Metal Gear Solid V è iniziato come è finito. Fra un polverone di indiscrezioni, dichiarazioni shock su Kojima, prima smentite, poi confermate, diventate peggio di una soap opera amorosa che ha segnato l’addio del “maestro” da Konami. Un titolo che riflette tutto questo travaglio e che in qualche modo si ripercuote su di noi.
Non posso dire di non aver letteralmente amato l’ultima fatica di Hideo. Sono stato toccato nuovamente, e di questo ne sono felice. MGS V è stata forse una delle esperienze più forti a livello emozionale di quest’anno. La maestria di ogni singola inquadratura, ogni discorso, ogni risvolto della storia riesce a trasmettere qualcosa. Kojima ci lascia regalandoci Quiet, che con i suoi silenzi e il suo “tema”, canticchiato da una voce quasi strozzata, fa venire la pelle d’oca ogni volta che incrociamo il suo sguardo. In tutta questa perfezione però c’è qualcosa che non riesce a funzionare. Non è la frammentazione della storia, e nemmeno il troppo tempo speso a gestire il proprio esercito e la nuova Mother Base (elementi ereditati di forza da Peace Walker), anche l’apertura della struttura classica verso l’open world, già avvenuta con Ground Zeroes e qua espansa ulteriormente, funziona bene e incentiva il giocatore a sperimentare.
Quello che invece non riesce a fare MGS V, o forse proprio Kojima, è quello di dare un vero finale al gioco, un’opera che sa di incompiuto e che forse aveva ancora molto da dire, specialmente sulla figura di Big Boss (e chi vuol capire capisca). Probabilmente rivedremo la serie, del resto è l’ultimo grande appiglio per Konami prima di implodere su se stessa, ma nulla sarà più come prima, senza Kojima.
Sono affezionato a Yakuza, è una serie che meriterebbe molta più attenzione da parte del pubblico, spesso troppo distratto per accorgersi di quello che si trova davanti. E per metterci mano ho dovuto aspettare oltre 3 anni. Mentre i giapponesi fremono sul trailer del sesto capitolo in arrivo nel 2016 per il decennale della serie (oltre ad essere uscito uno spin-off e un prequel) noi finalmente possiamo mettere le mani su Yakuza 5.
Il titolo di Nahoshi-san è un treno in corsa impossibile da fermare, un vortice di emozioni, uno spaccato di vita di 5 personaggi, legati fra loro da un destino imprevedibile. Questo nuovo capitolo poi è un punto di rottura all’interno della serie, che cerca di andare in nuove direzioni, pur mantenendo ancorate le radici nella propria tradizione. Grazie alla mole spropositata di cose da fare, dalle corse clandestine al gestionale di idol, ai vari minigiochi presenti (su tutto la versione completa di Virtua Fighter 2), vi ruberà tanto di quel tempo che sarà impossibile volersi staccare dal gioco non prima di averlo completato in ogni sua singola parte.
Splatoon è stata la più grande novità di questi ultimi anni e sul quale puntavo di più quest’anno. Un titolo su cui Nintendo ha speso molte energie (soprattutto a livello di marketing) e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, diventando un vero e proprio successo commerciale. E la cosa stupisce ancora di più perché a farlo è in un area di competenza che per Nintendo è una grande incognita, riuscendo nell’impresa di offrire una delle migliori e più divertenti esperienze in ambito multiplayer online.
Splatoon è la sintesi perfetta di una formula alchemica che mette insieme uno splendido design (dai personaggi al level design delle arene), una colonna sonora alla quale è impossibile trattenersi e un gameplay tanto semplice quanto ipnotico, il tutto condito da un netcode da far invidia. Lontano dalle atmosfere speudo seriose di un COD “de’ noantri”, con la sua freschezza e la natura prettamente multiplayer, riesce a farsi valere anche con un single player che sembra quasi imbastito in fretta e furia come contentino, ma che regala una delle migliori boss fight degli ultimi anni, non solo nell’universo Nintendo, ma dei videogiochi in generale. Anche la formula con cui è stato rilasciato, che all’inizio poteva sembrare disastrosa e poco funzionale (pochi contenuti al D1 per poi rilasciarli nel corso dei mesi) si è rivelato essere in suo punto di forza offrendo supporto al gioco fino al mese di Gennaio, tenendo incollati i giocatori con le uscite di nuovo materiale gratuito settimanalmente e gli Splatfest a cadenza mensile.
Splatoon è la chiara dimostrazione che non serve chissà quale grafica fotorealistica o spargimenti di sangue per avere successo, se alla base c’è un idea genuina come questa.
Devo farvi una confessione. Sono, come molti altri, un fan di The Witcher dell’ultim’ora. In un raptus degno del miglior poser internettiano, dopo aver prenotato senza battere ciglio la corposa (e costosa) limited, mi sono guardato allo specchio e mi son detto: “E mo?”
Tornato in me, fra le varie cose di quest’anno e ad un mese dall’uscita del gioco, ho rispolverato la mia fida Xbox 360, recuperato una copia del secondo capitolo e rimboccato le maniche. Quello che è successo è stato amore a prima vista per Geralt e gli stupendi personaggi creati da Cd Projekt Red. Ringrazio la mia determinazione per aver affrontato questo viaggio, che mi ha permesso di apprezzare ancora meglio questo terzo capitolo. Per quanto ci si voglia illudere, non c’è niente da fare per apprezzare al meglio The Witcher 3 bisogna necessariamente aver affrontato gli altri (e già solamente con il secondo penso di essermi salvato pelo pelo). Ogni storia, ogni singolo racconto va a ripescare e introdurre personaggi del passato, con continui riferimenti a fatti accaduti che, senza le dovute conoscenze pregresse, rendono il tutto un pappone senza senso e fin troppo confusionario. Quello che ho apprezzato di The Witcher 3 (della serie in generale) è la sua natura fantasy, genere solitamente a me piuttosto indigesto, che contrariamente al altre produzioni risulta più fresco e moderno, lontano da certi stereotipi e ritmi soporiferi. Merito anche della caratterizzazione dei personaggi, dove anche il più brutto ed insignificante ha più carisma e spessore della maggior parte dei protagonisti delle serie più famose e blasonate. Quello di The Witcher 3 è stato un viaggio stupendo durato centinaia di ore, la cui sua unica pecca è stata quella di soffrire di un frame rate (almeno su PS4) che in più di un occasione ha reso ardua questa magnifica avventura nonostante la pioggia di patch per tamponare la situazione (alla faccia di chi “no ma io non ne ho notati tanti di rallentamenti”). Estasiato ed esaltato dalla conclusione della storia di Geralt non posso, ora, che bramare l’arrivo di Cyberpunk 2077.
Ed eccoci in vetta alla classifica. Come accennato in apertura, Xenoblade Chronicle X è l’unico titolo in top che non ho ancora finito, ma che ho deciso di mettere (e premiare) lo stesso per due buone ragioni: ho sfiorato da poco le 100 ore, collezionate da Natale ad oggi, e con il progresso della storia sono praticamente indirizzato verso il finale. Mi sono sentito quindi abbastanza coperto nel poter giudicare questa grande esclusiva Nintendo,
che è riuscita a non farmi pesare troppo l’assenza del nuovo
Zelda e
Star Fox, che arriveranno nei prossimi mesi.
Per quanto simili, Xenoblade Chronicles X è un titolo
completamente diverso rispetto al prequel,
con un gameplay ancora più espanso ed appagante (
sotto l’aspetto ludico) e una struttura suddivisa in missioni che sembra penalizzare l’aspetto narrativo. Sebbene di primo acchito questo aspetto (
unito ad una progressione preclusa da alcuni requisiti fondamentali) possa in qualche modo frenare la progressione della storia,
una volta presa confidenza con il titolo Monolith ci si rende conto di tutte le sue potenzialità. Il tema di Xenoblade Chronicles X è la scoperta, quella di
Mira, un mondo nuovo ed ostile. E sarà proprio questa progressione “a singhiozzo” a valorizzare il fattore esplorativo. La sensazione ci si prova in Xenoblade è quella di sentirsi minuscoli di fronte ad un mondo selvaggio e inviolabile, e la curiosità che si prova ad ogni passo fatto sarà ci fornirà la spinta necessaria a volerne sapere di più. Un plauso poi
per le splendide musiche del gioco (
l’unico punto con il quale non mi son trovato d’accordo con il buon Filippo che ha curato la recensione, e sul quale abbiamo già avuto modo di discutere), capaci di entrare in testa come un tarlo e rimanere li per giorni, talmente belle e ben introdotte all’interno del gioco
da funzionare perfettamente decontestualizzate.
Xenoblade Chronicles X è immenso, uno di quei titoli che una volta terminato (
così com’è successo per il con il primo) mi lascerà un vuoto incolmabile, e tanta attesa per i nuovi progetti di casa
Monolith Soft.
#LiveTheRebellion