Recensione Pony Island

Parlare di Pony Island è un compito dannatamente difficile. O meglio, è dannatamente difficile trovare il modo di spiegare il prodotto di Daniel Mullins Games senza correre il rischio di rovinarne, almeno in parte, le idee messe in pedi dallo sviluppatore. Per questo motivo questa volta chi vi scrive non giocherà secondo le “regole” dettate dalla consuetudine che vogliono il giudizio finale riservato al commento della recensione: il nostro consiglio è di scorrere pure in fondo alla pagina (se proprio non riuscite a non sbirciare il voto) ma dopodiché andate ad acquistare Pony Island, ed eventualmente tornate pure per gli insulti nel caso non vi sia piaciuto. Se invece siete ancora scettici proseguite, cercheremo di fare il possibile per farvi arrivare comunque “vergini” all’eventuale appuntamento col gioco.

Versione testata: PC (Steam)

Cosa accadrebbe se il male si formerebbe dentro di te?
Il diavolo si improvvisa sviluppatore. Con risultati infernali
Pony Island, nella finzione del gioco, è un normale cabinato arcade un po’ vintage, di quelli che erogano i classici ticket con cui poi riscattare qualche premio in sala giochi. L’unico aspetto fuori dal comune è che il cabinato è stato sviluppato dal Diavolo in persona, non esattamente una cima in fatto di programmazione: basti pensare che all’inizio dell’esperienza non funziona nemmeno il caricamento iniziale, e sarà compito del giocatore porvi rimedio. Il tutto è ovviamente concepito per intrappolare nuove anime, condannate a rimanere bloccate all’interno del gioco. Il fine ultimo del protagonista è, ovviamente, quello di evadere, e per farlo sarà necessario cancellare tre file principali dalla macchina in modo da causare un crash di sistema e guadagnarsi l’occasione di riacquisire la sua libertà.

Pur proseguendo dal punto di vista del racconto in modo abbastanza lineare, Pony Island non si fa mancare qualche segreto (opzionale) da scoprire, puntando in ogni caso più sui suoi personaggi (in particolare l’antagonista ci ha ricordato in più di qualche occasione GLaDOS di Portal) e, come vedremo a breve, su soluzioni ludiche anomale che cercano di spiazzare il giocatore per tutta la durata dell’esperienza, di due ore circa.

I cavalli sono persone orribili
Si cambia continuamente genere, cercando di (e riuscendo a) cogliere in fallo il giocatore
È un puzzle game. No, è un endless-runner con i pony. Un’avventura grafica, o ancora meglio, un’avventura testuale in stile Zork. O invece un rpg vecchio stampo. Pony Island è in un certo senso tutte queste cose. In un primo momento ci si trova alle prese con un gioco a scorrimento in cui si controlla un pony con l’obiettivo di evitare gli ostacoli saltando fino ad arrivare alla bandierina del traguardo: queste sessioni monotone dopo un paio di partite diventeranno letteralmente insuperabili, e sarà quindi necessario aggirarsi per i menu di questo gioco-dentro-il-gioco alla ricerca di una soluzione per proseguire. Arrivano poi i momenti in cui bisogna mettere mano al codice di Pony Island, che sfruttando una soluzione già vista per esempio in Human Resource Machine permetterà al giocatore di alterare il naturale corso delle istruzioni agendo su alcuni blocchi che influenzano gli spostamenti di un cursore. In un modo o nell’altro si arrivano ad esplorare anche soluzioni prese da altri generi, mischiando le carte in tavola con una certa frequenza e andando a creare situazioni comiche e assolutamente in grado di intrattenere, anche quando le meccaniche sono più evidentemente “al risparmio” e la sfida magari non è brillante come lo era in qualche step precedente. Pony Island insomma spazia tra un genere e l’altro cercando in tutti i modi di sorprendere il giocatore, praticamente richiamando l’idea di fondo di uno degli scontri videoludici universalmente riconosciuto tra più geniali della storia dell’industria, quello tra Psycho Mantis e Solid Snake nel primo Metal Gear Solid. C’è però spazio anche per riflessioni ai limiti del meta-referenziale (di fatto, il giocatore sta giocando con lo scopo di distruggere il gioco), che concorrono ulteriormente in una sorta di corsa all’abbattimento della quarta parete, spesso percossa a più riprese dal lavoro di Daniel Mullins.

Il diavolo veste Pascal
Anche sul fronte visivo Pony Island alterna un paio di stili: per gran parte dell’esperienza il tutto sarà confezionato in modo estremamente minimalistico, con una grafica ai limiti dell’ascii o del vettoriale, dando però ad un certo punto il cambio (prima di tornare prepotentemente in questa direzione) ad una pixel art da era a 16 bit. Il tutto comunque, complici le risorse richieste non propriamente d’alta fascia, si lascia giocare senza particolari problemi di sorta anche su configurazioni hardware non all’ultimo grido, cosa che assieme al prezzo estremamente popolare (meno di 5 euro) rende il prodotto accessibile a chiunque senza molte scuse.

Verdetto
9 / 10
Ancora qui? Fila a cacciare i soldi
Commento
Pony Island è il classico titolo indipendente capace di diventare l'incubo di chi deve scrivervi una recensione: dal punto di vista ludico la sfida, in particolare quando si parla dei puzzle "informatici" e delle sessioni a scorrimento più avanzate, non manca, come non manca nelle altre situazioni di gioco il materiale per confezionare un'esperienza diversa, fuori dagli schemi e senza dubbio divertente in più di un senso. D'altra parte però siamo sicuri che non si tratti di un titolo per tutti e qualche utente potrebbe ritenerlo una specie di accozzaglia di minigiochi, magari nemmeno così valida dal punto di vista delle meccaniche. Chi sta scrivendo ad ogni modo è stato convinto e conquistato dall'opera di Daniel Mullins e non può fare a meno di consigliarla a chiunque: per eventuali insulti trovate in calce tutti i miei riferimenti e uno spazio commenti apposito.
Pro e Contro
Geniale in più di un'occasione
Difficilmente ripetitivo
Prezzo popolarissimo

x Non per il palato di tutti

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