Era facile fare i ruffiani ed augurare in bocca al Lupo a tutti i nostri lettori che da domani saranno alle prese con gli Esami di maturità. E infatti abbiamo preferito regalarvi 5 minuti di svago dalle “sudate carte” con uno dei nostri soliti e inconcludenti listoni.
Il mondo videoludico è proprio come la classe di una scuola superiore. Pensateci, per ogni secchione/capolavoro (puntualmente insultato dagli haters/bulletti di turno) , ci sono almeno 20 altri titoli che o non fanno assolutamente nulla se non un casino infernale, prendendo 3 anche in Educazione Fisica, oppure hanno potenzialità ma “non si applicano”, come erano soliti scrivere sulle pagelle di uno dei Leccacullo, che si è fatto 7 anni di ragioneria (vedendo passare avanti gente che non capisco come riesca a ricordarsi di respirare)! Senza contare quelli che vanno avanti copiando, di quelli ce ne sono a secchiate. Noi però siamo professori magnanimi, severi ma giusti, (mica come quei senza dio che abbiamo incontrato nella nostra carriera scolastica) e vogliamo vedere del buono in tutti i nostri alunni. Ecco quindi 10 casi di titoli promettenti, arrivati alla maturità, ma che poi, per un motivo o per un altro, sono usciti solo con un “60 e calcio in culo accademico“, consci del loro talento e quindi spronati a fare di più nel prossimo capitolo. Pronti per la nostra personale e irriverente dedica a tutti gli studenti ed ex-studenti? Chiudete i libri e leggete la nostra top 10!
Mafia II – il ragazzo è sveglio ma non si applica
Mafia II è l’emblema perfetto del gioco che non ha studiato abbastanza. I presupposti per andare a consegnare allo scaffale un capolavoro fatto, finito e da giocare ad ogni costo c’erano tutti. Il fascino davvero senza tempo di un’ambientazione a cavallo tra gli anni ’40 e ’50, videoludicamente poco battuta ma allo stesso tempo una garanzia di per sé per il grande pubblico cresciuto nell’immaginario cinematografico e televisivo della malavita organizzata, per iniziare. Ma anche una grandissima caratterizzazione dei personaggi, la capacità di raccontare una grande storia (e senza voler a tutti costi arrivare al lieto fine, anzi lasciando dopo i titoli di coda un gusto veramente amaro in bocca. Come il caffè all’italiana) e anche qualche chicca ludica, come un modello di guida dannatamente convincente e una riproduzione digitale realistica come non mai delle varie macchine proposte – inclusa la necessità di tanto in tanto di doversi fermare a fare benzina. Il problema? Il voler a tutti costi giocare nel mondo degli open world, andare a sfidare di petto Gran Theft Auto, senza riuscire a popolare il mondo di gioco in modo convincente, o se per questo senza riuscire a popolarlo punto e basta. Non c’è davvero niente di meglio da fare in città che dar la caccia ai collezionabili, e le poche attività presenti (praticamente solo le rapine) vengono quasi subito a noia. Un vero peccato, perché con un po’ di furbizia in più staremo parlando di un titolone senza se e senza ma. Così Mafia II si accontenta di essere “solo” un’esperienza a cui concedere un tentativo, e poi decidere se amarla per gli indubbi pregi oppure odiarla per i troppi difetti.
Ultra Street Fighter II: The Final Challengers – la Bibbia, ma fatta così e così
Street Fighter II è probabilmente il punto più alto che la serie Street Fighter (a sua volta, probabilmente il punto più alto raggiunto dal genere picchiaduro) abbia mai toccato. Su questo non ci piove, non ci può piovere e non ci pioverà mai. È inevitabile però che tra le otto edizioni del titolo ce ne sia qualcuna più sottotono delle altre, qualcuna che si può tranquillamente evitare e qualcun’altra di cui invece non si sentiva sinceramente il bisogno. E poi c’è The Final Challengers, che paga l’essere arrivata sul mercato dopo l’ottimo HD Remix uscito su PS3 e Xbox 360 – lanciato all’epoca ad un prezzo talmente popolare a cui nessuno poteva dire ragionevolmente no. Stessi contenuti di base (più due personaggi extra, quelli effettivamente apprezzati), ma una modalità al limite dell’inutile come “La Via dell’Hado” e la possibilità di giocare il titolo anche in mobilità – da questo punto di vista tra l’altro Switch, per via del suo D-Pad che non è un D-Pad, non se la passa proprio benissimo – non riescono a giustificare il prezzo di lancio richiesto dalla casa di Osaka. Rimandato a settembre quindi, o a qualche promozione particolarmente vantaggiosa. Perché comunque c’è scritto Street Fighter II e dire un “no” secco è davvero impossibile.
Gravity Rush 2 – la Regina che dice “che mangino brioche”
Gravity Rush 2 è il perfetto esempio di una tendenza ai limiti del preoccupante che sta coinvolgendo il videogioco moderno, quella di voler ad ogni costo inserire contenuti su contenuti pur di garantire ore di gioco all’acquirente. Che c’è di male? C’è di male che quando siete davanti allo scaffale non state solo investendo monetariamente, ma vi state preparando ad investire qualcosa di molto più prezioso: il vostro tempo. Qualunque idiota con dei soldi può acquistare un videogioco, molto più oneroso è invece dedicargli parte del proprio tempo libero. E quindi, più che la quantità di contenuti bisognerebbe iniziare a spingere (e a credere) nella qualità di questi. L’alternativa? Gravity Rush 2 appunto, un titolo che dal punto di vista ludico sbaglia ben poco e che avrebbe avuto tutto il potenziale per essere l’ennesimo grande colpo di PlayStation 4, ma che invece si perde. Si perde in sezioni inutili, si perde in missioni secondarie insipide, si perde in un brodo allungato forzatamente che permette al gioco di ingranare solo dopo un po’ di tempo, lasciando la sgradevole sensazione che fino a quel momento il tempo si sia semplicemente sprecato. Un peccato, perché se invece ci si fosse concentrati sulla qualità (se lo spauracchio era non riuscire a giustificare i 70 euro del prezzo di lancio, si poteva tranquillamente puntare alla fascia di Ratchet & Clank) parleremmo di tutt’altro.
Steep – Che è tanto bravo ma lascia sempre i compiti a metà
Steep, creatura dei ragazzi di Ubisoft Annecy, che probabilmente vanno a lavoro con sci e parapendio, è sicuramente un bel titolo per gli amanti degli sport invernali, infatti lo abbiamo premiato con un 8 e pacca sulla spalla. Il problema è che, se da una parte il gameplay a base di neve è candidamente divertente, dall’altro mancano certi dettagli sinceramente imperdonabili per questa generazione, che denotano una certa frettolosità da “fatemi uscire da questa scuola e facciamola finita“. Un titolo dove si respira aria di montagna, tanto da far venire voglia di polenta e capriolo solo giocandoci, ci lancia nel mondo di gioco, tra Alpi italiane, svizzere e francesi completamente soli. Mancano i rivali, sostituiti da meri “fantasmi” ma soprattutto manca pubblico, mancano animali, manca vita. Dopo un elettrizzante discesa a fil di roccia in tuta alare, atterriamo in un ridente paesino e ad attenderci c’è soltanto desolazione post-apocalittica. Pazzesco, soprattutto in un gioco dove l’amore per queste terre si respira a pieni polmoni, vivere un’esperienza dove la solitudine sarà la nostra unica compagna, escludendo il lato multiplayer ovviamente. Troppa fretta di farlo uscire lasciando indietro “dettagli” secondari? Pessima ottimizzazione dell’Anvil Engine, che non avrebbe retto ad un open world movimentato? Vai a sapere, basta che nel secondo capitolo pensino anche al contorno, fondamentale ai fini dell’atmosfera, che così è veramente di una tristezza leopardiana.
Watch Dogs – Lo studente bravo solo in alcune materie
Quando nell’ormai E3 2013 Ubisoft presentò una nuova IP: Watch Dogs, i commenti da parte di pubblico e critica furono quasi totalmente positivi. La grafica e il sistema di gioco mostrati all’interno del trailer (già leakato in precedenza su Youtube) mettevano in risalto una grande qualità che per alcuni avrebbe potuto addirittura fare concorrenza a uno dei maggiori titoli delle ultime due generazioni videoludiche: Grand Theft Auto V. Ma Watch Dogs rappresenta due tipologie di studenti: quello nuovo che vuole farsi notare, ma che non si sono impegnati poi abbastanza appena superato l’ambientamento; ma al tempo stesso ricorda anche quei casi che dividono i professori, perché il titolo Ubisoft eccelle in determinate caratteristiche, ma “non si impegna abbastanza” su altri fondamentali punti. Il sistema di guida e la trama che vede come protagonista Aiden Pierce non sono stati all’altezza delle aspettative, abbassando notevolmente i voti che avrebbe potuto ricevere se questi problemi fossero stati risolti.
Star Fox Zero – La Potenza è nulla senza Controller (cit.)
Quello di Star Fox Zero è stato un vero e proprio pasticcio, architettato e portato sugli scaffali in maniera diabolicamente testarda da due software house, Nintendo e PlatinumGames, che fanno della perfezione nel gameplay e nel sistema di controllo il loro baluardo da sempre. Un po’ come un bravissimo alunno che prende sempre 9 e poi, un giorno, fa una verifica da 4; può succedere, però è un gran peccato. Nato per sfruttare le peculiarità del GamePad di un già morente Wii U, questo episodio numero Zero della volpe spaziale è stato oggetto di un’ottusità fuori scala, con protagonista e colpevole, si dice, Miyamoto stesso, il quale avrebbe insistito per incentrare in gameplay del titolo sui sensori di movimento. L’idea di per se è tutt’altro che cattiva, e mirare con i sensori di movimento in uno shooter è pratica apprezzata dai tempi di Wii, con Sin & Punishment e Metroid Prime 3: Corruption sugli scudi grazie ad una giocabilità studiata a puntino su questa feature. Qui però qualcosa è andato terribilmente storto e, come potete vedere nel video poco più in alto, non solo controllare la navicella di Fox risulta macchinoso sulle prime, con una telecamera bizzosa che poco si sposa con il genere (poi ci si abitua e ci si diverte anche, dopo aver finito le imprecazioni) ma è soprattutto il sistema di mira ad essere impreciso e “rotto”, con un reticolo che sfalsa in maniera urticante la traiettoria dei proiettili, richiedendo una certa dose di improvvisazione per raggiungere risultati soddisfacenti, senza dimenticare la necessità di spostare continuamente lo sguardo tra TV e paddone, con conseguente alto rischio di strabismo. Tutti ci siamo chiesti se non sarebbe stato meglio fare un passo indietro e concentrarsi sul gameplay piuttosto che su una gimmick fine a se stessa, dati anche i continui ritardi che il gioco ha subito proprio per “perfezionare” le sue meccaniche. La risposta è ovviamente un SI grosso come
Modnation Racers – Il clone che si applica, ma rimane comunque un clone
C’è da dire che Modnation Racers è stato concepito in un periodo abbastanza difficile. Si era di poco lontani dall’influenza creativa di quel colosso che è stato LittleBigPlanet, rilasciato nel 2009 (un anno prima di Modnation, dunque), e si sentiva il bisogno di un titolo di corse leggero e scanzonato, con ampie possibilità di personalizzazione in mano all’utenza. Modnation Racers si porta dietro l’eco di quel Crash Team Racing che nel 1999 tentò (non senza successo) di contrastare l’enorme impatto di Mario Kart 64, rilasciato pochi anni prima e già in grado di dominare il mercato ai tempi. Tentando di riproporre la formula arcade dei kart (anche se veri kart non sembrano), il titolo Sony voleva forse tentare di riportare il genere anche sulle console Sony, dopo anni di silenzio interrotti solo da qualche tentativo sparso (come Crash Tag Team Racing e Jak X, entrambi del 2005). Dalla sua, Modnation Racers ha un sistema di creazione delle tracce non indifferente, ottime possibilità di personalizzazione del proprio kart e anche una buona dose di divertimento, se giocato con la giusta attitudine mentale; peccato che abbia portato veramente poco (o nulla) di nuovo al genere, riproponendo la formula dei power-up da raccogliere in corsa e avanzando un track-design che non fa certamente gridare al miracolo. Se non volete fare la sua stessa fine, evitate di copiare alla terza prova di quest’anno.
Bloodborne – Quando tentenna un po’ e decidi di rimandarlo (alla prima patch)
Quando si nomina FromSoftware, ci sono troppe cose che spingono con prepotenza nella propria mente: level-design fenomenale e organico, character-design da urlo, narrazione silente e tante altre cose belle che accompagnano da anni i fan di Dark Souls e derivati. Quando si tratta di parlare della parte tecnica, però, ci si chiede spesso se non sia il caso di applicare il Teorema della Scimmia Instancabile, dato che a volte sembra quasi che il codice sia stato composto a caso e per fortuna da una serie di primati (e lo diciamo senza cattiveria, sia chiaro). Il caso della Città Infame del primo Dark Souls è diventato leggenda coi suoi 10-15fps su console (e non è che su PC sia da meno), e problemi simili non potevano che riflettersi anche sullo splendido Bloodborne, uno dei titoli artisticamente più impressionanti di questa generazione. Framerate a dir poco ballerino, caricamenti lunghi in maniera imbarazzante e qualche glitch poco piacevole rischiavano di minare profondamente l’esperienza di gioco complessiva, che era comunque degna di un qualsiasi capolavoro; fortuna che, nel giro di qualche tempo, FromSoftware ha rilasciato le prime patch, che hanno effettivamente “rattoppato” tutti i buchi di programmazione che potevano esserci stati (almeno, in larga parte). Succede, quando non si studia bene al primo colpo.
PES – Quello che una volta era bravo ma si è stufato di studiare
Nel corso della nostra carriera scolastica, tutti abbiamo avuto un amico che era partito a mille, ma che a un certo punto, per motivi esterni o meno, è crollato, e il suo rendimento non è stato più lo stesso. Se non conoscete persone del genere, probabilmente l’amico di cui parlavamo non siete altro che voi. PES, al secolo Pro Evolution Soccer, ha vissuto una storia simile. Dai tempi della primissima PlayStation, il titolo si è infatti sfidato con il titolo di EA Sports – FIFA – battaglia che dura ancora oggi e che viene del tutto stravinta da quest’ultima.
Cos’è successo a PES? A cosa è dovuto questo incredibile crollo? Bisogna prima di tutto partire da una premessa: la serie, malgrado abbia toccato punti molto bassi a causa di problemi legati a budget e a scelte poco comprensibili, non è quel gioco da molto definito come “scrauso”. Chi ha avuto modo di provare entrambi i maggiori titoli di simulazione calcistica degli ultimi anni (bravo Gaetano), ha però apprezzato il tentativo di risollevarsi dopo stagioni del tutto buie. PES era quello studente bravissimo, uno dei migliori della classe, ma a un certo punto è stato surclassato da tanti e ha finito per perdersi. Attenzione però, perché malgrado tutti i difetti (e ce ne sono eccome, è inutile negarlo), qualche miglioramento c’è stato; non ci resta quindi che sperare in un ritorno del titolo che magari creerebbe una concorrenza da cui tutti – giocatori, Konami ed EA – potrebbero beneficiare.
Assassin’s Creed – Si premia l’originalità, ma che due c*****ni
Vi è mai capitato di avere in classe quel compagno presuntuoso, antipatico e pieno di sé che fa sempre progetti fenomenali, discussioni impareggiabili e ottimi lavori, suscitando la vostra invidia e il vostro fastidio? Il problema è che molto spesso non potete dirgli nulla, perché magari è semplicemente in grado di svolgere bene compiti e progetti. Ciò non toglie che sappia essere anche noioso oltre ogni misura; ecco, quello che abbiamo descritto è il modello base del nostro Antonino Lupo, che non ha smesso di annoiare gente neanche quando ha iniziato a scrivere tra queste pagine. Ma è anche un buon esempio di cosa fosse il primo Assassin’s Creed, capostipite di una saga che giusto in questi giorni ha partorito l’annuncio di Assassin’s Creed Origins, tra polemiche e acclamazioni da parte dei fan. Il primo Assassin’s Creed aveva tante frecce al proprio arco, tra cui l’aver concepito un’idea originale e apprezzabile che vedeva opposte la setta degli Assassini e quella dei Templari, in una battaglia storica che si muoveva attraverso i secoli. Uno degli archi narrativi più complessi mai concepiti nasceva proprio lì, in quella Gerusalemme del 1191 (anche se da noi tecnicamente era il 2007), quando il Gran Maestro Altaïr (che allora non sapevamo sarebbe diventato Gran Maestro) bazzicava per le vie del Medio Oriente consegnando lettere e cercando bandiere. Tutto bellissimo e originale, per carità, abbastanza da generare una mole infinita di seguiti e declinazioni di quella formula narrativa; ma non è che ci fosse molta varietà, nella formula di gioco del primo Assassin’s Creed. Tutto si riduceva a correre di qua, uccidere di là, pedinare, prendere, consegnare, ascoltare dialoghi lunghissimi e non skippabili e fare una lunga serie di altre cose over-and-over-again. Non che i capitoli successivi abbiano risolto del tutto il problema (Ubisoft sembra non capire che non è bello fare trentaquattro secondarie tutte uguali, per sei volte nello stesso gioco); ma almeno il problema è stato limato un po’.
Round “maturità”: Fight!
Arrivati alla fine di questa lettura avrete capito che non possiamo certo propinarvi la solita, trita e ritrita portata vendittiana strappalacrime e strappamutande. Se domani esordirete alla maturità non perdete tempo a farvi venire l’ansia in questa benedetta notte prima degli esami, ma anzi sfogatevi e distraetevi fino a notte fonda con le infinite combo di Bayonetta, urlando contro un tedesco o un francese (in tedesco o francese, per allenare le vostre doti linguistiche) in Mario Kart 8 Deluxe, oppure fatevi trebbiare dalle amenità di un Dark Souls qualunque, che vi farà sembrare la sofferenza dei banchi di scuola una passeggiata di salute. Insomma, scendete in campo da buoni videogiocatori, impavidi, coraggiosi e pronti a tuffarvi in un nuovo livello di difficoltà. Vedetelo come un gioco orribile che va recensito per forza, oppure come una recensione nei vostri confronti, puntando ad avere un Metacritic degno di Breath of the Wild. Insomma, buona fortuna a tutti i laureandi e a chi ha già vissuto questa piccola tortura scolastica, da I Love Videogames!
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