È trascorso quasi un mese dal referendum che ha sancito la volontà del popolo britannico di uscire dall’Unione Europea, meglio noto come
Brexit. Alla luce del risultato che si è delineato lo scorso
23 Giugno sono molti gli avvenimenti che si sono avvicendati, dal contraccolpo subito dalle borse di mezzo mondo alle dimissioni del premier inglese
Cameron, mentre commentatori ed opinionisti hanno colto l’occasione per affermare tutto ed il contrario di tutto su un argomento che è stato discusso molto ma raramente con il giusto grado di approfondimento. Mentre è certo che nulla cambierà nel breve periodo,
la procedura di fuoriuscita dall’Unione Europea prevede un iter di circa 2 anni, le conseguenze sul lungo periodo saranno indubbiamente molte,
anche sul medium videoludico.
Da Rare a Rockstar, passando per Rocksteady
Il Regno Unito, pur se con una magnitudine inferiore rispetto ad altri poli come Canada o Stati Uniti, occupa da sempre una posizione di primo piano nell’industria dei videogiochi europea. Inglesi sono studios come
Rockstar North (GTA) e
Rocksteady (
Batman). In Inghilterra operano sezioni di
EA ed
Ubisoft dedicate alla pubblicazione ed al marketing.
Microsoft possiede lo storico studio
Rare.
Sony ha degli studi di sviluppo a Londra e Cambridge, così come due uffici nella capitale. Ed ancora sono inglesi software house storiche come
Team 17, responsabili della serie
Worms e publisher del futuro
Yooka-Laylee, e tantissimi team indipendenti. Questo ruolo di primo piano nasce indubbiamente dalla vocazione multiculturale che ha fino ad oggi avuto il Regno Unito. Da sempre meta prediletta di immigrazione da tutta Europa, grazie alle attrattive della metropoli londinese e dei centri di eccellenza universitaria,
il Regno Unito riceve ogni anno vagonate di cervelli e braccia, pronte ad inserirsi in ogni settore lavorativo. L’industria dei videogiochi non fa eccezione, e ciò ha finora permesso agli studios inglesi di accogliere i più brillanti sviluppatori e neolaureati di mezza Europa, creando ambienti di lavoro multiculturali e di alto livello. Ciò è certamente facilitato dai regolamenti dell’Unione Europea, che permettono ai suoi cittadini di spostarsi liberamente tra gli stati membri e di recarsi in un altro paese per studio o lavoro con relativamente poche beghe burocratiche.
La grande fuga di cervelli
Se è vero che nel futuro immediato non cambierà nulla e che è ancora impossibile fare previsioni (i due anni del procedimento di fuoriuscita serviranno appunto per permettere al Regno Unito di stringere nuovi accordi con i singoli paesi dell’UE in luogo di quelli attualmente esistenti),
la possibilità che nel giro di qualche anno sia necessario ottenere un visto per spostarsi a lavorare o studiare in UK potrebbe avere effetti devastanti sull’industria. Oltre alle difficoltà oggettive ed alle eventuali lungaggini burocratiche si deve infatti anche considerare l’effetto deterrente verso gli emigranti, non più liberi di fare piani a lunga scadenza riguardo alla loro permanenza oltremanica. Nel giro di pochi anni gli studios inglesi potrebbero quindi ritrovarsi con un
ridotto apporto di talenti e magari essere costretti ad abbassare gli standard di assunzione dovendo scegliere non più tra i candidati provenienti da un unione di 500 milioni di abitanti ma tra i soli 64 milioni di cittadini inglesi.
I soldi fanno girare il mondo (anche quello dei videogiochi)
L’altra possibile conseguenza della Brexit sull’industria videoludica inglese è di
natura economica. È risaputo che l’incertezza non fa bene agli affari, ed il risultato della votazione dello scorso 23 Giugno ha scatenato grande incertezza. A partire dalla formazione di un nuovo governo inglese, arrivando poi alle molte domande sul futuro più o meno immediato. C’è chi ha parlato di organizzare un nuovo referendum. Le spinte indipendentiste scozzesi e di riunificazione dell’Irlanda sono tornate a farsi sentire. Non sappiamo neanche quando la procedura di uscita verrà avviata e che tipo di condizioni l’UE proporrà al Regno Unito. Tutto questo preoccupa i mercati ed in questo momento ciò
rende le grandi multinazionali scarsamente propense ad investire in Inghilterra. Chi ha studios in più paesi sarà sicuramente tentato di privilegiare quelli in località più stabili, dove è più facile fare progetti a medio e lungo termine. Come parte dell’Unione Europea, inoltre,
il Regno Unito ha finora goduto di fondi e finanziamenti rivolti anche all’industria videoludica, come il progetto
Creative Europe, di cui hanno beneficiato, tra gli altri, anche team come
The Chinese Room,
Italic Pig e
Revolution Software. Tutto questo in una prospettiva post-Brexit andrà a finire, diminuendo ulteriormente il supporto finanziario agli studios inglesi.
Mors tua, vita mea
Cosa potrebbe, quindi, succedere? È plausibile che ci sarà un doppia tendenza dell’industria videoludica a spostarsi verso altri lidi. Uno spostamento di investimenti economici in altri paesi, reso conveniente magari anche da costo della vita e salari minori: le grandi case potrebbero decidere di
depotenziare gli studios inglesi spostandosi in altre zone d’Europa od addirittura fuori Europa. Allo stesso modo gli sviluppatori potrebbero decidere di emigrare non più verso l’Inghilterra, ma verso altre mete improvvisamente più appetibili. Sicuramente a beneficiarne potrebbero essere altri paesi anglofoni, ma a sorpresa anche paesi dell’Est Europa, grazie a costi minori e ad una scena che è in pieno boom, basti vedere
CD Projekt (
The Witcher 3) e
Techland (
Dying light) in Polonia,
Croteam (
Serious Sam,
The Talos Principle) in Croazia,
Bohemia Interactive (la serie
ArmA) in Repubblica Ceca,
4A Games (
Metro 2033/Last Light) in Ucraina e così via. A dirla tutta, gli scenari aperti dalla Brexit potrebbero addirittura giovare all’Italia.
La Brexit come opportunità
Tradizionalmente l’Italia non è terra aperta alle novità tecnologiche e di sicuro per le sue complessità burocratiche ed arretratezze culturali non lascia molto campo libero a chi vuole sviluppare videogiochi restando nello Stivale. Negli ultimi anni eppure qualcosa si muove, a partire dai risultati sempre più consistenti ottenuti da giovani team come
Storm in a Teacup o dagli storici
Milestone. Inoltre in Italia si è aperto di recente un intero discorso relativo alla formazione dei futuri sviluppatori di videogiochi, con la nascita di numerosi corsi e scuole, tra cui vale la pena di ricordare
Digital Bros Academy e
La Scuola Internazionale di Comics. Infine,
AESVI, L’associazione italiana degli sviluppatori ed editori di videogiochi, da anni si batte per l’
estensione del Tax Credit allo sviluppo di videogiochi. Si tratta di una serie di sgravi fiscali che lo stato italiano concede a chi produce in Italia opere audiovisive come film e serie tv. Al momento i videogiochi non sono compresi tra le categorie di prodotto che posso beneficiare di questi incentivi, ma se in un futuro prossimo venissero equiparati agli altri prodotti audiovisivi,
si potrebbe generare un circolo virtuoso di investimenti anche nel nostro paese. L’ideale sarebbe che ciò avvenisse in tempo per capitalizzare dalla fuga di investimenti e di cervelli che potrebbe scaturire dalla Brexit. Eh sì, è bello sognare.
#LiveTheRebellion