La saga di Dagger è atipica, per non dire strana. E la regola aurea vuole che tutto quello che sia atipico, per non dire strano, prima o poi finisca nella sezione Geekstyle.

Spesso e volentieri quando si coltiva la passione per questo settore e ci si ritrova a parlare con persone estranee a questo mondo – parenti, amici, magari colleghi di lavoro – si finisce per qualche motivo non meglio specificato etichettati come “quello che videogioca”. Personalmente chi sta scrivendo ha sempre trovato questa cosa estremamente riduttiva: non perché ci sia qualcosa di male nei videogiochi o di contro nel non sapere nulla di videogiochi, ma perché è solo una delle passioni con cui convive dalla nascita – nessuno mi ha mai definito “quello che soffre di dipendenza dalle lasagne”, per dire la prima cosa che mi viene in mente. Tutto questo per dire per l’ennesima volta una banalità che troppo spesso sfugge a tutti quei babbani che non sono soliti dedicare qualche serata ad imprecare davanti a dei poligoni semoventi:

in realtà siamo più in generale appassionati di cultura. O meglio, di tutto quello che poi entra a far parte della nostra cultura.

È per questo che le citazioni e tutto quello che è meta-referenziale ci provocano un piacere naturale, è per questo che le contaminazioni con altri media sono un valore aggiunto che va oltre il pad e ritroviamo anche in film, serie tv e libri. Quindi sì, ci dedichiamo anche ad altro e se in poltrona siamo videogiocatori al cinema, quando ci parcheggiamo sotto la lampada e lasciamo che siano gli occhi a macinare chilometri e caratteri siamo ludolettori. Il primo passo è ammetterlo. Il secondo? Fare un po’ di chiacchiere su roba da leggere quando vogliamo occupare il tempo in modo diverso. O ne sentiamo il bisogno, alla fine cambia poco. Per i motivi espressi poco sopra, non potevamo che scegliere come “paziente zero” la saga di Dagger, direttamente dalla penna di Walt Popester – che a dispetto del nome che trovate sulla copertina è un autore assolutamente italiano (e a dispetto dell’essere un autore italiano ha uno stile molto poco italiano).

Dagger in coordinate ludiche
Troppo facile fare il solito club del libro, dare i soliti consigli per gli acquisti. Cerchiamo invece di stabilire il profilo del giocatore-tipo con le carte in regola per perdersi tra le pagine – virtuali o meno – della serie. Il problema è capire cosa videoludicamente assomigli a Dagger, perché qualcosa di davvero analogo non c’è (o quantomeno non lo conosciamo). La prima tentazione che abbiamo avuto è quella di chiamare in causa CD Projekt Red e la saga di The Witcher, che non a caso nasce come fantasy su carta prima di trovare la terza dimensione dietro le profondità dello schermo; però non ci siamonon del tutto – perché per quanto Geralt e soci (specie nel terzo capitolo) giochino con la tradizione e non si facciano mancare qualche battuta, qualche azzardo e a dirla tutta anche qualche volgarità è poca roba, rispetto a Dagger. Lo spunto non è tutto da buttare via, ma riesce a descrivere solo una parte di quello che la serie vuole essere. O quantomeno di quello che noi abbiamo ritrovato tra le pagine di Dagger. Per un momento abbiamo soppesato la possibilità di scendere (o salire?) allo stesso livello dell’autore della serie ed essere sacrileghi a nostra volta, scomodando il nome di quell’autore giapponese che ha ripetutamente preso a schiaffi la concezione di videogioco inserendo su disco trovate sempre più al limite, facendo capire a tutti che questo fantomatico limite esiste solo nella testa di chi produce intrattenimento.

dagger 3 cover

Ma anche con Hideo Kojima c’è qualche punto di contatto e poco altro: Dagger spiazza e – specie arrivati al terzo e al quarto capitolo della serie – si diverte a giocare con chi sta dall’altra parte, a illuderlo e a metterlo davanti a colpi di scena che in più di qualche passaggio sembrano volutamente caricaturali, ma manca qualcosa – al di là dell’ambientazione e dei fini del messaggio che Metal Gear nasconde sotto pixel e poligoni. Manca il grottesco, manca quel gusto per il grezzo – per le allusioni, dove non direttamente per la volgarità – che nei prodotti firmato dall’occhialuto dio nostro latita: i riferimenti ludici dati fino a questo punto si avvicinano ed approssimano, ma il parallelo più calzante probabilmente è quello con la classica hipsterata indie che suona stonata di fronte ai nomi citati. Dagger ha davvero tanto in comune con Pony Island. Sia Popester che Daniel Mullins stupiscono, ma non lo fanno tanto per quanto alla ricerca di qualcosa che mancava, e pur di farlo non si fanno troppi problemi di etichetta. Vale tutto, dalle trovate più anomale a vere e proprie blasfemie che giocano con l’iconografia religiosa (o con i suoi equivalenti). Tutto in nome dello show e dell’intrattenimento. E forse anche in nome dell’autore, ma è giusto che sia così.


Per approfondire:
Pony Island
Dagger in coordinate bibliografiche
Amazon è la via, come spesso succede. E Amazon accontenta tutti, visto che tutti e quattro i libri della serie (siamo in attesa del quinto capitolo, che dovrebbe fungere da epilogo degli epiloghi) sono presenti sia in formato cartaceo – chi soffre ancora di certi feticismi non ha scuse – sia digitalmente. Non vogliamo avventurarci nell’antica e moderna lotta tra ebook e libro vecchia scuola, quindi ci limitiamo a dire (oltre ad un sonoro “leggete un po’ dove vi pare e come vi pare”) che la versione in kilobyte della serie offre il primo romanzo del ciclo gratuitamente. Per gli abbonati Kindle Unlimited, buone notizie: gli altri tre libri della serie sono a disposizione nel catalogo senza passare per il famigerato pulsante “acquista con 1-Click”.

Per il resto non c’è molto altro da dire, per non dire che forse anzi come al solito abbiamo detto troppo. Se state cercando una lettura pesante in più di un senso – ad un certo punto ci sono dei passaggi che sfiorano il criptico per schiantarsi di faccia contro il non ci ho capito un c*zzo, siete avvisati – e che esca prepotentemente fuori dal coro, Dagger fa per voi. Probabilmente non avete mai letto nulla del genere, e potrebbe essere il caso di rimediare. Sempre tenendo presente che, come scrive l’autore in ognuna delle prefazioni (giocando ad uno scaricabarile che facciamo spesso anche noi, per cui sfonda una porta aperta) è solo un libro, e la vita vera è là fuori. Però nella vita vera siamo drammaticamente a corto di dei incestuosi e guerrieri-lupo che si uccidono tra loro per hobby, per cui…

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