Con The Ringed City, uscito alla fine di marzo, la saga di Dark Souls realizzata da From Software giunge alla sua conclusione.
Il messaggio sembra essere chiaro: la serie sta collassando per il suo stesso peso.
Dopo
Demon’s Souls,
Bloodborne, e tre capitoli della serie Souls (per quanto uno privo della regia di
Hidetaka Miyazaki), è anche lecito aspettarsi che le idee potessero iniziare a scarseggiare. Ed infatti, per quanto sia potuto risultare affascinante il mondo di
Lothric ( e delle altre località esplorate nel terzo capitolo), il fatto che la storia ricalchi abbastanza da vicino la narrazione del capostipite della saga
Dark si avverte fin da subito. Analizzando l’opera su un livello metanarrativo, si potrebbe quasi trovare un parallelo fra la situazione dei DLC e quella del gioco in sé, come prodotto autoriale: per accedere alla zona centrale che da il nome al DLC, ovvero la
città ad anelli, dobbiamo attraversare diversi strati del
cumulo dei rifiuti.
Lothric, il mondo di
Dark Souls III, è in cima, con alcuni elementi strutturali ancora intatti. Scendendo attraversiamo prima la palude e le rovine del picco terrestre, zona del secondo capitolo, inclinata di quasi novanta gradi e difficilmente riconoscibile, se non fosse per il nome, ed infine, schiacciato dal peso dei capitoli precedenti, troviamo i resti del santuari del legame del fuoco, ormai privi di significato. Il messaggio sembra essere chiaro: la serie sta collassando per il suo stesso peso. La pittrice del
mondo dipinto, ci chiede di utilizzare il sangue dell’anima oscura per realizzare un nuovo mondo: sacrificare ciò che da’ il nome alla saga, uno degli elementi più incisivi e pregni di significato nella storia del gioco per poter realizzare un nuovo mondo che possa un giorno essere
una buona casa per qualcuno. Usando lo stesso approccio interpretativo con questa ultima frase, si potrebbe leggere un riferimento alla saga e come sia arrivato il momento di lasciarla andare perché l’artista possa utilizzarne il sangue per realizzare qualcosa di nuovo. E parlando di interpretazione, è anche significativo che From Software non abbia voluto darci risposte certe neanche con la chiusura della saga, anzi aggiungendo nuove domande alla serie di dubbi che il giocatore poteva avere in precedenza, proprio per lasciare al giocatore l’opportunità di colmare con l’immaginazione gli spazi vuoti per un’ultima volta:
Il mondo è nato privo di conoscenza, e privo di conoscenza finisce. Una scelta che non intende accontentare tutti, ma che mostra fedeltà al disegno e alla visione che caratterizza le opere di
From Software, soprattutto quelle dirette da
Hidetaka Miyazaki. In sostanza, sembra quasi che il team di sviluppo nipponico abbia preferito far calare il sipario quando c’era ancora qualcosa da dire, piuttosto che correre il rischio di fare scena muta sul palcoscenico. Il che è encomiabile, vista la tendenza di produttori e software house a
spremere il più possibile i franchise di successo, sacrificando se necessario anche la visione autoriale originale.
Ma Dark Souls lascia anche un’importante eredità non solo a noi giocatori, ma a tutta la scena videoludica.
Il termine
soulslike viene ormai usato (talvolta anche in maniera maldestra,
come fa notare il nostro Pietro nella recensione di Nioh) per indicare tutto quel filone di titoli action rpg che sono nati dopo il successo del primo Dark Souls (i meriti di Demon’s furono riconosciuti “postumi”, quando ormai Dark era già celebre). In effetti, per quanto molti titoli abbiano i loro meriti e la loro originalità, sembra che nell’immaginario collettivo i Souls siano diventato un metro di paragone per giudicare questo genere. In alcuni casi poi, come
Lords of the Fallen, l’ispirazione è abbastanza esplicita da meritare l’appellativo. In altri, come Nioh, si potrebbe quasi pensare di fare un paragone più calzante utilizzando
Onimusha (e restando nel paese del Sol Levante anche per ambientazioni).
La serie Souls ha fatto riscoprire a pubblisher e giocatori il gusto per la sfida
Tuttavia, questa reverenza al titolo di
From Software non è priva di fondamento: sembra infatti che, dopo
Demon’s, ma soprattutto dopo il primo capitolo della serie Dark Souls, giocatori e produttori abbiano avuto un risveglio: i giocatori hanno ritrovato un gusto per la sfida e per mettersi alla prova senza selettori di difficoltà e apprezzato, alcuni dei più giovani per la prima volta, una tacita narrazione che vuole raccontare in silenzio. Gli sviluppatori, da parte loro, hanno riconosciuto che questo tipo di prodotto ha ancora una presa notevole, quando realizzato con cura, ed hanno iniziato quindi a prendere esempio dalla saga, con risultati altalenanti. Se da una parte possiamo apprezzare titoli come
Nioh, che coniuga lo stile tattico nell’approccio al combattimento dei
Souls con un sistema di attacco e difesa innovativo e molto originale, dall’altra abbiamo
Lords of the Fallen, che pur confezionando un prodotto discreto e piacevole da giocare e guardare, non ha quel mordente e quella personalità che hanno reso i souls un cult della scorsa e dell’attuale generazione. Sembra quasi di avere di fronte una bellissima, ma spenta, raccolta di figurine. Ciò non di meno, resta interessante vedere come gli sviluppatori tenteranno di colmare quel vuoto (almeno momentaneo) che sarà lasciato da
From Software prima di un ritorno sulla scena action RPG (che, per il momento, è probabile, ma non annunciato).
Volendo andare ad analizzare alcuni degli elementi che hanno contribuito al successo riscosso dalla saga, una componente dei Souls che è stata molto difficile da imitare, ma che ha innegabilmente contribuito alla loro longevità, è quella multiplayer.
Quando si parla di “build”, o maniere di investire i punti dei propri personaggi, la discussione si fa subito interessante, soprattutto confrontando le proprie scelte con quelle di amici, ma la possibilità nei Souls, da Demon’s a Bloodborne di confrontare le proprie scelte e le proprie strategie con quelle di altri giocatori (e, dall’ultimo aggiornamento di
Dark Souls III, persino in duelli a squadre) ha catalizzato l’attenzione di molti che vedono nel PvP il vero
endgame. Un boss può diventare ripetitivo nel tempo, ed una volta appresi tutti i dettagli dello scontro l’interesse cala, ma ogni incontro con un altro giocatore è una sorpresa. Ovviamente, una larga parte è stata giocata dall’aspetto novità di scontri all’arma bianca (con alcune magie), cosa che non molti titoli possono vantare di saper gestire.
La longevità è sempre stata un punto di forza di tutta la serie
La varietà dei Souls è apprezzabile però anche restando nell’esperienza da giocatore singolo: gli appassionati dei giochi di ruoli hanno potuto ottenere molte piacevoli ore di gioco extra affrontando l’esperienza ogni volta con un personaggio con una diversa distribuzione delle caratteristiche che utilizza armi diverse, e che quindi doveva affrontare le creature di gioco in maniera diversa. La longevità è sempre stata un punto di forza di tutta la serie, e questo senza gonfiarla in maniera artificiale come fanno molti giochi di ruolo che
nascondono l’accesso a determinate abilità ed equipaggiamento dietro muri di grinding (con la dovuta eccezione di alcuni contenuti legati ai patti. Dio salvi le anime di coloro che farmano
Prove di un Successo ad Anor Londo). Si tende a rivivere i contenuti per il gusto di farlo, e non perché è necessario per accedere all’incantesimo più forte di quello che abbiamo equipaggiato .Facendo tesoro delle lezioni apprese con ogni titolo rilasciato,
From Software ha cercato di conservare l’aspetto
GDR del titolo, anche se non sempre hanno saputo tradurre le buone intenzioni in risultati soddisfacenti. In retrospettiva, sembra quasi che la soluzione adottata da
Dark Souls, con magie più potenti e lanci limitati, sia stata la più accorta, mentre in
Dark Souls 2 la disponibilità (quasi) illimitata di lanci, ed il fatto che le principali scuole di magia avessero entrambe numerose opzioni per combattimenti a distanza, ha portato
From Software a ridurre i danni subiti dai nemici sensibilmente.
Anche
Dark Souls III ha seguito questa strada, richiedendo notevoli investimenti in termini di livelli per poter usare la magia con efficacia. Questo preambolo non voleva tediare con una storia di come la magia sia stata bilanciata dallo sviluppatore, ma semplicemente illustrare come, nonostante l’esperienza, sia stato abbastanza difficile realizzare un gioco bilanciato sia per il combattimento in mischia che per i
caster, ovvero i personaggi che fanno del lancio di magie a distanza il loro punto di forza. Sicuramente è lecito aspettarsi che un personaggio che investe nel lanciare magie dalla distanza sia vulnerabile nei combattimenti ravvicinati, ma fra ritorni abbastanza bassi sugli incantesimi, e la necessità di sacrificare estus prezioso per quello cinereo sembra aver portato molte persone a preferire un approccio più classico. Questo potrebbe essere una lezione preziosa per chi in futuro vorrà a sviluppare un sistema simile per la gestione delle risorse in un action rpg. Discutere su quale dei tre
Dark Souls (e volendo anche Demon’s Souls e
Bloodborne) risolti più
equo nel trattare diversi approcci al gioco però richiederebbe troppo tempo, anche se sarebbe interessante parlarne nei commenti.
Infine, non si può non parlare del design dei mondi di gioco. Spesso si dice che il mondo di
Dark Souls sia il vero protagonista della saga, e c’è sicuramente un fondo di verità in questa affermazione. Nell’universo narrativo
Souls, tutte le figure importanti della storia o mitologia del posto sono già morte prima che il nostro personaggio le raggiunga. L’esempio più lampante è
Anor Londo, la città degli dei. Raggiungere
Anor Londo nel primo Dark Souls era un forte impatto per il giocatore, che passava dalla desolazione velenosa della
Città Infame agli spazi stretti ed insidiosi della
Fortezza di Sen per reclamare il diritto di accedere a questo luogo. Ma quando raggiungiamo la città degli dei, scopriamo che quest’ultima è stata abbandonata già da molto tempo. Tutto ciò che possiamo apprendere degli antichi fasti dell’
Età del Fuoco derivano dal mondo di gioco stesso, dalla cattedrale, dalle statue degli dei, e dai pochi guardiani che ancora rimangono, ovvero i cavalieri d’argento e
Gwyndolin. Anche quando non ricorre ad architetture epiche, il mondo di Dark Souls riesce lo stesso a raccontare una storia degna di essere ascoltata. Uno dei temi centrali delle produzioni è sempre stato l’ineluttabilità del cambiamento, e di quanto siano effimeri gli sforzi dei Lord o delle autorità a cercare di realizzare un regno o un’era che duri per sempre. Perciò, quando ci troviamo a vivere il mondo di Dark Souls attraverso l’inevitabile declino che non risparmia nessuno, dai draghi agli dei, è poetico e calzante scoprire la storia del mondo di gioco attraverso i cambiamenti che l’hanno colpita. Persino Dark Souls II, che a causa del suo sviluppo accidentato ha dovuto fare compromessi abbastanza importanti in fase di produzione, riesce più volte ad avvincere il giocatore durante il suo viaggio a Drangleic, con scorci maestosi in luoghi come il Santuario di Amana, il Santuario dei draghi, o Eleum Loyce.
La sua cruenta cenere a calpestar verrà.
È molto difficile parlare di un titolo o di una serie a cui si è molto affezionati rimanendo oggettivi ed imparziali, ma si spera che in queste righe si sia riuscito a delineare un’analisi abbastanza chiara del come la saga dei
Souls sia riuscita a ritagliarsi uno spazio abbastanza importante nel cuore di tanti appassionati. Ora che la serie principale è giunta al termine, e non è neppure chiaro se From Software intenda continuare nel solco da loro tracciato o se prendersi una pausa considerevole per dedicarsi agli altri loro franchise che, effettivamente, sono stati trascurati nel corso degli anni (come
Armored Core, il cui ultimo titolo Verdict Day risale al 2013), il testimone potrebbe essere raccolto da altri sviluppatori ambiziosi. La sfida sarà nel saper realizzare un prodotto nuovo con una propria identità, senza scadere nell’imitazione o nell’eccessiva reverenza verso un titolo che, almeno nelle intenzioni degli autori, non ha mai cercato di essere nulla di più di ciò che veniva presentato. Come abbiamo visto, sono stati diversi gli aspetti che hanno fatto sì che Dark Souls guadagnasse l’affetto dei fan. Tuttavia, proprio nei margini di miglioramento che la serie non è riuscita a raggiungere potrebbe esserci la chiave per un degno erede della fiamma.
Dark Souls non è un mostro invincibile: ci sono ampi margini dove From Software (o altri) possono migliorare
Dal punto di vista di chi vi scrive, uno dei più grossi limiti della serie è sempre stata l’
illogicità e masochismo di alcune scelte di From Software nel limitare come i giocatori potevano incontrarsi online. Prima di Dark Souls III, non esisteva neppure un sistema di password per la co-operazione o i duelli, ed in generale il sistema di invasioni e co-operativa è rimasto ancorato alle scelte del capostipite,seppur con alcune modifiche. Tra alcuni dei limiti più strani, non è possibile invadere in una zona il cui boss è stato sconfitto, con il risultato che parecchi giocatori nelle prime fasi del gioco (prima dell’inserimento dell’arena) furono costretti a realizzare personaggi con il solo scopo di arrivare in una delle zone nevralgiche per il PvP, fermarsi senza uccidere il boss della zona e cominciare ad evocare altri giocatori. Sicuramente, un sistema multigiocatore un po’ più intuitivo sarebbe apprezzato da molti giocatori, e sarebbe un ottimo punto su cui iniziare a costruire sull’eredità Soulsiana.
Un altro tema su cui si potrebbe pensare di realizzare qualcosa di innovativo e forse anche migliore è il sistema delle magie. Il sistema di cast limitati del primo Dark riprendeva da vicino una soluzione molto cara agli amanti di giochi di ruolo da tavolo, e, per una bizzarra coincidenza, la scelta è molto simile a quanto fatto da un’altra celebre saga nipponica, quella di Final Fantasy (che nella sua prima versione aveva un sistema ad utilizzi, poi rimpiazzato da punti magia nelle riedizioni successive). Magie, incantesimi e miracoli nel gioco sono molto evocativi, ma difficilmente gli sviluppatori sono riusciti a raggiungere un punto di equilibrio nella serie, con magie che risultavano troppo efficaci, o troppo poco. Ovviamente a questo punto il discorso non ha più la pretesa di essere completamente oggettivo, ma, ipoteticamente, cosa potrebbe migliorare un eventuale seguito spirituale di questa dinastia di titoli?
La risposta dipenderà in base al giocatore ed alle sue preferenze, e sarebbe interessante potersi confrontare e discutere le vostre opinioni, magari con un commento o sulla nostra pagina.
Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.
Il successo di
Dark Souls non è da ricercare
esclusivamente in meccaniche innovative di gameplay o di narrazione, ma nel aver saputo proporle in maniera organica in un prodotto confezionato con molta cura per i dettagli. I giocatori hanno apprezzato questo azzardo iniziale della software house nipponica che si è allontanata dagli schemi tradizionali, e sarà interessante vedere come in futuro altri sviluppatori sfrutteranno questa nuova nicchia. L’Anima Oscura è stata divisa tra i discendenti del pigmeo furtivo, e prima che torni a farlo
From Software, sono sicuro che altri sviluppatori cercheranno di appagare il bruciante desiderio di umanità, che affligge tutti quelli che sono stati colpiti dall’incantesimo, o forse maledizione, della serie.
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