chicche geniali (chi si ricorda la frequenza di Meryl?), una narrazione da spy-movie cinematografico e delle tecniche di linguaggio ereditate direttamente dal grande schermo: questo era (ed è) Metal Gear Solid, un’opera incredibile che ha cambiato il modo di intendere il videogioco e che ha veramente mostrato al mondo le potenzialità del medium. In un periodo in cui le storie non andavano oltre il “libretto” all’interno della custodia.

DiRT Rally (Codemasters)
Dopo che la parola “DiRT” si sostituì alla firma del compianto e leggendario rallista Colin McRae, la serie su sterrato di Codemasters perse qualcosa, così come l’intero mondo dei motori. Titoli divertenti (certo), curati (ovviamente), ma senza quell’anima che aveva caratterizzato gli anni ruggenti di PlayStation. Poi un anno fa il rischio, una curva tagliata, un pendolo scandinavo troppo vicino a un dirupo eppure vincente, clamoramente vincente. Un azzardo classicista, un ritorno alle origini, lo spirito di Colin che torna a vita virtuale; il rally nella più pura delle accezioni ludomobilistiche. Brutale, terrificante, sporco e cattivo come il blando placebo simcade DiRT non era stato mai. L’amore a prima vista di un malato di motori e derapate il cui cuore tornò a palpitare come un volta, tanto da valere il pluri-rimandato passaggio alla next-gen, obolo da pagare pur di sentire la ghiaia che picchietta sulla scocca e gli scarichi che scoppiano di gioia ad ogni cambio di marcia. Il capolavoro assoluto della software house inglese, un tripudio simulativo opulento, un track design sincope dove ogni cunetta può essere fatale e ogni terreno impone di tornare a scuola guida. Niente di eccezionale, d’altronde è quello che succede quando si programma col cuore, un risultato naturale per chi i motori li vive quotidianamente, anche fuori dagli ambienti si sviluppo. 100 ore di gioco, tappe imparate a memoria, fisica delle vetture (ognuna con le proprie peculiarità, neanche a dirlo) che da boia diventa pura pornografia. L’autoerotismo di riuscire a gestire un’Audi Quattro sulle strade innevate di Montecarlo come se fosse una danzatrice su ghiaccio è forse il picco più alto della mia carriera videoludica. Grazie Codemasters, grazie rally, grazie treni di gomme.

V.M. 18

Wario Land 3 (Nintendo)
Come non ringraziare col cuore in mano il titolo che mi ha insegnato a giocare sul serio, colui che ha fatto sbocciare una passione ormai ventennale con le sue nefandezze, la sua boria e un’avidità senza pari. Wario Land 3, non acquistato bensì scambiato per un’altra cartuccia che non ricordo (dimenticabile probabilmente) durante un noioso pomeriggio scolastico. Torno a casa, accendo il mio Game Boy Color verde acqua e le vette del game design Nintendo si aprirono dinnanzi a me come l’Himalaya dopo una tormenta, tempesta composta per lo più da cagatine assortite di un videogiocatore in erba. Un gameplay che ripudia la linearità, impone un backtracking tra i meglio riusciti di sempre, per poi spiazzarti con boss battle fuori di testa da fallire solo per poterle rigiocare. Un energumeno in salopette che prende a spallate la nuda roccia, sgretolandola, e lancia i nemici con veemenza contro le pareti acquisendo via via nuovi poteri e possibilità di esplorazione: “Ma che meraviglia!”.

Un protagonista senza barra della salute? Pionieristico e masochistico in modo esilarante; Fargli bruciare il culo, vederlo volare in aria come un palloncino con la faccia gonfia per una reazione allergica e perfino farlo infettare dagli zombie era tutta roba mai vista (e rivista solo nel pre e nel sequel), geniale, incantevole agli occhi di un bambino quanto di un adulto (perché non passa anno senza rigiocarlo). Tanto spensierato quanto grottesco e occulto in certe scene e simbolismi, impreziosito da un ciclo giorno-notte che in portatilità sembrava un sogno e un parterre di animazioni da cartoon. Pura magia che mi ha inculcato fin da piccolo il significato di Nintendo Difference, inconsciamente, semplicemente insegnandomi a giocare osservando ogni particolare, imparando ogni meccanica e divertendomi come nessun altro “giocattolo”. Quasi quasi mi dispiace per quel bambino che me lo diete con tanta leggerezza, avrebbe potuto scrivere lui questa retrocensione!

Bayonetta 2 (Platinum Games)
Nintendo è un po’ come quella ragazza capace di farti impazzire – in modo letterale. Per quanto tu possa lamentarti delle sue fissazioni, per quanto tu possa vivere tutta la vostra relazione in modo malsano, all’insegna della frustrazione e alle soglie dell’incompatibilità caratteriale e per quanto tu possa ritrovarti a pensare più e più volte al giorno che non ne vale la pena e tanto vale chiuderla qui, alla fine sei ancora la. Perché lei è capace di fare all’improvviso delle mosse in grado di stenderti, di farsi perdonare tutto ed in definitiva mettere in chiaro che, in fondo, è lei quella giusta. Anche se è fuori di testa e non ti lascia guardare Netflix.

Bayonetta 2 è il perfetto risultato di questo ragionamento, il regalo di San Valentino che non avremmo mai osato chiedere dopo aver visto il primo capitolo tentare e fallire su una base installata enorme come quella di PS3 e 360 ma che, inaspettato e quasi disinteressato, arriva su una console spacciata fin dall’annuncio come Wii U. Esatto, non ha senso e logica. Ma da quando l’amore è una cosa razionale? Per cui si, per quanto suoni retorico e sdolcinato, stiamo dicendo “Grazie Nintendo per essere Nintendo”. Perchè se è vero che ci fai incazzare 360 giorni all’anno, gli altri 5 rendono le nostre storie di vita degne di essere giocate.

Superhot VR (SUPERHOT Team)
Chi vi scrive ha speso l’ultimo anno (e oltre) a scrivere belle parole a proposito della Realtà Virtuale, il nuovo che avanza attraverso lo scetticismo tipico di un’utenza di conservatori come quella che vive pad alla mano e che, passo dopo passo, sta trovando il suo spazietto sul mercato. Ma le belle parole non bastano, e visto che non si tratta di una Xbox in questo caso le esclusive servono: senza esperienze degne di essere indossate sulla propria pelle, la Realtà Virtuale di questa ottava generazione sarebbe semplicemente l’ennesimo tentativo a vuoto di matrimonio tra la tecnologia e l’intrattenimento.

È per questo motivo che vogliamo davvero ringraziare Superhot VR: chissenefrega se dura poco, chissenefrega se ci sono un po’ di imprecisioni, chissenefrega e basta. Superhot VR è l’Esperienza (e notare le maiuscole) definitiva dietro un visore ed una delle cose più pazzesche giocate nel corso della generazione. Non a caso è il gioco dell’anno – o quasi – per il nostro webmaster… Con la sfiga di esserlo nell’anno in cui è riuscito nel suo colpo di stato e ha detto basta alle classiche Top 10. Ma ne parleremo meglio un’altra volta.

Kingdom Hearts (Square Enix-Disney Interactive Studios)
Ti rendiamo grazie Square Enix. Ti rendiamo grazie malgrado le critiche di quest’ultimo periodo, ti rendiamo grazie malgrado Final Fantasy XV e gli infiniti rinvii di questi ultimi anni, perché per molti noi umili giocatori, tu hai creato quello che possiamo definire IL GIOCO: Kingdom Hearts. Sì, ti perdoniamo anche il fatto che stai continuando a nascondere la data d’uscita del prossimo capitolo, perché Kingdom Hearts è quello che si può tranquillamente definire un vero e proprio capolavoro. Unire mondi diversissimi tra loro – quelli di Final Fantasy e di Disney – si è rivelata una mossa azzeccata sotto tutti i punti di vista. A questo aggiungiamoci un gameplay meraviglioso, una trama “adulta” e una grafica che sfruttava quasi tutto il potenziale di PS2, ed ecco che il masterpiece è servito. Ti rendiamo grazie Square Enix, perché ci hai fatto innamorare di Sora, e ci hai fatto scoprire dei lati di Paperino, Pippo e Topolino che forse non tutti conoscevano. Ma ora è giunto il momento di uscirlo… il terzo capitolo della saga. Cosa aspetti di farci innamorare ancora?

 

 

Life is Strange (Square Enix)
Giuriamo che questo non è un osanna a Square Enix, ci mancherebbe. Ma vogliamo parlare di Life is Strange? È difficile raccontare in poche parole le emozioni – tante e differenti – che i cinque capitoli di questo titolo son riusciti a donare. Life is Strange è pura poesia in movimento, strappa sorrisi, stimola la nostra fantasia, ci impaurisce e ci fa anche sorridere; ma ci mette soprattutto davanti a scelte difficili. Quanto tempo abbiamo atteso prima di prendere alcune decisioni, e quanti cervelli ha saputo spappolare questo titolo quando, pur sapendo di trovarci in una dimensione parallela che non avrebbe portato a un beato c…ambiamento, dovevamo decidere se far morire Chloe o no? Life is Strange è unico nel suo genere, è un titolo diverso da tutti gli altri, è unico nel suo genere. Per questo motivo non possiamo che ringraziare ancora una volta la casa giapponese per questa grande creazione.

 

LEGO Star Wars (Traveller’s Tales)
Non tutti arrivano a Roma dalla Via Appia, e analogamente non tutti arrivano alla Galassia Lontana Lontana attraverso la mastodontica trilogia originale. Questo è stato proprio il mio caso, quando da piccolo ricevetti dai miei LEGO Star Wars, un titolo di cui riconoscevo solo la prima parte. Installando il dischetto sul vecchio Windows XP, mi travolse per la prima volta l’ondata della Forza. Da quel momento è cominciato un viaggio meraviglioso, non ancora concluso, sulle trionfali note di John Williams. Anche nella loro versione LEGO, Mos Eisley, la Morte Nera, Kamino ed Endor non perdono un briciolo della magia che li pervade, e anzi acquistano un azzeccatissimo senso dell’umorismo slapstick che apprezzai tantissimo. Anche a livello di gameplay, il gioco è una bomba: la sensazione che derivava dall’interagire con i cubetti LEGO per scoprire segreti inespugnabili rimane tutt’oggi imbattuta. Decine di personaggi giocabili per creare le situazioni più assurde, centinaia di momenti da ridere, milioni di bottoncini da collezionare. All’epoca mi sentii come Luke, quando incontrò finalmente Ben Kenobi, che diede inizio al suo cammino. Per questo non posso che ringraziare LEGO Star Wars con tutto il cuore per avermi reso la vita un po’ più magica, come un tramonto a due Soli sulle sabbie di Tatooine.

Marble Blast Gold (Garage Games)
Lo stesso discorso, con le dovute differenze, si può applicare a Marble Blast Gold. La prima volta che entrai nel mondo dei videogiochi non indossavo né bretelle e cappellino rosso, né pelliccia di porcospino o bandicoot. Quando mio nonno comprò il futuristico (ai tempi) Mac nuovo, all’interno era già preinstallato un piccolo giochino indipendente che mi invitò a provare, tanto per curiosità. Fu amore a prima vista: un gameplay purissimo, che consisteva nel pilotare una pallina all’interno di un mondo di coloratissime geometrie tridimensionali. Ognuno dei cento livelli disponibili era condito con bombe, potenziamenti, gemme, chiazze di olio, oggetti che invertivano la gravità e ostacoli che ti facevano rimbalzare via. La presentazione grafica è efficace, così semplice da risultare quasi immortale (altri giochi del 2003 sono inguardabili!). Quindi grazie a Marble Blast per avermi insegnato a governare il quartetto WASD nel più divertente dei modi, oltre ad avermi aiutato a maturare i concetti di profondità, attrito, momento di inerzia, gravità e accelerazione quando ancora non sapevo cosa significassero queste parole.

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